Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Museo Immigrazione

Memoria e commozione al Museo dell’Immigrazione di Ellis Island

IL portale immigrazione degli USA si trova all’Ellis Island. L’isolotto nella baia di New York fu tappa obbligata per tutti gli immigrati in entrata negli Stati Uniti d’America. Il ritorno al Museo dell’Immigrazione mi ha ricordato che anche noi italiani lo siamo stati.

DA LADY LIBERTY AL PORTALE IMMIGRAZIONE

L’apnea della memoria ti costringe a vedere tutto quello che c’è intorno a te attraverso un ponte che collega presente e futuro. La mia prima volta sotto e dentro la Statua della Libertà, nel lontano 1992, non fu il vezzo di uno studente. Fu il desiderio di un ventenne di allineare il proprio sguardo agli emigranti che scorgevano dalle navi, in arrivo da mezza Europa, quello accogliente e rassicurante di Lady Liberty.

ISOLA DI LACRIME E SPERANZA

Entrare nel corpo della Statua della Libertà è come rientrare nel ventre materno, dare calci al sogno antico di partire alla conquista di una nuova vita. Essere traghettato su Ellis Island, oggi casa del portale immigrazione degli Stati Uniti d’America, è cogliere un’occasione unica e irripetibile. Sì perché il Museo dell’Immigrazione è la testimonianza concreta di un Paese che fa i conti con la storia. Atto coraggioso è anche riconoscere i costruttori dell’American Dream nel lavoro di tutti gli immigrati passati fino al 1954 sull’isola di lacrime e speranza

SILENZI E MEMORIE AL MUSEO DELL’IMMIGRAZIONE

Le gigantografie fotografiche di uomini, donne, bambini, gli sguardi desolati dopo aver lasciato la terra natale, commuovono noi viaggiatori mentre ci soffermiamo nella sala a piano terra dove si registravano i bagagli degli immigrati.
L’ansia per la paura dell’espulsione cominciava nella maestosa Registry Hall dove, superati i controlli e la visita medica, si scampava il pericolo di essere rimandati indietro. Il silenzio e il vuoto di questa sala vi accompagneranno per tutto il percorso e se finirete a mangiare un hamburger nel vecchio refettorio vi sembrererà di rivedere i volti di allora. Emozioni che sentirete addosso persino nell’ultima parte di traghettata fino a Battery Park.
E lo spettrale incubo che il nostro tempo avido di futuro strappi all’improvviso queste pagine di storia? Non accadrà finché ci saranno nuove generazioni ad affollare musei come questo.

Viaggi al cioccolato: i 20 anni di Le Caméléon Chocolate

Cioccolato e viaggi, due passioni intense, che filano il mio incontro con le Maître Chocolatier Sophie Vanderbecken. Quale modo migliore per festeggiare i vent’anni Le Caméléon Chocolates a Città del Messico?
Farsi offrire un bel posto letto per dormirci sopra e scoprire i piccoli segreti del famoso laboratorio artigianale della capitale messicana al numero 87 di Manuel Payno.

CIOCCOLATO E RICERCA

Sophie, belga d’origine e messicana d’adozione, mi ha confessato durante il nostro primo incontro a Oaxaca de Juárez qualche mese fa: “La passione per il cioccolato appartiene agli anni dell’infanzia. Dopo il trasferimento in Messico ho capito che potevo farne un mestiere ad un patto. Mettere la ricerca al centro della mia nuova attività.” Sophie non era stata la classica bimba golosona che svuotava la dispensa della nonna. Era cresciuta incuriosendosi piuttosto su cosa ci fosse dietro quei sapori e i vari equilibri.

CIOCCOLATO E VIAGGI

La Vanderbecken, attraverso il successo di Le Caméléon Chocolate, ha contribuito a frantumare nel suo piccolo l’odioso maschilismo di cui è infestata l’industria del cioccolato. Le sue ricerche la portano in giro tra le migliori piantagioni, dal Venezuela alla Colombia.
Competenza e conoscenza in anni di lavoro sodo fanno delle fiere di mezzo mondo la seconda casa di Sophie così come le competition. Penso a quelle bandite dall’Università di Londra sulle sculture di cioccolato o agli International Chocolate Awards in Perù.
La partecipazione a conferenze in prestigiose cornici di settore, dal Salone del Cioccolato e Cacao di Città del Messico al Festival del Cioccolato di Tabasco, hanno spinto Sophie Vanderbecken a salire “in cattedra”.

