Il gigante e la bambina, giustizia per Sarah Scazzi!
Al ritorno dalle vacanze avevamo incrociato il volto di quella ragazza appiccicato ovunque:, dai muri sotto casa alle bacheche della rete. Il messaggio era chiaro: “Chiunque avesse trovato Sarah Scazzi era pregato di farsi vivo”. Nessuno però aveva diffuso l’annuncio all’incontrario, mettendolo giù così: “Chi prima trova l’orco cattivo, prima ci restituisce la speranza che Sarah sia viva”. E’ stato inutile perché il mostro era nascosto in famiglia ed aveva agito in un batter baleno, chissà con la complicità di chi. Svanita la speranza di rivedere Sarah tra le braccia di mamma e papà, oltre 60 mila persone di ogni età alzano la voce su Facebook e chiedono giustizia. Giustizia o vendetta? Forse vendetta, come quella che ci ha assaliti dopo la confessione dello zio Michele Misseri, forse rabbia come quella tra la folla dei funerali di sabato ad Avetrana.
Quindici anni fa un caporedattore mi rimproverò, perché avrei dovuto occuparmi di cronaca nera per crescere nella giungla dell’informazione. Un morto ammazzato valeva la prima pagina di un giornale più di un’inchiesta culturale o di una recensione di uno spettacolo.
Quel misuratore vale ancora oggi dove c’è l’assillo di far numeri ovunque, siano clic o audience. E in questi giorni, nel lavaggio mediatico della tragedia di Avetrana, il volto del carnefice ha preso il sopravvento rispetto a quello della vittima o addirittura compare al suo fianco. Il popolo del web non potrà prendere posizioni che spettano alla giustizia (costituirsi parte civile nel processo?), così come la televisione non può trasformare un delitto in una farsa di costume, facendoci credere che guardare “Chi l’ha visto?” sia come fare una partitella a Cluedo. Per non diventare tutti complici di questo oltraggio mediatico, abbiamo il sacrosanto dovere di delegittimare tutti gli operatori dell’informazione; tutti i salotti televisivi, dal fard dell’Arena di Giletti al fondotinta di Matrix; tutti gli angoli del web che daranno spazio al dramma dello zio Michele, l’orco assassino da ergastolo rinato nei versi amari della canzone di Rosalino Cellamare Il Gigante e la bambina.