Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Archives Febbraio 2017

Lettera aperta a un bambino dei Nati Per Leggere

lettera-bambino-nati-per-leggere

rosario_pipolo_blog_2Sono tornato per guardarti diritto negli occhi nello stesso fazzoletto di terra in cui germogliò la mia infanzia. Sono tornato perché se i piedi non affondano nella terra della memoria, si sbiadiscono i dettagli, scemano i particolari.

Tu sei prima di tutto uno dei Nati Per Leggere perché per fare il mondo ci vuole un libro, per fare un libro ci vuole la vita di chi lo ha scritto, per fare la vita ci vogliono pagine di carta stese al sole come il bucato che profuma d’inchiostro.

Tu sei prima di tutto una storia, una storia di carta, fin dal tempo in cui eri nel grembo di tua mamma, fin dai tempi in cui la mano di Dio ne scrisse una fatta su misura per te, attraverso quel rintocco riconoscibile soltanto sotto le sembianze di un atto d’amore.

Tu sei prima di tutto il coraggio di liberarti dalle ossessioni tecnologiche di noi adulti che abbiamo spodestato l’immaginazione per rinchiuderci nelle celle di schermi piatti. Tu sei prima di tutto la generosità di questi volontari, oggi cantastorie per accompagnarti in un viaggio che ci rende tutti sostanza della nostra comune esistenza.

Tu sei prima di tutto ciò che non sono stati i bambini della mia generazione a cui non raccontarono che il mondo dell’infanzia senza gli educatori è come una fiaba senza incantesimi e fate dorate.
L’ho capito da grande quando mi sono innamorato di un’educatrice che, in una notte di Natale, mi fece papà per un giorno portando tra noi due un fratellino e una sorellina di una casa famiglia, specchio riflesso sui passi del nostro amore e dei genitori che saremmo diventati.

Io e te abbiamo in comune lo stesso fazzoletto della terra allevatrice ed ora che vedo tua mamma, testarda volontaria, strizzare lo straccio per pulire questo spazio-lettura che nessuno mai ti scipperà, sono convinto che tu non indosserai nessuna maschera a Carnevale.
Punta verso il cielo il tuo libro-scudo che ti ha fatto crescere nell’alveare di Nati Per Leggere senza fare come noi bimbi di allora, costretti a travestirci da Zorro per affrontare i bulli con le pistole giocattolo, figli dei lacchè della malavita.

Troverai questa lettera all’alba e io sarò di nuovo in viaggio, perché la mia condanna è avere sempre la valigia pronta. Tornerò, sì tornerò per riprendermi ciò che mi è stato rubato e ad indicarmi la strada sarai tu, sarete voi Nati Per Leggere, germogli del futuro dell’infanzia in soccorso a noi adulti per scontornare e ridisegnare sogni di carta taciuti.

Cartolina da Montevideo: l’Uruguay nel tramonto del Rio de la Plata

tramonto-montevideo-rambla

rosario_pipolo_blog_2La sera non è calata ancora in Uruguay. La navigazione sul Rio de la Plata l’avevo condivisa con Pablo, il fisico argentino in esilio in Europa negli anni della dittatura. Il resto delle ore di sole le avevo dissipate bighellonando a Colonia del Sacramento, zolla della memoria colonialista in Sudamerica scippata dagli spagnoli ai portoghesi: sole, vento tra i capelli, un piatto di chorizo e del buon vino, le onde ribelli del mare come in un romanzo iniziato e mai finito.

È bastato un filo di vento per guidarmi fino a Montevideo. C’è ancora luce, quella sufficiente per una traversata di quattro chilometri lungo l’avenida che si distende nell’abbraccio di Placa Indipendencia. Quando mi davano per disperso nelle storie di Corto Maltese disegnate da Hugo Pratt, avevo imparato che le traversate non finiscono mai, l’arrivo è inaspettato punto di partenza.

