Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Facebook: tutti pazzi per Cityville? Io, no!

L’anno scorso un amico osò interrompere la nostra conversazione telefonica: “Adesso ti lascio, devo tornare alla mia fattoria”. Ed io con aria bonaria replicai: “Non sapevo di questa nuova attività”. Insomma, mi ero imbattuto in un’altra vittima del gioco facebookiano di Farmville.
All’inizio del 2011 il popolo del social network più affollato del pianeta si sta dando alla pazza gioia su Cityville, il nuovo game che vi trasforma in proprietari di una bella casetta, senza l’accollo di un mutuo. E’ nato pure il primo fan site tutto italiano con trucchi e segreti.
“Cos ‘e pazz”, direbbero nella mia Napoli, soprattutto se la ragazza che ti piace diventa abitante della nuova città facebookiana e non c’è niente che le faccia fare un passo indietro.
“Scusami, mi tocca andare a raccogliere le carote”, ti scrive improvvisamente in un messaggio. Insomma, un modo garbato per liquidarti. Tuttavia, c’è sempre una consolazione, prima che sopraggiunga l’estrema unzione: ti invita ad entrare nel paesotto virtuale di Cityville e diventare suo vicino di casa. Qui il vicino puoi scegliertelo su misura. Accipicchia, che fortuna mi sono detto inizialmente! E pensare che io mi stavo dannando per affittare un buco che affacciasse su casa sua per corteggiarla alla vecchia maniera.
Io non voglio la residenza a Cityville, ma nel suo piccolo mondo, quello vero in cui potremmo condividere anche il gioco, perchè no, magari facendo un furtarello di tanti pezzettini delle costruzioni Lego e abbozzare la casetta dove vorremmo vivere assieme.
Il rischio? C’è ed è quello che mi ripeta la solita filastrocca: “Mi spiace tu sia arrivato fin qui. Mi tocca andare a raccogliere le carote”. E non quelle che mia mamma mi spiattellava ogni settimana a pranzo, ma quelle finte di Cityville, che non hanno sapore e ci privano di un bellissimo piacere: tornare a “giocare” guardandoci diritto negli occhi.

Ci mancherà Enzo Bearzot e l’Italia che faceva squadra

Prima ancora che il calcio fosse annebbiato dalla tangentopoli dei pallonari, c’era la compostezza di Enzo Bearzot. Prima ancora che gli stadi fossero affollati da grezzi sbruffoni, c’era lo stile di Enzo Bearzot. Prima ancora che le rincorse emotive dietro un pallone si riducessero ad una ingordigia di violenza, c’era la sportività di Enzo Bearzot.
Come calciatore se lo ricordano in pochi, quei quattro gatti legati alle cronache sportive in bianco e nero del Belpaese del secolo scorso. Come Commissario Tecnico se lo ricordano in tanti, perché nel 1982 ci fece sognare ai Mondiali di Spagna con la Nazionale Italiana Campione del Mondo. In quell’occasione ci sentimmo eroi invincibili per più di una stagione, perché è vero quando si dice che tra gli spalti di uno stadio si assiepa lo specchio sociale. Quest’Italia di oggi, furbetta e cinica, è figlia di un’Italia che tentava di rifarsi la faccia attraverso il sorriso sornione del partigiano romantico, il Presidente tifoso Sandro Pertini. Questione di stile, in politica come nel calcio?
Allora Bearzot c’entra con Pertini. C’entra perché fu testardo a credere nei nuovi campioni – i Tardelli, i Rossi, gli Zoff, i Cabrini – non attraverso l’edonismo degli allenatori globalizzati, bensì nel vero gioco di squadra che si fa bilanciando il tatticismo della testa con la passione del cuore. Quello di Vecio era un altro calcio, quello dello stare assieme. Enzo Bearzot ci mancherà perché oggi ognuno vuole vincere da solo, ad ogni costo. Lui ci ha dimostrato che, nel gioco come la vita, lo scintillio di una vittoria condivisa vale più di qualsiasi altra gloria subordinata al becero individualismo.