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Quanto ce ne frega del matrimonio di William e Kate?

Ho tirato fuori dall’armadio lo smoking. Forse lo riutilizzerò il prossimo 29 aprile per imbucarmi al matrimonio di William e Kate. Del resto, sono recidivo: la prima volta che ho messo piede nell’ Abbazia di Westminster mi sono infiltrato, perché, nella mia ottica sovversiva da adolescente, era impensabile pagare l’ingresso per una Chiesa. All’epoca, volevo rendere omaggio ad Elisabetta I, sovrana piena di contraddizioni, grazie a cui mi ero potuto cibare di testi teatrali pregnanti.
Tornando al Principe felice e alla consorte, a parte i souvenir kitch che affollano Londra così come il gossip ridicolo che invade il web, mi sono chiesto quanto ce ne importi davvero di questo matrimonio reale. Nel cuore delle nuove generazioni la monarchia anglossassone non rappresenta neanche più il ridicolo accessorio ingombrante, che continua a costare agli inglesi sudore e fatica. E non ci vuole mica un film di Ken Loach per svelare l’amara verità? Il fumo negli occhi delle nozze di William e Kate non cancellerà i problemi sociali ed economici che stanno divorando la Gran Bretagna, isola infelice dilaniata dai litigi da cortile dei Laburisti e Conservatori.
L’iconografia di Buckingham Palace è finita nell’ultimo gesto che ha decapitato per sempre gli intrighi di corte: la regina Elisabetta che china il capo al passaggio del feretro di Lady Diana Spencer, l’ultima principessa, l’ultima “Rosa d’Inghilterra” che aveva imbarazzato gli Anglicani per l’oltraggioso imparentamento con i Musulmani. Paradossalmente sarà proprio il fantasma di Diana a vagare sulle nozze più attese dell’anno, perché in tanti cercheranno di trovare nel matrimonio di William e Kate quello della principessa ribelle con l’ingessato erede al trono Carlo.
Quel 29 luglio del 1981 ero incollato anche io alla tv per seguire l’evento. Ero in vacanza a Paestum. Presi per mano Benedetta, la mia fidanzatina, le preposi una cerimonia improvvisata tra le cassette di bibite del deposito del nonno: Io ne avevo 8 e lei 5. Le posi sul capo uno scialle velato fregato a mia madre e usai come anello quello che apriva le lattine di Coca-Cola. Io e Benedetta fingemmo di essere Carlo e Diana e, appena la diretta televisiva terminò, sognammo che quella carrozza arrivasse da Londra a Paestum per portarci via. Non so se oggi il matrimonio di William e Kate ispirerebbe una coppia di bambini come è successo a noi. Non credo, perché dopo tutto i futuri reali sembrano una coppia di bambolotti destinati a finire sulle bancarelle dei giocattolai.
Nel caso non usassi lo smoking per le nozze londinesi, sapete cosa vi dico: mi rimetterò alla ricerca di Benedetta per dirle che trenta anni fa avevamo visto lungo. Del matrimonio del 29 aprile non ce ne frega niente, perché da allora i principi e le principesse vivono fuori dai palazzi.

Christiania, il mondo hippy e le piccole utopie

Nel 1971 ad occupare un’area della città di Copenaghen è un gruppo hippy, capeggiato dall’anarchico Jacob Ludvigsen. Nasce la città libera di Christiania, destinata ad ospitare fino ad oggi una delle comunità più osteggiate dal governo danese. Quando ho varcato il confine di Christiania, mi è sembrato di essere finito in un altro mondo. Erano le baracche trasformate in casa o la gente testarda ad inseguire un’utopia? Per vivere lì mi hanno spiegato che è necessaria l’approvazione di un consiglio dell’area: “Vogliono farci pagare le tasse, vogliono cacciarci. Noi non molliano”. L’affermazione di questo uomo di mezza età, mi ha riportato ad un’estate del 1981. Io ed un gruppo di bambini, sotto il sole di luglio, avevamo creato la nostra “Christiania”: gli adulti non potevano entrare, le case erano fatte con le cassette della frutta e noi vivevamo liberi tra i nostri giochi e sogni. A Paestum, una sera mi sposai con Benedetta, la mia fidanzatina di 5 anni. Una promessa di matrimonio semplice nella nostra casetta, interrotta da mia nonna che mi chiamava per andare a cena. Finita l’estate, vennero a riprendersi le cassette per la vendita della frutta. Noi protestammo. Benedetta pianse e io la rassicurai: “Un giorno tornerò, dopo aver fatto il militare, e costruiremo una nuova città per vivere felici per sempre”. Ho scampato il servizio militare e Benedetta non l’ho più rivista (Se la trovate avvisatemi!). Le utopie sono indispensanbili, piccole o grandi che siano, ma la “nostra Christiania” si è sciolta sotto il sole, l’ultimo giorno di luglio di ventisette anni fa.