LE CAMELEON CHOCOLATE

Il valore aggiunto della conoscenza sta anche nella condivisione e così il laboratorio Le Caméléon Chocolate si trasforma spesso in aula per interessentanti workshop e aggiornamenti su questo affascinante mondo.
Nei giorni messicani delle mie incursioni dietro le quinte della bottega artigianale del quartiere di Obrera, ho avuto modo di apprezzare e capire da più vicino determinate scelte. Produrre del cioccolato di alta qualità con i grassi vegetali non rispetta soltanto la salute alimentare ma anche la natura stessa.
E poi sia cioccolato al peperoncino a Nogada o deliziose praline al gianduia l’assaggio contiene storia e radici, memorie culinarie che fanno del cacao e della sua lavorazione un patrimonio dell’umanità da salvaguardare.


C’era una volta in America e Giamaica il viaggio con mia moglie

C’era una volta in America in 32 giorni di viaggio senza tralasciare una storia che pochi conoscono. Lo scorso dicembre stavo per realizzare il sogno di Luisa, mia moglie, di trascorrere Natale a New York. Era tutto pronto, un mese prima mi sono accorto che l’ESTA non era valido. Cuba, da cui ero appena rientrato, era stata inserita dagli USA nella lista dei Paesi “sponsor del terrorismo”. Ho smosso mari e monti ma non c’è stato modo di anticipare il colloquio in Consolato a Milano. A grande sorpresa, dopo lamentele e disappunti, hanno esteso il mio Visto da uno a dieci anni.
Una medaglia al valore che, nei giorni in cui New York è stata stordita da una tempesta glaciale, mi ha spinto a riorganizzare il viaggio da Sud a Nord lungo la East Cost americana. Mentre gli altri brindavano al Nuovo Anno e i nostri bagagli erano in un angolo, il sottoscritto azionava i superpoteri da re del lowcost. “Donna di poca fede – le dissi a suo tempo – ho preso con una delle compagnie aeree top in altissima stagione andata su Miami e ritorno da Chicago a meno di 600 euro. E ci sono anche i tuoi amati bagagli da 23 chili. L’America non sarà più di due settimane in una città ma di 32 giorni da girovaga.”
Sette mesi dopo, nel giorno del mio 50 compleanno, come in un racconto di Henry James, Luisa ha cambiato le carte in tavole con i suoi risparmi: “Doveva essere la mia prima volta in America ma è anche la tua. Ci torni per la quinta volta e il biglietto aereo del tuo primo viaggio dei 50 voglio sia il mio regalo.”

C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA

Trentadue giorni incredibili lontani dai viaggi confezionati o da catalogo. C’era una volta in America di decenni e decenni di ritorni vissuti, che volevo presentare a mia moglie, lontano dal cliché di Paese guerrafondaia o landa del cibo spazzatura. I miei Stati Uniti, attraversati in oltre 30 anni di viaggi, restano quelli dei versi di Dylan Thomas, le pagine di Kerouac, Bukowski e Hemingway tradotti sulle orme di Nanda Pivano intervistata su un divanetto milanese. E poi ancora il cinema di Chaplin, Scorsese e Allen, l’arte di Warhol, le provocazioni di John & Yoko, il rock di Springsteen, le poesie musicate di Bob Dylan e Lou Reed, il blues di B.B. King. E cosa dire dell’incontro a Chelsea con Susan Sarandon, l’altra metà delle nostre “Thelma & Louise”, o delle saette musicali e antifricchettone di Zappa? Queste ultime le dedico ai radical chic che volevano farmi andare di traverso l’hot dog in cambio di una scodella di riso delle vecchie e moderne dittature asiatiche. Sono come San Tommaso, viaggio per vedere con gli occhi, altrimenti resto a casa e sto zitto.

DA MIAMI A NEW YORK


Il nostro viaggio dalla Florida condivisa con i cubani immigrati fuggiti dalle schifezze dei regimi di Fidel e Raul Castro, all’affacciata sul balcone di Hemingway a Key West, punta estrema degli USA con lo sguardo rivolto al mare dei Caraibi. Dalla Miami speciale nel giorno dell’onomastico di Mimmo, un nostro caro amico, al terzo rientro a New York (mio padre sacrificò due stipendi da operaio per mandarmi la prima volta nel ’92). Senza l’effimera sapienza dei gruppi facebookiani, il faretto per mia moglie è stato il mio vissuto nella Grande Mela, della Statua della Libertà, di Ellis Island e del museo degli immigrati, della nuova amicizia con Vincenzo, emigrato con la famiglia a Brooklyn negli anni ‘60 da Pomigliano d’Arco, orgoglio di essere un italiano in America attraverso una vita fatta di sacrifici, onestà, lavoro e amore per la famiglia.
E quando a sorpresa ce lo siamo trovati all’aeroporto di JFK è come se mio padre da lassù lo avesse telefonato: “Vince’ mi nasconderò dietro di te, sarò la tua ombra, così gli sembrerà che sono tornato a prenderlo in aeroporto.”

