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Luca Ronconi, quelli che il teatro…

Rosario PipoloQuelli che il teatro lo scelsero perchè il restante fuori il recinto del palcoscenico fosse risucchiato e vissuto con lo sguardo di chi mette insieme drammaturgia, personaggi, esistenza viscerale nella lotta scomposta tra anima e corpo. Il gigante Luca Ronconi.

Quelli che il teatro lo trascinarono nella visione riflessa, dopo Giorgio Strehler e Luigi Squarzina, del terzo occhio per costruire l’impalcatura che fece della regia presa di coscienza, irreversibile rivolta al sistema, contropartita nell’Orlando Furioso, scacco matto dell’avanguardia teatrale in Italia. Il regista Luca Ronconi. 

Quelli che il teatro lo donarono con generosità agli attori e alle attrici che palparono sotto forma di argilla l’unico modo di esistere senza compromessi: dai Branciaroli alle Melato che gli riconobbero il merito di averli illuminati. Il maestro Luca Ronconi. 

Quelli che il teatro lo abitarono e fecero del sipario le tende della propria casa; del palcoscenico la quercia centenaria del proprio giardino; delle quinte gli armadi di tutte le stanze; delle luci della ribalta l’illuminazione di ogni ambiente domestico; dei camerini le tane dove fermarsi a riflettere, dall’Argentina di Roma al Piccolo di Milano. L’uomo di teatro Luca Ronconi. 

Quelli che il teatro lo vissero senza la persecuzione delle scadenze del tempo, convincendoci della reincarnazione dell’uomo di teatro come se, l’invecchiamento a cui siamo condannati noi comuni mortali, non li riguardasse.
A questi ultimi gli dei dissero no alla sepoltura, lasciando il legno del palcoscenico come involucro delle spoglie mortali.  Essere Luca Ronconi.

Quelli che il teatro lo fecero senza sapere che il teatro furono loro stessi. 

Addio a Mariangela Melato. In un camerino mi diede una gran bella lezione…

Mariangela Melato

Rosario PipoloLa prima volta che la incontrai in camerino, tremavo come una foglia. Accadde al teatro Diana di Napoli. E non perché fossi un giovane alle prese con le prime interviste, ma perché Mariangela Melato a teatro mi confermava sempre la stessa impressione: in quel corpo trovavo l’eleganza di un cigno che avvolgeva la sensibilità, la semplicità, l’intelligenza, l’ironia di una donna autentica ed indipendente.

Il camerino era illuminato. Mi mise ad agio. Chiacchierammo. Non parlammo di cinema, solo di teatro. Teatro, tanto teatro. L’audiocassetta terminò e il registratore smise di girare. Stavo per cambiare nastro. Lei mi fermò con la coda dell’occhio e disse: “Continuiamo noi due. Questi aggeggi danno un tono troppo meccanico agli incontri.” La Melato diede una gran bella lezione ad uno sbarbatello come me. Trasformare un’intervista in un incontro arricchiva l’intervistato, offrendogli il grande privilegio di intravedere l’altra prospettiva di un attore.

Fino a quel momento Mariangela Melato era stata per me la sottoproletaria Fiore in Mimì Metallurgico di cui mi ero infatuato, attraverso un piccolo televisore in bianco e nero in cucina, attaccato alla gonnella di mia madre. Dopo quell’intervista – pardon, incontro – Mariangela Melato si rivelò l’unica donna del palcoscenico italiano a vestire la nudità delle generazioni degli Anni di Piombo e del Riflusso in Italia. I suoi personaggi memorabili, al cinema, in televisione o a teatro, ci hanno aiutato a difenderci dalla mediocrità della quotidianità.

Mariangela Melato se n’è andata proprio in un momento storico in cui la mediocrità è all’ordine del giorno. Soprattutto quella più insidiosa, con cui a volte ci troviamo gomito a gomito nella routine, quella che trapela dalle persone mediocri, di cui dobbiamo imparare a disfarci nella vita privata e lavorativa.
E sono proprio le donne anti-dive alla Melato a restituire al teatro l’inossidabile funzione di depuratore dell’intelletto, del pensiero, dell’anima. Joan Baez disse: “Non si può scegliere il modo di morire e nemmeno il giorno. Si può decidere soltanto come vivere”. Mariangela Melato ha vissuto nel teatro e per il teatro.

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