Il matrimonio di mio marito e il Sud nell’arte di Salvo Bonfiglio

Rosario Pipolo“Il matrimonio di mio marito” potrebbe essere il titolo provocatorio di Pietro Germi, in quel cinema dalla caratura di Divorzio all’Italiana o Sedotta e abbandonata che scattò un’instanea grottesca del Sud Italia a cavallo del Boom. Invece no, è il titolo di un gioiellino d’arte contemporanea di Salvo Bonfiglio che mi ha particolarmente suggestionato.

Il tratto di Bonfiglio ha qualcosa delle pellicole del Neorealismo, che furono all’altezza di raccontare il nostro Meridione con quel misto di poesia e cruda verità tanto da infastidire il regime politico di allora che le liquidò: “I panni sporchi si lavano in famiglia”.

In questo olio su tela grezza, nella finta immobilità dei protagonisti, c’è il movimento di Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza, dove sono i personaggi a venire incontro a noi che li osserviamo. Questa coppia di sposi, accompagnati da un seguito che connota le radici di Bonfiglio, mi hanno riportato ai racconti di mio padre.
All’alba degli anni ’50 del secolo scorso, quel furfante di papà insieme ai compagni di giochi si intrufolava ai matrimoni delle contrade contadine del mio Sud per mangiare qualche dolcetto e respirare aria di festa.

Salvo Bonfiglio abbozza soltanto i volti dei personaggi perché al resto pensiamo noi. Il Sud non ha solo un connotato geografico, imprigionato da tanti nell’odioso campanilismo di questo o quel luogo. Il Sud di Bonfiglio è lo stesso Sud che mi sforzo di vivere io, ovvero prospettiva interiore attraverso cui trasformare la noiosa routine in esistenza.

Perciò godermi quest’opera a pochi passi dal Po non è stata una beffa dell’ennesimo mio vagabondaggio. La tela di Bonfiglio è uno specchio attraverso cui guardarsi senza timore. A ciascuno la sua radice e la presa di coscienza che tutti esistiamo a Sud di qualcosa. Ciò accade quando in silenzio ci perdiamo a condividere l’interiorità degli altri, per fare della storia donata da qualcuno la nostra prossima storia.