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Archives Giugno 2021

I 70 anni di Jerry Calà nel ricordo della mia intervista alla Capannina

Jerry Calà compie 70 anni e mi torna in mente la fuga da Milano nell’estate 2005 per correre ad intervistarlo alla Capannina di Forte dei Marmi. Avevo espressamente chiesto che l’incontro con l’ex Gatto di Vicolo Miracoli avvenisse nella location dove, 23 anni prima, era stata girata una parte del film Sapore di Mare di Carlo Vanzina.

https://www.youtube.com/watch?v=mwfNpg9PAZ0

JERRY CALA’ E IL CINEMA ITALIANO

Io e Jerry ci trovammo seduti nel retrobottega del mitico locale della Versilia, tra casse di bottigliette di bibite e bustine di snack, qualche ora prima del suo One Man Show. In realtà la mia intervista virò su Calà e il cinema italiano, soffermandosi su quella che avevo definito la trilogia dei passaggi di consegna: Vado a vivere da solo di Marco Risi (1981), Sapore di Mare di Carlo Vanzina (1983) e Un ragazzo e una ragazza (1984) ancora di Marco Risi. Nonostante gli snobbismi degli intellettuali – quarant’anni dopo si sono sbriciolati come i castelli di sabbia – Calà aveva dimostrato in questi tre film che poteva fare ancora, che poteva fare altro.
“Mi fa piacere che tu abbia cominciato ricordandomi la scena finale di Sapore di mare, hai ragione lo scambio di sguardi e rimpianti tra me e Marina (Suma) fu una svolta anche per me. Di quel ciak per Carlo (Vanzina) fu buona la prima e l’operatore di macchina mi disse… Jerry sei stato grande”, mi raccontò Calà in quell’occasione.

https://www.youtube.com/watch?v=72k46WesRwQ

BASTA PARLARE DI CINEMA DI SERIE A O B

L’interpretazione di Jerry contribuì a trasformare i due film di Marco Risi sopra citati in manifesti autentici e romantici della mia generazione, cresciuta sotto l’ombrellone degli anni ’80. “Marco (Risi) sapeva come metterti a tuo agio sul set e questo atteggiamento ti aiutava a tirare fuori il meglio di te – mi spiegò l’ex Gatto di vicolo Miracoli – Non ho mai fatto distinzione tra cinema di serie A o B, questo lo lasciavo fare agli altri. Un film è un film quando arriva al cuore della gente, quando fa da specchietto retrovisore della tua vita.”

https://www.youtube.com/watch?v=x4SglSlgrhk

LIBIDINE, SLOGAN DI STRAFOTTENZA

Nell’intervista alla Capannina colsi la persona e non il personaggio abituati a vedere, il Calà che aveva fatto di “libidine” lo slogan di strafottenza da spiattellare ai fricchettoni che si prendevano troppo sul serio. Citai a Jerry gli ultimi versi di una poesia di Totò:

“C’è tanta gente che si diverte a far piangere l’umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla; manda, se puoi, qualcuno su questo mondo capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri.”

Jerry mi ricordò, in chiusura della nostra chiacchierata, che Totò era stato un grande maestro perché aveva saputo raccogliere gli stati d’animo di tutti, anche “di coloro che fanno il nostro mestiere e nascondono la tristezza personale per il bene del pubblico.”
Jerry mi salutò e mi ringraziò per le domande. Andò a cambiarsi per lo spettacolo, mentre il pubblico della Capannina lo attendeva e lo reclamava. Restai nel retrobottega e di sbieco tenevo d’occhio il palco. Poi si spensero le luci. La persona si fece showman e la sua ombra saltò sotto le luci della ribalta come un uragano. Ripensai a me bambino insieme alla mia famiglia in un cinema, alla periferia di Napoli, alla fine della proiezione di Sapore di mare. Correva l’anno 1983 e mi rimase impressa la celebre battuta che mise nero su bianco il passaggio di consegna tra la generazione dei miei genitori e la mia:

– Mamma, ma com’era l’epoca tua?

– Non so, era diversa. Ci batteva il cuore.

WhatsApp e i legami affettivi tra ruggine e artificialità

Nel mondo oltre 3 miliardi di persone smanettano su app di messaggistica. Il Covid-19 ha contribuito al rialzo pazzesco di piattaforme come WhatsApp che solo in Italia nel 2020 è stata usata da 33 milioni di utenti (Fonte: Audiweb-Nielsen). Quanti utilizzano WhatsApp per tenere in caldo un legame affettivo, un’amicizia, non so una conoscenza?

