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Archives Novembre 2015

Pray for Paris, nel silenzio di Parigi il Ground Zero dell’Europa ferita

Rosario PipoloAvremmo dovuto sentire il tifo acceso parigino allo Stade de France per l’amichevole Francia-Germania. A Saint-Denise Parigi ha sentito lo stesso boato del massacro terroristico di Monaco di Baviera nel 1972.

Avremmo dovuto ascoltare fino all’ultimo arpeggio le chitarre graffianti degli Eagles of Death Metal. Parigi invece ha assistito incredula alla carneficina a freddo di un pubblico da concerto tra le mura del Bataclan.

Avremmo dovuto festeggiare senza troppi clamori il nostro anniversario al ristorante Petite Cambodge. Ci hanno servito invece colpi di kalashnikov e la Torre Eiffel non ci ha aspettati tutta illuminata come la prima volta per il romantico bacio di mezzanotte.

Il terrorismo si è preso beffa di tutte le misure di sicurezza dopo la prima avvisaglia dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo dello scorso gennaio. I terroristi del 13 novembre non hanno colpito le istituzioni, ma direttamente la libertà di tutta la comunità nei luoghi che rappresentano la quotidianità di ciascuno: lo spalto di uno stadio, la sala di un concerto, un ristorante.
E’ uno dei momenti più bui della Quinta Repubblica Francese e il più oscuro della traballante presidenza di François Hollande.

L’ISIS ha scavato con un bagno di sangue il Ground Zero europeo nel cuore di Parigi. L’Europa abbassa il capo ferita e nelle ultime 50 ore ha preso coscienza di avere il suo 11 settembre. La paura ha abbassato i livelli di sicurezza emotiva, non la sentiamo più neanche nei nostri bunker a forma di casa. Il pericolo lo corriamo tutti.

Lo sciacallaggio mediatico ha mostrato che in Italia basta poco per essere sconci: il titolo di un quotidiano fuori posto, la bega politica nel cortiletto televisivo o l’intervista insensata.
I social network
, che in questo weekend infernale hanno dimostrato per l’ennesima volta di essere bacino spontaeno di pubblica utilità, hanno supportato le famiglie delle vittime e dei dispersi attraverso l’hashtag su Twitter #RechercheParis.

Parigi non sarà più la stessa così come tutta l’Europa. Non è più tempo di crociate, di guerre mondiali e forse neanche delle guerre intelligenti, spiegate negli anni ’90 da Rossella Savarese in un saggio su cui mi sono formato. E’ tempo di affrontare con coscienza e senza l’istinto vendicativo o guerrafondaio la sordità dell’odio, quello che Kassovitz spiffera nelle sequenze dell’indimenticabile film La Haine.

In queste ore di fermo emotivo e silenzio si legittimano le riflessioni: i ricordi personali, che legano ciascuno di noi alla Parigi ferita, torneranno ad illuminare la Torre Eiffel, al buio prima della mezzanotte nelle ore del terrore sulla coda del 13 novembre.
Restituiremo a Parigi, attraverso la gratitudine e la riconoscenza di viaggiatori, anima e serenità, recuperati dal perimetro di un selfie, di uno scatto qualunque, di un momento speciale condiviso.

Vogliamo che la Torre Eiffel non sia ricordata come un ammasso di ferraglia spettrale, perché Parigi non resti un lager, ma una terrazza da cui guardare il futuro della memoria di essere europei nella gioia e nel dolore.

Non insegnate ai bambini: Date fiducia all’amore, il resto è niente.

Rosario PipoloBuon compleanno, Zoe. Io e il tuo papà ci alleammo al terzultimo banco in un liceo della periferia di Napoli contro l’irrefrenabile nozionismo che voleva la recita a memoria di Natalino Sapegno. Scalpitavamo per percorrere altre strade e trapiantare nell’anima la letteratura italiana.

“Non insegnate ai bambini, non insegnate la vostra morale. È così stanca e malata, potrebbe far male. Forse una grave imprudenza, è  lasciarli in balia di una falsa coscienza. Non elogiate il pensiero, che è sempre più raro. Non indicate per loro, una via conosciuta. Ma se proprio volete, Insegnate soltanto la magia della vita”*.