GLI USA TRA VITA QUOTIDIANA E AMARCORD


Luisa, distante dalla goliardia degli odiosi “viaggi instagrammati”, si è ritrovata a cominciare le giornate newyorchesi in una stanza di Queens, a sorridere al nuovo vicinato multietnico, a passeggiare nella Brooklyn periferica di Bay Ridge assieme a Tony Manero di “La Febbre del Sabato sera”. E poi a girare tra le giostre poetiche di Coney Island e non nelle disneyane costose e affollate di Orlando, ammutolita nel silenzio di Ground Zero dopo averle anticipato che la mia New York del ‘92 non sarebbe più tornata indietro.
L’emozione di vedere Luisa, la ragazza di periferia di cui mi sono innamorato tredici anni fa, nel Village a New York nello stesso punto dello scatto della copertina di un disco di Bob Dylan, al tramonto sull’Interstate 41 del Wisconsin o con il gps a cercare i luoghi del film Rocky in un sobborgo malfamato di Philadelphia. Era lei a tifare per i Cubs ad una partita di baseball a Chicago, a passeggiare nel lungo flashback della Milwaukee di Happy Days e Laverne & Shirley, improvvisata criminologa tra le ombre dei gangster e di Al Capone nella Chicago del Proibizionismo, ad un passo dal gigante Buddy Guy in un club di blues dell’Illinois.

L’ALTRA GIAMAICA TRA PERICOLI E DISUGUAGLIANZE

E poi la virata della settimana in Giamaica, ispirata dalle canzoni di Bob Marley e Peter Tosh. Giamaica non è il mare caraibico o il confort dei resort spuntati come funghi negli ultimi decenni, oppio del turismo di massa e dei crocieristi. È la povertà vista nel nostro pellegrinaggio, un’isola stremata, pericolosa e piena di disuguaglianze, che si porta dietro ancora lo sfruttamento e gli scheletri nell’armadio del colonialismo inglese. Indimenticabili emozioni sugli spalti dello stadio di Kingston a condividere con i giamaicani la Festa dell’Indipendenza. Questa parentesi di sette giorni è racchiuso in un palmo di mano, nel gesto di generosità da parte di una famiglia di Ocho Rios: “Signora, non abbia paura. Vi riportiamo a casa. Salga in auto al posto mio, tanto nostro figlio si infila nel cofano, c’è spazio per tutti.”

VIAGGI E RINASCITE


Dopo questi episodi di generosità gratuita, in ogni rinascita e nuova vita che ciascun viaggio mi dona, torna con prepotenza la mia strafottenza verso i legami imposti perché la famiglia e le amicizie si allargano on the road, “sulla strada”.
I viaggi indimenticabili non li fanno un biglietto aereo o l’ansia di prenotare alberghi nel posto giusto ma i viaggiatori che sanno farsi passeggeri del mondo e dell’esistenza.

Casa Azul, Frida Kahlo

Frida Kahlo è viva nella sua Casa Azul a Città del Messico

Occhiali

Alla casa museo di Frida Kahlo ci sono arrivato a prima mattina. Ero in viaggio a Città del Messico. Casa Azul si trova a Coyoacán, una delle mie colonie preferite nella capitale numero 58 del mio giro del mondo. Dov’è nato desiderio di un incontro spiriturale con la pittrice messicana?

DAL FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA A CASA AZUL

Nel settembre 2002 ero al Festival del Cinema di Venezia per la prima di Frida, il film diretto da Julie Taymor. Della mia intervista all’attrice protagonista Salma Hayek mi colpì il racconto del suo lavoro di preparazione all’interpretazione di Frida Kahlo, personaggio femminile molto complesso.
Mi disgustano le infatuazioni nazional popolari, allora in tanti a stento conoscevano l’arte di Frida. Il film di Taymor ha avuto il merito di aver illuminato la mia generazione. Qui è germogliato il seme del desiderio di visitare la casa-museo a Città del Messico che custodisce la memoria di Frida e del marito Diego Rivera.