LEGAMI TRA AUDIO FARFUGLIATI E CATENE DI SANT’ANTONIO

Il distanziamento sociale della pandemia ci ha impoltroniti e, cavalcando l’onda di quella stizzinosa indolenza, ci siamo tirati la zappa sui piedi: ridurre i legami affettivi a uno scambio di messaggi estemporanei, audio farfugliati, catene di sant’antonio che il più delle volte pisciano umorismo insulso, rimbalzi di foto come le noccioline che davamo in pasto agli scimpanzè allo zoo negli anni dell’infanzia.

SCIMMIOTTIAMO LA GENERAZIONE ALPHA DEI NOSTRI FIGLI

Ci siamo impigriti nelle relazioni e pensiamo che il gruppo su WhatsApp ci abbia messi al riparo dal vedere in cocci quei legami su cui pensavamo di campare di rendita. Scimmiottiamo la generazione Alpha dei nostri figli, apprendista stregone di contatti tutto sommato artificiali.
Infatti, le generazioni nate sotto l’ombrello della messaggistica istantanea sono stati svezzati da genitori che comunicavano con gli altri abbrozzandosi con la luce artificiale dello schermo di uno smartphone spiattellato in faccia.

VIA IL BUONISMO CHE ASSECONDA COMPAGNIE DA WHATSAPP

Quelli della mia generazione sono cresciuti sotto un’altra luce, il sorriso illuminante di quando papà e mamma trovavano il tempo per frequentare le persone a cui tenevano, coltivare i legami, affrontare la vita con una condivisione costruttiva che si ripercuoteva anche sulla nostra vita sociale.
Si generalizza dando sempre la colpa ai cambiamenti sociali, alla routine supersonica che ci stritola come sardine, al tempo che non è mai abbastanza, come se poi non fossimo noi i padroni del nostro tempo.  Basta con questo buonismo ipocrita che specula sui sentimenti e riprendiamoci un pizzico di vena polemica per vedere le cose come stanno: le minacce della solitudine dopo l’autoconvincimento che l’intensità delle nostre amicizie via WhatsApp sia direttamente proporzionale alla crescita delle visualizzazioni dei nostri stati.

Nei legami non esistono diritti acquisiti o tramandati. Non era chiaro neanche ai parenti che reclamavano attenzioni e considerazioni sula base di quest’ultimi. Parafrasando Kingsmill che ripeteva “Gli amici sono il modo in cui Dio chiede scusa per i parenti”, potremmo chiudere il cerchio così: I legami arrugginiti via Whatsapp sono il modo in cui siamo ingrati verso Dio per averci donato amici veri.

Torniamo ad essere costruttori di legami autentici.

Peppino, Peppino, figlio dell’amore in quale vicolo batterà il tuo cuore…

Questa foto antica degli anni ’30 mi riporta con prepotenza nel cuore della mia Napoli, tra le pagine di storie private che, mattone dopo mattone, hanno costruito l’Italia del secolo scorso.
Le persone comuni come Peppino sono state la calligrafia di queste pagine dell’Italia povera ma bella, prima sotto le bombe della guerra, poi sotto la luce della rinascita, il boom economico degli anni ’50, le feste fatte in casa degli anni ’60 a ritmo di twist, e poi ancora vita, vita, tanta vita.

Peppino, Peppino, figlio dell’amore
In quale vicolo o strada, batterà il tuo cuore
In quale culla di pietra pura
Imparerai, la vita è un’avventura

Peppino è stato questo e tant’altro ancora. Nel centro storico di Napoli lo scambiavano per un attore hollywoodiano. Pochi sapevano che dentro il diluito del suo sorriso si nascondeva l’amore infinito per la madre Concetta, il dolore per averla persa troppo presto, l’essere diventato da un giorno all’altro l’ometto di casa, la sua protettività per la sorella Giulia e il fratellino Ciro.

Peppino, Peppino, tu la dovrai amare
Amare è dura e senza frutti al sole
C’è più coraggio nella fantasia
La vita tua diventa mia

C’è una scena che mi torna in mente tutte volte che penso a Peppino. L’ho immaginata tante volte, decenni dopo, sulle gambe di nonna Lucia. Lui con il fratello e la sorella sul’uscio di casa di mia nonna, in silenzio, come in un fotogramma del cinema di Vittorio De Sica.
L’Italia della rinascita era fatta anche di questo, di accoglienza, dell’amore di una zia per i nipoti, che da quel giorno si fece amore materno, incommensurabile.

