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Cartolina d’estate: nella Germania di Costanza dal sapore svizzero

Rosario PipoloQuesta volta FlixBus mi porta in una città di frontiera. Si tratta di Costanza, quella nominata tra i banchi di scuola chissà quante volte per il famoso trattato, lì al confine con la Svizzera, a pelo nella Germania del Baden-Württemberg.

C’è un fiume di gente assiepata nel centro storico. Si beve, si fa festa, si sta insieme.  Tutto merito della musica: il festival Rock Am See diventa una Woodstock in miniatura tutta tedesca sul lago Costanza, quelllo che qui chiamano Bodensee. Bevo una pinta di birra, conosco gente del posto, condivido ritagli di viaggio.

Qui di pagine di storia ce ne sono. Ci pensa l’olandese Toni a farmi da guida. Le spoglie di San Pelagio nella Cattedrale ci ricordano che qui i cattolici riuscirono a riprendersi dai protestanti il proprio territorio ; nel monastero domenicano, trasformato a fine ‘800 in un hotel di lusso, c’è un manuale di tortura, dipinto su muro, che ci insospettisce; il teatro cittadino con le locandine di nuove e vecchie glorie; il cavallo in piazza che ricorda le gesta di Federico Barbarossa; la statua di Imperia sul porticciolo; il centro commerciale Lago che attira gli svizzeri spendaccioni.

C’è un’altra Costanza che mi piace, quella dei “veri Costantini”, lì nel quartiere Paradiso, lontano dall’invadenza turistica. Iniziano qui le mie passeggiate mattutine lungo il fiume Reno, che nasce dal ventre delle Alpi Svizzere, si lancia tra le bracce del lago Costanza, se ne innamora e poi scappa via verso la rotta di un nuovo viaggio.
L’incontro in un bar con due avellinesi emigrati a Costanza quarant’anni fa mi riporta al tempo in cui la Germania divenne la prima casa per tanti italiani.

La domenica mattina, bagnata da fili di pioggia, riveste l’atmosfera uggiosa del “dì di festa” in un riflesso di memoria. Un’anziana signora mi vede litigare con la cartina e mi fa capire che mi accompagnerà fino al punto indicato. Lei parla in tedesco, io in inglese, ma ci capiamo lo stesso. Guardo i suoi capelli innevati che mi ricordano la chioma di nonna Lucia e l’impertinenza fanciullesca del tipo “Nonna, perché non fai il più colore dal parrucchiere?”.

Mi giro, l’anziana si è dissolta dentro la pioggia.  A piccoli passi oltrepasso la sbarra. Non si tratta di un passaggio a livello, ma di una zolla di frontiera. Sono con un piede in Germania e con l’altro in Svizzera.

Cartolina d’estate: Salisburgo di Mozart che mai dimenticò la piccola Alice

Rosario PipoloIn un giorno d’inverno di oltre vent’anni fa una bimba italiana, in visita alla residenza di Mozart, chiese al papà: “Dov’è Mozart?”. Il papà cercò di spiegare alla piccola Alice che il famoso compositore, a cui Salisburgo aveva dato i natali, non fosse più lì. Alice non fu convinta e in parte non aveva così torto.

Questa volta FlixBus mi porta a Salisburgo, proprio per mettermi sulle orme di Amadeus. Salisburgo è per davvero la bomboniera dell’Austria perchè coglie le molteplici sfumature che ogni viaggiatore avrebbe il diritto di trovare nella sua meta.

Salisburgo sa essere sentimentale con i lucchetti “con le promesse d’amore” sul ponte Makartsteg e le atmosfere da set di Tutti insieme appassionatamente, il film di Wise che rese Julie Andrews bella salisburghese nella trasposizione cinematografica del famoso musical The Sound of Music.

Salisburgo sa essere portavoce di storia e arte nel meraviglioso quartiere del Duomo, tra il palazzo della Residenza e il museo della Cattedrale, custodi di segreti e contraddizioni dello strapotere dei principi arcivescovi.

Salisburgo sa essere ghirlanda del palato con la Sacher mangiucchiata al Sacher Cafè, mentre lo sguardo è rivolto verso i venditori ambulanti sparsi lungo il fiume, che attraversa la città il cui nome significata “Castello di sale”.