INCONTRO SPIRITUALE CON FRIDA E DIEGO

Ho sempre nutrito dubbi sulle case-museo e spesso hanno deluso le mie aspettative. Casa Azul, dove Frida nacque nel 1907 e si trasferì con il grande pittore e muralista messicano nel ’40, ha un nonsoché di magico.
Entrandovi scatta un’immersione totale tra il visitatore e chi è riuscito a mischiare arte e vita, facendo della propria evoluzione il motore artistico di ua riflessione esistenzialista e ideologica. Casa Azul non è un luogo di antiche memorie o spettri soggiogati dal turista avido di selfie, è piuttosto la corsia preferenziale per un incontro spiriturale con Frida Kahlo e Diego Rivera, di cui si avverte la presenza.

FRIDA KAHLO E DIEGO RIVERA SONO VIVI

Frida Kahlo e Diego Rivera sono vivi attraverso gli oggetti e le opere d’arte che abitano le stanze della casa, le suppellettili, lo scrittoio, il tavolo e gli arnesi di lavoro, la sedia a rotelle di Frida sulle cui ruote è in sosta ancora il dolore e la sofferenza di una vita.
Mentre ci cammino ho tra le mani una pubblicazione rara stampata in pochi esempleari. Me lo ha procurato un vecchio libraio del centro storico di Città del Messico. Si tratta del catalogo della prima mostra nella capitale di Diego Rivera realizzata nel 1958, ad un anno dalla sua scomparsa.
Esco e mi fermo nel giardino, mi siedo, mi guardo intorno. Apro il taccuino, prendo la biro, mi sembra di averli di fronte a me. Comincia l’intervista desiderata, immaginata.

Chiapas

Messico e nuvole in 5.400 chilometri da Sud a Nord

Occhiali

Messico e nuvole in viaggio, nei 5.400 chilometri in bus in 26 giorni emozionanti e difficili da organizzare tra Sud, Ovest, Centro fino al Nord. Il mio Messico, lontano dal turismo di massa di Cancun e Playa del Carmen delle coppie di sposini confinate dai tour operator nello Yucatan dei gatti e delle volpi.

DALLO YUCATAN AL CHIAPAS

Messico e Nuvole da Valladolid fino alla poco taccheggiata Merida, superando il marketing turistico di Chichen Itza, grazie a cui completo le 7 meraviglie, per eleggere Uxmal a Meraviglia del Mondo. Messico e nuvole alla ricerca dei Maya e degli Aztechi, i battiti archeologici tra Palenque e Monte Alban, la traversata dello stato di Campeche, le ombre dei Narcos al confine con il Guatemala, giorni e notti burrascosi nel pericolosissimo Chiapas, noi su quel mini van con la polizia che ci ha instradato, la pittoresca San Cristobal de la Casas, spiritualità Maya-cristiana a Chamula, i fantasmi dell’Esercito Nazionale di Liberazione Zapatista e lo spettro della guerra civile del ‘94 che qualcuno qui vorrebbe ridurre a una bravata di quattro anarchici messicani.

OAXACA, FOLCLORE E IL PACIFICO DI ACAPULCO

Messico e nuvole nel centro del Paese, dove regna l’autenticità, nello stato di Oaxaca e il suo folclore, le tradizioni spalmate in riti meravigliosi, io che mi affaccio in un matrimonio locale, fino alla virata difficoltosa per strade e sicurezza verso il Pacifico.
La Puerto Escondido dell’omonimo film di Salvatores, l’Acapulco e la sua incantevole baia, nell’immaginario collettivo Messicano regina indiscussa del turismo balneare tra gli anni ‘50 e ‘70 che schiaccia Cancun e Tulum, sorellastre di una Cenerentola destinata a restare principessa per sempre.

CITTA’ DEL MESSICO TRA PROFUMI DI CIOCCOLATO E FRIDA KALHO

Messico e nuvole nella capitale n.58 del mio giro del mondo, sognata e desiderata fin dall’infanzia, tra le più pericolose del mondo. La mia Città del Messico, inespugnabile in bellezza e autorevolezza come la Madrid spagnola, diventa pagina di un indimenticabile diario di viaggio: l’incontro con la Maitre Chocolatier Sophie Vanderbecken che mi ospita sul laboratorio della famosa cioccolateria Le Caméléon Chocolates.
Giorni indimenticabili, condivisione di storie di cioccolato d’autore e vagabondaggi per il mondo, pellegrinaggio laico a Guadalupe, incontro spirituale con Frida Kalho e Diego Rivera a Casa Azul, l’archeologia che ti toglie il fiato al Museo Nazionale di Antropologia.