E da solo andrai verso il mio domani
Con i tuoi occhi e con i miei occhiali
E non sei solo, solo nell’amore
Peppino dai i tuoi occhi al cuore

Quando penso a quel gesto d’amore del secolo scorso mi convinco che la classificazione e i gradi di parentela restano un’effimera invenzione degli uomini. E oggi più che mai continuo a calpestare le briciole dei vaporosi legami coltivati nei fiumi delle chat di Whatsapp. Chi ha avuto la fortuna e il privilegio di vivere legami densi, come quello tra me e Peppino, deve reagire alla pochezza dei giorni nostri: la vera ricchezza della vita è fatta di legami d’amore costanti e questo tempo in cui sopravviviamo lo ha dimenticato, se n’è privato per rincorrere l’effimero.
Nel vuoto per non averlo salutato l’anno scorso tra lockdown e pandemia, mi sento risollevato dal ricordo come quella volta in cui, dal bancone di una profumeria in via dei Mille, mi prese in braccio e mi presentò con orgoglio al suo titolare.

Cani randagi nella notte scura
La vita, no, non fa paura. (antonello venditti)

Di Peppino ne resterà uno solo in questa vita. Peppino, mio zio.

L’insolenza di Rino Gaetano contro le lobby 40 anni dopo

Gli anniversari servono a poco se finiscono seppelliti sotto le onde emotive. A quarant’anni dalla scomparsa prematura – me lo ricordo quel 2 giugno 1981Rino Gaetano e le sue canzoni insolenti sono ancora attuali. Nella sua discografia, strizzata in soli 6 album in studio, c’è un fil rouge: l’essenza antilobbista del Rino di allora che oggi torna a scottare. Come le canterebbe le lobby dei giorni nostri tra gay, vegani, influencer politicanti e animalisti incazzati?

LA MIA FIDANZATA DELL’INFANZIA: GIANNA CON UN COCCODRILLO

Ridatemi l’insolenza di Rino Gaetano. Mia mamma fu convocata all’asilo perché raccontavo ai miei compagni della mia fidanzata “Gianna che aveva un coccodrillo”. Nel 1978, da un televisore in bianco e nero sul frigo della nostra cucina, rimasi stregato dall’anarchico Rino Gaetano sul palco del Festival di Sanremo.
Tutti i pomeriggi, su un balcone alla periferia di Napoli, stonavo Gianna e il manico di scopa fregato a mamma faceva da microfono.

Rino diceva che “Ci sono persone pagate per dare notizie, altre per tenerle nascoste, altre per falsarle“. In Italia erano gli anni bui del terrorismo, alla periferia di Napoli della Nuova Camorra Organizzata cutoliana. Io cantavo Gianna alla ringhiera e, a pochi metri in linea d’aria, lo struscio locale mischiato alla politica losca rendeva omaggio a ‘O boss d’o paese circondato dai fedeli scagnozzi.

MA IL CIELO E’ SEMPRE PIU’ BLU

Ridatemi l’insolenza di Rino Gaetano perché fu profetica, lungimirante sotto “il cielo sempre più blu”: dalla disfatta della Prima Repubblica alle ingiustizie sociali, dalle morti bianche al razzismo oltre confine.

Quarant’anni dopo, punto. E ora che si fa “Aida, le tue battaglie I compromessi La povertà I salari…” tra i fantasmi del colonialismo? Ora che si fa, sputando in faccia a chi si sottomette alla routine e esaltando “Mio fratello è figlio unico Perché non ha mai trovato il coraggio d’operarsi al fegato E non ha mai pagato per fare l’amore E non ha mai vinto un premio aziendale“? Ora che si fa mentre Berta filava e “partiva l’emigrante e portava le provviste E due o tre pacchi di riviste E partiva l’emigrante ritornava dal paese“?

Ridatemi l’insolenza di Rino Gaetano perché, persino dando voce ad una cover, ha fatto germogliare la speranza di ricominciare dopo la sepoltura di una storia d’amore sotto la neve, a mano, a mano.

Ci risiamo, quarant’anni dopo. Come canterebbe Rino Gaetano le lobby dei giorni nostri tra gay, vegani, influencer politicanti e animalisti incazzati? Come canterebbe Rino Gaetano l’Italia dell’uscita dal carcere d’U verru, il boss pentito, che oltraggia la memoria della strage di Capaci?

(Nun te reggae più)

(Nun te reggae più)

(Nun te reggae più)

(Nun te reggae più)

(Nun te reggae più)

(Nun te reggae più)

(Nun te reggae più)

(Nun te reggae più)

(Nun te reggae più)

(Nun te reggae più)