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Non occorre “il boss delle cerimonie” di Real Time per sentirsi Kate alle nozze

Eugenia Sposa

Rosario PipoloPer sentirsi come Kate Middleton nel giorno del proprio matrimonio non ci vogliono di certo i docu-reality, imbevuti di folclore napoletano, che propone Real Time. E non è necessario “il boss delle cerimonie”, alter ego del wedding planner in stile meridionale, portavoce del solito e volgare “facimme a chi mette ‘a copp”. Come se poi la grande abbuffata del banchetto nuziale, l’arrivo della sposa con carrozza e cavalli o il giro in elicottero circoscrivessero il significato di un matrimonio nel cerchio dell’essenziale.

Real Time dovrebbe racimolare le storie dei matrimoni delle nostre nonne napoletane, quando sposarsi non si riduceva ad una becera e volgare pagliacciata. Le nonne che si facevano cucire il vestito nel secondo dopoguerra, quelle che promettevano amore per l’eternità, che andavano a fare il viaggio di nozze nel raggio di pochi chilometri in groppa ad un asino o su un treno, quando andava di lusso. Ci sono ancora nonne disposte a svelare i loro pudici segreti e non per smania di protagonismo da reality, ma perché sanno che il dono della memoria è impagabile.

Per sentirsi come Kate Middleton nel giorno delle nozze non occorre neanche piegarsi ai ricatti del vivere per l’apparenza. Basta sentirsi come Eugenia, la sposa di questa immagine, avvolta nella semplicità del suo abito, che ha rateizzato l’attesa per il giorno più bello della sua vita nel significato del rito, sia esso religioso o civile. Il banchetto nuziale è passato in secondo piano rispetto all’atto della promessa, alla gioia di vivere ogni attimo assieme al suo sposo, nel sogno che, come in una fiaba, ha accompagnato il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

“I reality sono tutti di gran moda in tv in questo momento, ma non si tratta di realtà: è solo un’altra forma estetica della fiction”, ha ribadito il regista Steven Soderbergh. Perciò è necessario toccare la realtà con mano propria. La sposa pensosa, colta in questo scatto di raccoglimento come in un fotogramma del cinema di Pupi Avati, sveste la volgarità del nostro tempo e la riveste con la memoria. Perciò Eugenia sarà ricordata come l’ultima Kate che ha inorgoglito le vecchie nonne napoletane, spose “finché morte non ci separi”.

Matrimonio alla napoletana: o la busta o non mi sposo!

Busta o non busta, questo è il problema. Mica quella dell’immondizia, ma la bustarella con i soldi che non può mancare ad ogni matrimonio napoletano che si rispetti. Tutti lo snobbano, ma poi tutti vogliono il regalo in cash. Con la crisi che c’è in giro, ritrovarsi tra gli invitati di un banchetto nunziale non è confortante per niente.
Una volta le indagini si facevano via telefono, adesso basta aggirarsi sulle bacheche dei social network per sondare gli umori e capire quanto bisogna sborsare per far felice i neo sposini. Tuttavia, il regalo in busta è anche l’ultima spiaggia per pagare il conto salato della cerimonia: chi famiglia napoletana rinuncerebbe mai all’evento sfarzoso? Nel 1971, un cugino di mia madre, organizzò il matrimonio facendo i conti sui regali in denaro degli invitati, senza calcolare il rischio di non raggiungere la somma necessaria. Nonna Lucia fu molto chiara con nonno Pasquale dopo il taglio della torta e gli bisbigliò: “Pasqua’ dobbiamo raddoppiare la somma per Enzuccio, altrimenti restiamo qui a lavare i piatti”.
Quarant’anni fa come oggi la ruota gira sempre allo stesso modo, con una differenza: nel nuovo millennio i matrimoni durano il tempo di una stagione. Insomma, gli sposi dovrebbero impegnarsi con gli invitati a restituire il premio in caso di divorzio o separazione entro i primi 36 mesi di vita coniugale. Per non parlare dei separati e divorziati che circolano in Italia, molti dei quali hanno la faccia tosta: si risposano per la seconda, terza e quarta volta e pretendono pure la bustarella! E poi non ha ragione zia Concettina a starnazzare: “Il mio dovere l’ho fatto al primo matrimonio. Mmo’ basta”.
Scampato il pericolo della lista nozze, le alternative sono due: riciclare un vecchio regalo inutile, trafugato da qualche altra ricorrenza oppure donare i soldi agli sposi in sei comode rate.
Povero papà mio, meno male che non legge i miei articoli, altrimenti creperebbe dalla vergogna. Casomai salirò all’altare, ho già la soluzione: matrimonio “sponsorizzato” da piccole aziende agroalimentari locali,  senza dover chiedere niente a nessuno, con la speranza di poter scrivere con una bomboletta spray: “…E vissero felici e contenti”. O quasi!