Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Ho perso la matita di Moebius, ma ho ritrovato Napoli disegnata da Jean Giraud

La prima matita me la ricordo. Me la regalò mia madre. La comprò in una piccola merceria alla periferia di Napoli ai primi di ottobre del 1978.
In una scuola materna pubblica cominciai a riempire di scarabocchi tutti i fogli bianchi che mi capitavano davanti. I miei compagni la percepivano come un oggetto da stregone, perchè arrivava una gomma e cancellava tutto . Io no, mi avevano rapito la delicatezza e la discrezione di quest’asticella di legno.

Di professione non ho fatto il disegnatore, ma ho trovato il tempo e il modo per rifugiarmi tra le pareti dei disegni di Moebius (1938-2012). In un pomeriggio del secolo scorso mi persi alla periferia di Parigi, dove cercai invano Jean Giraud, il grande disegnatore scomparso sabato. Fu la sua matita composta a spingermi nel vortice della fantascienza.
George Lucas e Ridley Scott lo avevano fatto con il loro cinema, Moebius (da ragazzino mi inquietava il suo nome d’arte) c’era riuscito con una sequenza di quadri a fumetti.

Dopo tanti affanni, stavo per incrociare Giraud proprio nel centro storico della mia Napoli. Jean adorava la mia città, mi sfuggì per un pelo. Mi dissero: “E’ appena andato via, ma guardi cosa ci ha donato”. Mi trovai tra le mani una copia di un suo disegno dedicato a Napoli: un golfo del capoluogo partenopeo come non lo avevo visto mai.
La sagoma del Vesuvio e un arcipelago di case così lineari da farmele associare ai pezzi sparsi di una navicella spaziale. Il volo dei gabbiani di Moebius su quella tavola lasciavano un’indicazione precisa per il capoluogo campano. Era ora di smettere di associare Napoli alla mitologia di un passato nostalgico. Moebius aveva colto l’anima fantascientifica della mia città, perché nel suo golfo ci sono i tratti del futuro, nascosti nel volo dei suoi gabbiani.

 Moebius – sito ufficiale

  Docteur Giraud et Mister Moebius

 Mort de Moebius

Regalo d’estate: il disegno di Carmine

Ci sono pagine della letteratura che si ripetono, come quelle di Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, nella profonda amicizia di un vecchio pescatore e di un ragazzo. Il piccolo Manolo restituisce all’adulto Santiago la forza di tornare a solcare il mare. Mi è successa la stessa cosa in un sabato d’estate: non c’era il mare, ma le colline toscane; non c’era un vecchio pescatore, ma un vagabondo irrequieto alla ricerca di nuovi confini; non c’era un ragazzo immaginario, ma un bambino vero che se ne andava in giro per casa a piedi scalzi, nascondendo dietro un sorriso da “furfante” un’infinita sensiblità. Cosa avevamo in comune io e quel bimbo di 7 anni? Il giorno del suo onomastico precedeva il mio compleanno; entrambi siamo finiti dalla logopedista, io per rinvigorire la voce e lui per scandire meglio le parole; entrambi andiamo matti per i videogiochi e siamo scanzonati sognatori; entrambi ci saremmo attaccati per tutta la vita alla gonnella di quella donna. Lui sì che aveva capito com’è fatto il mondo e, dopo essere stato lasciato dalla fidanzatina, mi ha suggerito la nuova filosofia da adottare con le femmine: “Piglia e molla”.
No, non lo avrebbe mai fatto perché lui è un inguaribile romantico. L’ho capito quando mi ha fatto vedere su YouTube il video di una canzone di Tiziano Ferro e mi ha convinto: “Sai, è la mia preferita. La prima volta che l’ho ascoltata, ho pianto”. Poi mi ha portato alla finestra per indicarmi la sua scuola e raccontarmi le sue giornate. In poco meno di 12 ore io e il bambino siamo diventati “amici per la pelle”, come succede in estate nei luoghi di vacanza: mi ha offerto il divano in soggiorno per dormire, mi ha voluto accanto mentre cenava, mi ha chiesto spassionatamente di tornare la settimana successiva.
Si dice che i bambini dimentichino con facilità. Può darsi. Ma forse il disegno, che mi ha lasciato in segno d’amicizia, conferma quanto lui abbia intuito di quale pasta siano fatta gli adulti. I due audaci combattenti rappresentano gli atroci conflitti che sconvolgono il complicato mondo di noi adulti, ma che qualche volta naufragano in un lieto fine. Come Manolo del romanzo Il vecchio e il mare, il piccolo Carmine mi ha fatto tornare a solcare i mari della mia anima, facendomi ritrovare il meglio di me stesso, lasciando che il mio cuore si risvegliasse dal torpore.  Gli scarabocchi di Carmine sono stati il regalo mio più grande perchè mi hanno restituito “amore dato, amore preso, amore mai reso; amore grande come il tempo che non si è mai arreso”. 
Sono sicuro che Carmine mi aspetterà ed io tornerò per costruire con lui un bel castello, non di sabbia, ma uno vero in cui ci sia spazio per tutte le persone a cui vogliamo bene.