Diario di viaggio: Salerno, io e te vicini nonostante tutto…
Mentre la settimana scorsa ero alla Feltrinelli di corso Vittorio Emanuele a Salerno per presentare il mio romanzo “L’ultima neve alla masseria”, osservavo la platea. Mi aveva colpito lo sguardo occhialuto di una ragazza che prendeva appunti. Serena, la cronista del quotidiano La Città, passata ad intervistarmi, aveva riflessa negli occhi la stessa luce che luccicava nei miei il giorno in cui il mio destino si legò a Salerno.
Nell’ottobre del 1992, sul palco del Capitol, cominciai sotto la guida di Ruggero Cappuccio il lento percorso che mi avrebbe trasformato in “uomo di teatro”. Perciò ho voluto che ad accompagnarmi in questa tappa fossero il regista Antonello De Rosa e i suoi meravigliosi attori di Scena Teatro Simona Fredella, Gina Ferri, Fiorenzo Pierro e Alessandro Tedesco. In fin dei conti Antonello assomiglia a Pietro, il protagonista del mio racconto: lotta in difesa dei sogni e indossa il mantello del teatro per raccontare con la sensibilità di un antropologo gli umori del territorio.
Cara Salerno, era tempo che avevo voglia di scriverti una lettera. Affacciandomi nella vetrina di La Feltrinelli e vedendo esposte le copie del mio romanzo, ho visto il riflesso del legame con te: le coccole delle compagne d’Accademia l’attrice Gina Ferri e la regista Nadia Baldi; le mattinate sul lungomare a mandar giù copioni; le chiacchierate con Ermanno Pastore che, attraverso i suoi dipinti, mi raccontava la Salerno del secondo dopoguerra; i sorrisi degli anziani, raccolti sui balconi del centro storico, come quelli di nonno Pasquale e nonna Lucia, che nel ’45 conclusero proprio qui la loro luna di miele.
Salerno, sono tornato per ringraziarti: in tutti questi anni hai custodito gelosamente i miei sogni, gli stessi che hanno appesi al cuore i miei personaggi, da Caporà a Silvio il guardastelle. Sono tornato a riprendermeli. Milano mi ha adottato senza riuscire a trasformarmi in un manager. Tu, Salerno, mi hai reso per sempre “uomo di teatro”, cucendo per me l’abito più bello, quello fatto dei sogni che aiutano “la memoria” a camminare con le proprie gambe, urlando sottovoce l’unico bisogno che ci rende liberi in questo mondo: manifestare attraverso il viaggio l’amore per ciò che ci circonda.
E l’ultimo sogno mio brilla negli occhi limpidi di Serena e della sua generazione, in una lunga rincorsa verso il futuro che fa del “nostro Sud” la prospettiva interiore dello sguardo sui dettagli.