DAI SORSI DI TEQUILA IN JALISCO AL NORD TEXANO DI MONTERREY

Messico e nuvole nello stato del Jalisco – chi non arriva fino a qui non può capire cosa sia il Centro America – tra allegria e calore delle persone, i sorsi di storia della tequila, le danze, gli orizzonti perduti dell’America texana e le piazze sconfinate di Guadalajara che impongono bellezze, socialità, conoscenza come i due deliziosi studenti Miguel e Myriam.
Messico e Nuvole negli ultimi 800 chilometri pericolosi verso il Nord industriale che guarda il Texas di Houston e Dallas. La mia Monterrey, il mio traguardo, gli stivali messicani, le montagne cinematografiche del Cerro de la Silla, a meno di 200 chilometri dal confine con gli Usa, dove ho rivisto allo specchio il mio on the road Coast to Coast del 2005 e il ricordo dolce delle 36 ore trascorse con la prozia Olga Mautone Bakely, ammalata di Alzheimer.

LA GENEROSITA’ DEL POPOLO MESSICANO

Grazie alla generosità del popolo messicano, di tanti incontrati in questo mese indimenticabile che mi hanno aiutato a superare ogni difficoltà. Un abbraccio e un grazie speciale al generoso Walther, alla dolcissima Diana, al bellissimo Walther jr, che oggi voglio salutare come gli amici speciali del Jalisco.
Il Messico resterà una delle tappe del cuore tra i 61 Paesi del mio mappamondo. Sulla via del ritorno, scatta il conto alla rovescia che vorrei fermare, mancano pochi giorni ai miei 50 anni.
Grazie a Luisa, la mia First Lady, per aver capito, accompagnato un sogno che si allarga sempre di più, per il supporto con il fuso orario, per aver gestito ansie e preoccupazioni procurate da questo Ulisse giramondo. Adios, Mexico con un trofeo consegnatomi dagli stessi messicani: averti vissuto come volevo in questa immensa traversata.

Murales, Napoli calcio

Napoli, dove fare i selfie a “regola d’arte”

Occhiali

A Napoli sale la febbre scudetto e un bel selfie ci sta bene per onorare la squadra di calcio partenopea. In alternativa all’ambita foto con il calciatore del cuore, si può optare per un murale, un graffito, un’opera d’arte a cielo aperto.
Ecco cosa la street art napoletana vi mette a disposizione per il prossimo selfie.

JORIT TRA SAN GENNARO E MARADONA

Cominciamo con la benedizione scudetto del Santo Patrono di Napoli. Nel quartiere Forcella splende il San Gennaro di Jorit e, dai suoi 15 metri d’altezza su piazza Piazza Crocelle ai Mannesi, rivolge lo sguardo su Spaccanapoli. L’arte del partenopeo Jorit Agoch, di madre olandese, ha conquistato il cuore di tutti i napoletani che hanno reso il suo San Gennaro uno dei murales parteopei più diffusi in Rete.
Jorit ha fatto colpo ancora con il maxi murale dedicato a Diego Armando Maradona nel quartiere periferico di San Giovanni a Teduccio. Apprezzato dallo stesso Pibe de Oro, l’opera gigantesca di Jorit è stata realizzata nel 2017 su una facciata delle vecchie case popolari in via Taverna del Ferro.

STREET ART E MOVIMENTO

Il murale dedicato a Maradona nei Quartieri Spagnoli è meta di pellegrinaggio da sempre. Su un vecchio palazzo di sei piani, in via Emanuele De Deo, Diego corre per segnare un goal, nel cuore della città che ha amato tanto. Street art e movimento evocano l’infinito sentimento partenopeo per il grande campione argentino scomparso prematuramente. L’opera è stata relaizzata nel 1990 da Mario Filardi in occasione del secondo scudetto vinto dal Napoli.
Meno noti, sempre in zona, sono i murales dell’artista argentino Juan Pablo Gimenez in via Trinità degli Spagnoli. I protagonisti sono Kim, Anguissa, Di Lorenzo e Kvaratskhelia e l’mpronta artistica movimenterà il vostro selfie.

DALLA STAZIONE DELLA CUMANA AI BAMBINI CON LA MAGLIA DEL NAPOLI

La fermata Mostra-Stadio Maradona della ferrovia Cumana di Napoli è un altro posticino da tenere in considerazione per un selfie a regola d’arte. Un’antologia di murales racconta la storia centenaria del Napoli Calcio fino ai giorni nostri. Qui avrete soltanto l’imbarazzo della scelta tra vecchie e nuove glorie che hanno indossato la maglia azzurra, da Cavani a Higuain.
Infine, si segnala l’omaggio artistico di Rosk & Loste al mondo dell’infanzia e alla passione per il pallone nell’opera gigantesca che campeggia in periferia, nel Parco dei Murales a Ponticelli. Le maglie della squadra del Napoli indossate dai due bambini, protagonisti del murale dei due artisti siciliani prima della febbre scudetto, trasmettono un forte segno di appartenenza, l’importanza della propria identità e delle radici comuni.