Salisburgo sa essere instancabilmente romantica quando la sera per te dipinge in cielo una luna piena e improvvisamente chic, elegante, pittoresca tra le viuzze della città antica, dove ti viene una voglia matta di perderti perché sai che ogni angolo è sempre una riscoperta.

Salisburgo sa essere vessillo medievalista tra le mura della Fortezza che guarda la città con l’occhio attento della sentinella e anche custode delle beffe della storia: osservare il pubblico in ghingheri al Festival di Salisburgo che applaude l’Ernani di Giuseppe Verdi, il cui Va’ Pensiero fece impallidire gli austriaci invasori più di due secoli fa, rivelandosi la baionetta che, senza fare né morti né feriti, fece scricchiolare il potere dello straniero. Le ferite si rimarginano, i tatuaggi della storia restano.

E Mozart dov’è finito? Aveva ragione la piccola Alice nel 1990. Dalla sua casa non se n’è mai andato, perchè la sua musica immensa nasconde dietro il brio e l’iralità la tragicità della vita. Ogni volta che un bimbo chiede “Dov’è Mozart?” è perchè sente il lontananza un suono: è quello di un enfant prodige del nostro tempo che mette per la prima volta mano su un pianoforte, da qualche parte nel mondo.

Sento anche io lo stesso suono di Alice. E’ troppo tardi per urlare a tutti che Amadeus abita ancora qui. Sono sull’autobus sul filo del tramonto. Il confine che divide l’Austria dalla Germania non è poi così lontano.

Cartolina d’estate: Norimberga, la bavarese che sussurra alla Germania

Rosario PipoloLa mia alba è on the road, su un FlixBus che mi porta da Monaco di Baviera a Norimberga. Mi sembra di essere tornato nella lunga traversata di oltre 6.000 km negli USA di dieci anni fa.

I viaggi in autobus ci aiutano a riscoprire la bellezza di essere parte della comunità locale: la mamma che accarezza il bimbo accanto a me guarda il passeggio delle prime nuvole dal finestrino. Norimberga è una città che non ti aspetti, lo capisci subito, appena arrivi: è una città che vuole farsi scoprire lentamente, con discrezione e svelarti così i segreti di questa zolla della Germania.

Alla larga dagli italiani piagnucoloni che a colazione vorrebbero solo cornetto e cappuccino, mi fiondo in una macelleria. Mi cuociono a prima mattina una manciata di salsicce di Norimberga, quello che loro chiamano Bratwurst.
Ingurgito calorie a sufficienza per arrampicarmi fino al Castello, che gioca a fare da macchina del tempo. Poi finisco nella casa di Albrecht Dürer. Ripenso a l’arte di Miriam Prato, brava artista scoperta in una galleria del piacentino e capace di ingrandire con poesia e dare una nuova vita ai piccoli dettagli delle tavole di Dürer.

Monica Giorgetti Stierstorfer, guida italiana trasferitasi qui da Roma vent’anni fa per amore di un tedesco, mi porta a zonzo. Raccolgo i piccoli dettagli che sono in fin dei conti il nutrimento di ogni viaggiatore che si rispetti. I riflessi dell’acqua dei canali sciacquano le macchie di chi continua ad assocciare Norimberga a roccaforte del Nazismo.
Gli orrori del Führer, seppelliti con disprezzo dai berlinesi, serpeggiano sotto le macerie di questa città completamente ricostruita, tra ombre della memoria, del Nazismo assassino dietro gli scheletri nell’armadio.

Norimberga merita di essere ricordata per altro, per la sua timida bellezza che viene fuori da una pudica scollatura come la piazza del Mercato dove mi fermo a parlare con gli ambulanti. Il ‪viaggio‬ è il tragitto più coerente per imparare a silurare  i pregiudizi: la grande civiltà dei tedeschi resta ancora una gran bella lezione a dispetto della cialtroneria all’italiana. E tutto non si riduce alla goliardica sfida su un campo di calcio al prezzo di un pallone tirato in porta.

Sotto una pioggia estiva, dal profumo bagnato delle lacrime, riparto sul mio autobus. La ‪‎Germania‬ ha sofferto, ha pagato. Con la complicità di una classe di docenti imbecilli noi abbiamo solo giudicato.