Pray for Paris, nel silenzio di Parigi il Ground Zero dell’Europa ferita
Avremmo dovuto sentire il tifo acceso parigino allo Stade de France per l’amichevole Francia-Germania. A Saint-Denise Parigi ha sentito lo stesso boato del massacro terroristico di Monaco di Baviera nel 1972.
Avremmo dovuto ascoltare fino all’ultimo arpeggio le chitarre graffianti degli Eagles of Death Metal. Parigi invece ha assistito incredula alla carneficina a freddo di un pubblico da concerto tra le mura del Bataclan.
Avremmo dovuto festeggiare senza troppi clamori il nostro anniversario al ristorante Petite Cambodge. Ci hanno servito invece colpi di kalashnikov e la Torre Eiffel non ci ha aspettati tutta illuminata come la prima volta per il romantico bacio di mezzanotte.
Il terrorismo si è preso beffa di tutte le misure di sicurezza dopo la prima avvisaglia dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo dello scorso gennaio. I terroristi del 13 novembre non hanno colpito le istituzioni, ma direttamente la libertà di tutta la comunità nei luoghi che rappresentano la quotidianità di ciascuno: lo spalto di uno stadio, la sala di un concerto, un ristorante.
E’ uno dei momenti più bui della Quinta Repubblica Francese e il più oscuro della traballante presidenza di François Hollande.
L’ISIS ha scavato con un bagno di sangue il Ground Zero europeo nel cuore di Parigi. L’Europa abbassa il capo ferita e nelle ultime 50 ore ha preso coscienza di avere il suo 11 settembre. La paura ha abbassato i livelli di sicurezza emotiva, non la sentiamo più neanche nei nostri bunker a forma di casa. Il pericolo lo corriamo tutti.
Lo sciacallaggio mediatico ha mostrato che in Italia basta poco per essere sconci: il titolo di un quotidiano fuori posto, la bega politica nel cortiletto televisivo o l’intervista insensata.
I social network, che in questo weekend infernale hanno dimostrato per l’ennesima volta di essere bacino spontaeno di pubblica utilità, hanno supportato le famiglie delle vittime e dei dispersi attraverso l’hashtag su Twitter #RechercheParis.
Parigi non sarà più la stessa così come tutta l’Europa. Non è più tempo di crociate, di guerre mondiali e forse neanche delle guerre intelligenti, spiegate negli anni ’90 da Rossella Savarese in un saggio su cui mi sono formato. E’ tempo di affrontare con coscienza e senza l’istinto vendicativo o guerrafondaio la sordità dell’odio, quello che Kassovitz spiffera nelle sequenze dell’indimenticabile film La Haine.
In queste ore di fermo emotivo e silenzio si legittimano le riflessioni: i ricordi personali, che legano ciascuno di noi alla Parigi ferita, torneranno ad illuminare la Torre Eiffel, al buio prima della mezzanotte nelle ore del terrore sulla coda del 13 novembre.
Restituiremo a Parigi, attraverso la gratitudine e la riconoscenza di viaggiatori, anima e serenità, recuperati dal perimetro di un selfie, di uno scatto qualunque, di un momento speciale condiviso.
Vogliamo che la Torre Eiffel non sia ricordata come un ammasso di ferraglia spettrale, perché Parigi non resti un lager, ma una terrazza da cui guardare il futuro della memoria di essere europei nella gioia e nel dolore.