Napoli, Stadio Maradona, Ex San Paolo

4 luoghi storici nel cuore di un tifoso del Napoli

Occhiali

Scattata da un bel pezzo la febbre per il terzo scudetto, ci sono almeno 4 luoghi storici da vedere se sei un tifoso della squadra del Napoli. La società sportiva Calcio Napoli si prepara a festeggiare nel 2026 i cent’anni e in giro ci sono alcuni posti che appartengono alla storia di una squadra di calcio che ha segnato la storia del pallone in Italia. Sei o non sei un tifoso degli azzurri?

IL VESUVIO, IL PRIMO STADIO NON SI SCORDA MAI

Il rione Luttazzi, conosciuto al grande pubblico per la serie televisiva di L’amica geniale, ha ospitato il Vesuvio, primo e storico stadio della squadra del Napoli Calcio. Inaugurato nel 1930 a pochi chilometri dalla Stazione Centrale, fu completamente distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale dodici anni dopo.
Vita corta per il campo, intitolato successivamente ad Ascarelli, il fondatore della società calcistica partenopea scomparso prematuramente. Oggi a ricordare lo stadio e le sue gesta calcistiche c’è una targa ubicata nella via Vesuvio.

LO STADIO COLLANA

Al Vomero, quartiere collinare della città Napoli, c’è lo stadio Collana che ha contribuito a scrivere la storia degli Azzurri parteonpei negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso. Pochi sanno che l’ex stadio del Littorio con i suoi 8.000 posti ha ospitato la squadra del Napoli dopo la distruzione dell’Ascarelli sotto le bombe della guerra.
Doveva essere una location provvisoria. In realtà il Napoli ha giocato qui per 17 lunghi anni. Nel 1959 avvenne il trasferimento nel nuovo e grande stadio del Sole, battezzato poi San Paolo.

LO STADIO SAN PAOLO

Batticuore allo Stadio San Paolo, inaugurato nel lontano 1959 e intitolato dal 2020 all’ex capitano del Napoli Diego Armando Maradona. Ristrutturato in occasione dei Mondiali di Italia 90, lo stadio partenopeo è ubicato nel quartiere di Fuorigrotta, il più popolato del capoluogo campano. Nel corso dei decenni è riuscito ad ospitare per una partita anche 90.000 spettatori: si trattava del match tra la Nazionale italiana e la Germania Est del ’70.
Su questo campo si sono disputate partite degli Azzurri entrate nella mitologia del calcio di tutti i tempi. Chi non ricorda la mitica punizione del 1985 che portò alla vittoria gli Azzurri di Maradona contro la Juventus di Platini o il 4-1 del Napoli di Bianchi e Maradona contro il Milan di Sacchi e Van Basten del 1988?

IL CENTRO SPORTIVO PARADISO

A Soccavo c’è una pagina di storia del Napoli Calcio dei tempi di Maradona. Il Centro sportivo Paradiso, costruito nel 1977, è ormai abbandonato e lasciato morire a sé stesso da vent’anni.
Questo luogo potrebbe raccontare annali di allenamenti.
Siete tra coloro che ai tempi frequentavate il quartiere alle pendici della collina dei Camaldoli? Allora avete rubato i palleggi di Diego o portate ancora nel cuore il ricordo dei bambini gioiosi assiepati lì per strappare un abbraccio al loro dio calcistico.

Vulcano Fagradalsfjall, Islanda

Viaggio in Islanda: trekking sul nuovo vulcano di Fagradalsfjall

Occhiali

Fare trekking sul vulcano di Fagradalsfjall, la cui eruzione del 2021 ha fatto il giro del mondo, è stato uno dei momenti più emozionanti del mio viaggio in Islanda. In realtà questo vulcano distante soltanto poco più di cinquanta chilometri da Reykjavik si è fatto una bella dormita di quasi nove secoli.
Come mi ha ricordato Albert, la mia guida, l’isola è in continua trasformazione e i terremoti, che l’anno scorso hanno fatto ballare gli islandesi per diversi mesi, hanno segnato il risveglio del dormiente con la fuoriuscita di un nuovo cratere.