Montevideo è una traversata continua, nelle stradine della città vecchia, abusivo tra una coppia di sposini uscita dal municipio, mangiando carne al mercato coperto, provando una coppola uruguaiana per quando sarebbe arrivato l’inverno, e poi la lunga camminata sulla Rambla.
Niente a che fare con i nostri lungomare, a parte che non si tratta di acque salate bensì delle acque meticce del Rio de Plata. La Rambla sembra non finire mai tra i bambini che giocano, i ragazzi che hanno marinato la scuola accovacciati sugli scogli, i palazzoni che delineano il mio percorso all’atteso tramonto insieme ai pescatori. Il silenzio non mi spaventa perché i singhiozzi delle onde del Rio de la Plata fanno di questo estuario il punto di raccolta dei sogni di chi è venuto a vivere qui da altri paesi limitrofi o lontani

L’Uruguay è terra di tutti, anche di Luca, compagno di classe di mio cugino che a fine anni ’90 mi ospitò una notte a Milano. La napoletanità di Luca ha seminato nella nuova vita uruguaiana quel seme di libertà che fa di noi viaggiatori persone nuove. I ricordi condivisi con Luca in una notte stellata a Montevideo mi hanno assuefatto: la vita li redime i viaggiatori come noi, perché la ricerca di noi stessi mette in dubbio quelle maledette certezze che fanno della routine l’agglomerato urbano della nostra anima.

Quando riparto la colonna sonora di questa tappa mescola e rimescola le sonorità del candombe di Ruben Rada con le canzoni dell’album Mediocampo di Jaime Roos e gli sputi musicali contemporanei dei Notevagustar.
In piena notte, durante la traversata di ritorno sul Rio De La Plata, mi fa compagnia Rosa, anziana uruguaiana di origini italiane, che mi racconta dei suoi cani e del suo compleanno che sta andando a festeggiare con il fratello rimasto solo a Buenos Aires. Dice che festeggiare il compleanno anche con un napoletano porta bene e così mi offre una colazione senza candeline.

Rosa scompare nel buio della notte così come Luca, Montevideo, ma davanti a me c’è la luce di una nuova terra ferma e di questo viaggio in Sudamerica che disegna gli argini del mio cambiamento e della mia rinascita.

Se incontrate Greta Menchi raccontatele chi era Claudio Villa 

claudio-villa-sanremo

rosario_pipolo_blog_2Se incontrate Greta Menchi, la YouTuber che ha scatenato la sommossa sui social per essere finita nella giuria degli esperti del 67° Festival di Sanremo, raccontatele chi era Claudio Villa.

Il suo temperamento da ribelle fece del romano Claudio Pica “il reuccio della canzone Italiana”. Da ugola possente tra le strofe di quelle canzoni accompagnò la risalita dei nostri nonni negli anni del Secondo dopoguerra, tra gli affanni della ripresa dell’Italia ferita ed umiliata dal fascismo.

Se incontrate Greta Menchi, raccontatele che ai tempi di Claudio Villa il successo non era fatto delle bolle di sapone di milioni di “mi piace” ma dal percorso di sacrifici che accompagnavano il talento passo dopo passo per fare del canto un mestiere. Figuratevi poi per il figlio di una casalinga e di un vetturino della Roma popolare e trasteverina, lontana dai piani alti di via Veneto.

Se incontrate Greta Menchi, raccontatele che il “reuccio” Claudio Villa battagliò perché al Festival di Sanremo sparissero quelle maledette schedine, antenate del diabolico televoto dei giorni nostri, che mischiarono il galoppo con gli interessi dell’industria discografica.

Se incontrate Greta Menchi, raccontatele che Claudio Villa si infuriò quando il Festival di Sanremo fu invaso dal playback e i cantanti sembravano pupazzi di cartone doppiati dalla loro stessa voce. Fu guerra a viso aperto per far tornare l’orchestra sul palco dell’Ariston. La ebbe vinta e oggi gli riconosciamo il merito.

Se incontrate Greta Menchi, raccontatele che fino all’ultimo minuto, in giacca da camera, Claudio Villa guardò in TV il suo amato Festival di Sanremo. Il 7 febbraio di trent’anni fa, prima che Morandi-Tozzi-Ruggeri fossero proclamati vincitori del Festival di Sanremo del 1987, Pippo Baudo ci diede la notizia triste. Da casa intonammo “Buongiorno tristezza” e forse Sanremo fece un grande errore: avrebbe dovuto togliere con l’ascia del legno dal palco dell’Ariston e rivestire il feretro del signor Claudio Villa.

Se incontrate Greta Menchi, raccontatele che non appartengo alla generazione di Claudio Villa, ai tempi ero uno sbarbatello di terza media. Ho cercato la memoria delle mie radici nell’Italia “povera ma bella” dei miei nonni, quella vissuta al cinema grazie ai Risi, agli Steno, ai Monicelli, ai De Sica, ai Visconti.

Se incontrate Greta Menchi, raccontatele chi era Claudio Villa, senza vezzi nostalgici in bianco e nero, ma con un pugno che tiene stretto il tempo della vita, senza la tachicardia del voyeurismo volgare dell’età dei social network.