Buon compleanno, Zoe. Ci pensi, Io e il tuo papà in piedi su una sedia, a fine lezione, in quello che fu scambiato per l’irriverente sfottò di due eccentrici e arroganti maturandi.
Invece no, fu la nostra protesta. Non ne potevamo più di inghiottire come rospi a quantità industriale versi latini e greci, per riempire i buchi dei programmi ministeriali della scuola miope e strabica dei nostri tempi.

“Non insegnate ai bambini, non divulgate illusioni sociali, non gli riempite il futuro di vecchi ideali. L’unica cosa sicura è tenerli lontano dalla nostra cultura. Non esaltate il talento che è sempre più spento, non li avviate al bel canto, al teatro, alla danza, ma se proprio volete raccontategli il sogno di un’antica speranza”.*

Buon compleanno, Zoe. In una mattina di primavera io e il tuo papà trasformammo l’odioso “filone” del liceale radical-chic in un viaggio a corto raggio: parlammo, condividemmo, sbottonammo  sogni futuri azzannando un panino caldo e mortadella, ci staccammo una volta e per sempre da quel provincialismo che premia i bagordi del vivere per apparire anzichè la sostanza dell’essere.

“Non insegnate ai bambini. ma coltivate voi stessi il cuore e la mente. Stategli sempre vicini, date fiducia all’amore, il resto è niente”.*

Buon compleanno, Zoe. Alzati da quella sedia, proprio come facemmo io e il tuo papà, svestendoci del pregiudizio di chi diceva che non potevamo farcela con le nostre forze. Giro giro tondo, cambia il mondo.

*Giorgio Gaber – Sandro Luporini, Non insegnate ai bambini, dall’album “Io non mi sento italiano”, CGD, Italia 2003

Ciao Expo 2015, noi Expottimisti restiamo qui

Rosario PipoloGli sciami di disfattisti che sorvolano i social network hanno l’arroganza di giudicare ciò che non hanno mai visto o raccontare ciò che hanno vissuto con superficialità. L’expottimismo è stato contagioso e non è stato segregato in un hashtag che ha spopolato su Twitter.
Sarebbe uno spergiuro essere expottimisti per partito preso così come essere disfattisti, confermando la riflessione di Albert Einstein: “È più facile spezzare un atomo che un ‪pregiudizio‬.”

Spenti i riflettori su Expo 2015, dimenticheremo in fretta le criticità per gestire gli oltre 21 milioni visitatori in pellegrinaggio a Milano; ci svestiremo persino di quella rabbia per le code disumane degli ultimi mesi e, perché no, smetteremo di maledire il vicino di casa o l’amico che ci ha convinti ad affacciarci nel luna park dell’Esposizione Universale.

A chi vorrà farci sentire in colpa per aver vissuto a pieno questo semestre, spiaccicheremo i versi cantati all’Open Theatre da De Gregori “L’Italia metà giardino metà galera”, come per dire non abbiamo fatto finta niente: gli scheletri nell’armadio restano. A chi vorrà convincerci che il successo di Expo 2015 è di Sinistra o di Destra, noi risponderemo che in realtà è degli expottimisti.

Gli expottimisti sono l’uragano d’energia fatto dai volontari e da tutti coloro che hanno lavorato qui. Ne ho incontrati tanti in questi sei mesi, ci ho parlato, per raccogliere piccole storie che fanno la vera bellezza dell’Italia. Jonny Sanchez, studente universitario peruviano, è tra questi.
Il decumano di Expo 2015 è stata la strada per guardare negli occhi l’Italia del futuro, meticcia e ottimista, e farsi trascinare dall’energia positiva di ventenni come Johnny, che ha scritto sui vetri dei miei occhiali una piccola verità: “Si possono incontrare persone stupende ogni giorno, dobbiamo essere prima di tutto noi a volerlo, basta un sorriso per renderci felici”.

Prima che l’Albero della vita scuota con l’ultimo scintillio la nostra emotività e la mezzanotte, come recita ogni fiaba che si rispetti, si porti via Expo 2015, tra i Padiglioni si intravedono le ultime scie di expottimismo, custodi delle riflessioni sul cibo e sulla nutrizione del pianeta: sono le lacrime, gli abbracci e i baci di decine e decine di ragazzi che hanno condiviso un semestre di lavoro.
Rallentiamo tutti il passo, vorremmo non uscire più, perché in questa notte di Halloween abbiamo fatto a meno di indossare maschere da streghe e stregoni senza aver paura di tirar fuori ciò che abbiamo dentro.