MONTAGNA DELLA BELLA VALLE DEI CASTRATI

Il trekking verso il cratere è di quasi quattro chilometri. A fine maggio il luogo è di una suggestione unica, c’è pochissima gente e la desolazione dell’ambiente procura al viaggiatore sbalzi emotivi. Non so quante volte ho dovuto trascrivere Fragradalsfjall sul taccuino prima di imparare questo nome che letteralmente significa Montagna della bella valle dei castrati.
Mi incammino a passo sostenuto e non smetto neanche per un secondo di godermi il tragitto. C’è una spianata immensa, mi riporta all’on the road negli USA in New Mexico, nei pressi del fiume Rio Grande, dove avevo ritrovato gli scenari dei film Western di John Ford e Howard Hawks.

LAVA E LAPILLI TRA RICORDI D’INFANZIA

Prima di arrivare al cratere, finisco in un’immensa colata di lava che ha creato un solco. Mi sembra tutto così surreale. Prendo un pezzo di roccia di lava in mano e lascio dondolare i ricordi dell’infanzia. Se nella lista del mio giro del mondo c’è l’Islanda è anche merito di un’eruzione dell’Hekla del 1981. Ricordo la lava fuoriuscire da un piccolo televisore in bianco e nero in cucina e io che temevo arrivasse fino da noi a Napoli. Papà mi rassicurava dicendomi che la distanza era tanta e intanto mi raccontava delle ceneri dell’eruzione del nostro Vesuvio del 1944.
Ora sotto i miei piedi c’è tutta l’attività del vulcano islandese. Se Fragradalsfjall facesse un brutto scherzo con una nuova sboccata di lava, da una parte potrei godere di uno spettacolo suggestivo e dall’altra quanto rischi di restare sepolto qui?

SPETTACOLO DELLA NATURA

Ecco un bellissimo video girato dalla mia guida Albert nel giugno 2021, esattamente nello stesso punto dove sarei arrivato io un anno dopo.

Tra i vulcani e la vita c’è di mezzo la saggia riflessione di uno scrittore giapponese della portata di Yukio Mishima:

La vita è un danza nel cratere di un vulcano:
erutterà ma non sappiamo quando.

Cascata Gullfoss, Islanda

Incanto d’Islanda: La cascata di Gullfoss, batticuore da viaggio

Occhiali

In tarda mattinana sono su un van che scorazza nel raggio di un centinaio di chilometri da Reykjavik in direzione del Golden Circle, la prima scoperta paesaggistica dell’Islanda occidentale. In realtà il Circolo d’Oro è un misto di parco nazionale, area geotermica e cascate. Sorseggio acqua sgorgata dai ghiacciai, sgranocchio noccioline come se fossi al cinema e dal finestrino mi godo la lunga catena montuosa.

TUTTO SI TRASFORMA

L’area geotermica di Geysir mi ricorda i trascorsi attraverso la Nuova Zelanda quando avvertivo le correnti calde sotto i piedi. La fumarola del gayser sputa contro il cielo come se fosse un rigetto della Madre Terra per tutti gli scempi compiuti e che pagheremo a caro prezzo ogni giorno. In realtà è tutta area vulcanica che risale a 10.000 anni fa, tempo infinito da conteggiare ma non per capire che tutto si trasforma in questa isola incredibile. Domani l’Islanda non sarà la stessa che sto vivendo.
A confermarmelo è una sosta indimenticabile nel parco nazionale di Thingvellir in cui gli andamenti vulcanici hanno portato sopra il livello dell’oceano la dorsale medio atlantica, la cui fossa è nel mezzo delle placche tettoniche che separano l’Europa dal Nord America. Una chicca unica apprezzata anche da chi mastica gli elementi basilari di geologia.

LE ACQUE DI GULLFOSS, SANTUARIO NATURALISTICO

L’incanto del primo pellegrinaggio naturalistico on the road resta la cascata di Gullfoss, che mi ricorda da lontano le cascate di Iguazù spartite tra Argentina e Brasile. Patti chiari e amicizia lunga. Le cascate sudamericane sono inarrivabili e restano al primo posto nella classifica del mio giro del mondo. Gullfoss le richiama nel percorso, nelle serpentine che ci permettono di osservarle da più prospettive, godendo di uno spettacolo unico e irripetibile.
Quando ci avviciniamo, i getti d’acqua sono così possenti da travolgere l’anima del viaggiatore. Insomma, piuttosto che farvi tanti chilometri per le cascate canadesi del Niagara (la parte americana non la considero, è una diga!), ormai prepotentemente commerciali e turistiche, venite in Islanda e vedrete come, dopo aver visto Gullfoss, non vi pentirete.

Risalgo sul van con Gullfoss nel cuore, sulla strada del ritorno.

Bjork casa

Cartolina da Reykjavik: sulle orme di Björk

Occhiali

La quarantanovesima capitale del mio giro del mondo è Reykjavik, la più a Nord d’Europa, da associare alla mitica Björk. Culla dell’Islanda dove volevo arrivare fin da bambino, la capitale – quanto tempo ho impiegato per impararlo a scrivere – racchiude nel suo nome il significato di baia fumosa, visto che i suoi dintorni sono zeppi di aree geotermiche.
Qui il tempo cambia alla velocità della luce e, nonostante le previsioni meteo fossero pessime, Reykjavik ha premiato il mio ottimismo da viaggiatore con tanto sole, più di quello che si vede in questo periodo in Islanda.


REYKJAVIK, ANIMA PUNK

Tanti turisti dicono che non sia un granché, ma il viaggiatore che gira a piedi fino alla sfinimento replica che sia un affascinante misto di modernità, atmosfere nordiche e, perché no, di quei retaggi storici con l’occhio lungo fino alle saghe dei vichinghi. L’anima di Reykjavik? Per me è punk e non te lo aspetteresti mai, proprio come quell’ondata di subcultura giovanile che contagiò il Regno Unito cinquanta anni fa. E poi i legami tra Islanda e Inghilterra sono stretti, anche a livello musicale, penso alle etichette discografiche indipendenti che hanno avvistato i musicisti talentuosi islandesi. Ce ne sono, eccome.

ARCHITETTURE MODERNE, SAGHE NORDICHE E PROVOCAZIONI

Mi piace iniziare a girarmela a prima mattina, al porto sorseggiando un caffè o finendo in un supermercato per trovare un panino e una coca a prezzi ragionevoli, visto che il cambio e il costo della vita per noi italiani sono una batosta infernale. Fatevene una ragione, prima di partire.
L’architettura moderna dei palazzi residenziali, le casette tipiche islandesi con le facciate dalle tinte forti, i murales sparsi qui e lì, la lunga passeggiata sull’Oceano, i piccoli angoli segreti, il parco cittadino con il suo laghetto, la scultura provocatoria dedicata alla Burocrazia (grande male dell’isola!) me la rendono tremendamente piacevole.
L’arte figurativa di Errò, il mio artista islandese preferito celebrato dal Museo d’Arte Moderna, è un ottimo modo per cominciare tanto poi, per rotolare come una pietra del tempo, c’è il Museo Nazionale d’Islanda tra un’imbarcazione vichinga e un amuleto del dio Thòr, il cui culto millenario è antecedente a quello cristiano.

NELLA VESTURBAER DI BJORK

Mi sento islandese appena mi allontano dal centro, trotto parecchio fino al quartiere di Vesturbaer. Ho avuto una soffiata, in queso periodo Björk è ritornata qui dalla casa newyorchese. Del resto se sono atterato in islanda è anche merito della sua arte musicale visionaria. Ricordo quando, tra un corso e un altro del primo anno di università nel ’93, mi registrarono su una TDK60 il primo album. Nelle prime ore pomeridiane mi affaccio al Kaffihús Vesturbæjar, una coffee house al numero 20-22 di Melhagi. Mi guardo intorno, nessuno spiffera niente, tranne una ragazza al banco da cui so per certo che Björk è andata via qualche ora prima. Viene a rilassarsi prima di andare in una piscina pubblica a pochi passi da qui. Mica come le nostre celebrità che frequentano soltanto posti esclusivi?
Giro e rigiro finisco sotto casa di Björk. Non ho di certo l’aria di uno spasimante, ma gli islandesi sono persone riservate e per loro è impensabile che io possa andare a citofonarla. Se fossimo stati nella mia Napoli, questa storia avrebbe avuto un altro finale: sarebbe sbucata la vicina che mi avrebbe “raccomandato” per bere un caffè insieme.

OCEANO-MADRE

Mi sposto e guardo incantato l’oceano, attraverso la stessa angolatura della finestra di casa. C’è vento, il sole si nasconde dietro le rincorse delle nuvole. Penso a quanto la cantautrice e compositrice di Reykjavik, fin dalla gioventù, mi abbia fatto sognare l’Islanda, un mondo sospeso finalmente vissuto in un viaggio incredibile, pieno di emozioni impreviste.
Le mie parole volano al vento e le lascio inghiottire dal suo Oceano-madre in questa gelida serata. E lì, dove si dissolve la linea dell’orizzonte, che ho incontrato davvero Bjork, a modo mio, prima che il sole di mezzanotte schiacciasse le tenebre nottambule oltre l’impavida coltre del viaggiatore.