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Diario di viaggio: 130 persone ritrovano “l’Italia bella” nella notte magica sul fiume Chiese

Bisogna spingersi oltre i selfie biodegrabili per ritrovare i sogni e le utopie in una notte di mezza estate. E non sono di certo le cartoline da catalogo che palleggiano da una bacheca all’altra di Facebook; non sono di certo i noiosi splash che illudono tanti di avere la stazza da viaggiatore.

Ci sono luoghi segreti che vanno riscoperti nell’ottica del vagabondaggio che fa dei nostri territori il pozzo dell’anima di ciò che eravamo, come l’Italia in bianco e nero di matrice contadina che impugnava la socialità.
Possiamo fare a meno dei gruppi Facebook si sono detti ad Acquafredda, il paesino sulla striscia di frontiera tra le province di Brescia e di Mantova, affinché una serata in compagnia di pochi amici diventasse nel raggio di un decennio una notte magica di mezza estate sul fiume Chiese con 130 persone: la parola d’ordine è rispetto per l’Ambiente, perché ognuno può fare del suo senza arzigogolare.

Piatti e stoviglie portate da casa, niente plastica; prodotti culinari a chilometro zero; un trattore trasformato in un palco per un chitarrista ed un armonicista; tutto il resto ce lo mette il plenilunio, quello cercato dai barcaioli mantovani nelle notti sul Mincio, e un gruppo di testardi volontari capace di creare un set dal sapore felliniano attraverso il passaparola, che per l’ennesima volta ha smosso tanti a condividere questo banchetto.

Mi sembra di essere tornato in Patagonia, quando osservavo gli argentini sul lago di Neuquén alle prese con la voglia di stare assieme e non di certo assuefatti dalla grande abbuffata di una serata di mezza estate. Possibile che piazzare una tenda accanto ad un fiume, lasciare musica fino a notte fonda, conoscere belle persone, sorseggiare un bicchiere di vino, riesca ancora a materializzare sogni e utopie?
Sì, perché come ci ricorda Giorgio Gaber “senza utopia c’è la morte”.

Ovunque continueranno a riunirsi uomini e donne nel comune segno denominatore del non arrendersi ai ricatti dell’omologazione che vorrebbero stemperare le nostre radici, ci saranno sempre zolle di terra dove qualcosa cambierà in meglio.

Provate ad andare di notte lungo la sponda del fiume Chiese e ascolterete l’evaporazione di questi versi di Giovanni Caproni.

 

L’amore finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.

Festa di compleanno: pago io o il festeggiato? Paghiamo noi, punto.

Una quindicina di anni fa il mio caro amico Armando, persona pacata e a modo, fu travolto da una crisi di nervi: prese a calci la ruota di un’auto parcheggiata nel centro di Napoli. Motivo? Lo avevano invitato ad una cena di compleanno e davanti al conto gli chiesero di pagare la sua parte. Il povero Armando non sapeva di questa nuova usanza e rimase come un pesce lesso. Anzi, si beccò pure il rimprovero: “Guarda che in Padania si usa così. Prendiamo il buon esempio”.

Oggi è nella norma. Sbuca l’invito per il compleanno e sei pronto a tirar fuori la doppia quota: regalo e festa, con l’augurio che il festeggiato porti almeno torta e spumante. Ci piaccia o no, anche il giorno del nostro compleanno è diventato un business. E qui la riflessione non nasce sul taglio da 10 euro per un aperitivo in compagnia, ma per quelli che oscillano tra i 25 e 50 euro. Facebook ha reso tutto più easy per gli organizzatori: ti trovi l’invito di sconosciuti che organizzano la festicciola a sorpresa dell’amico in comune. Ed io chiedo: “Come pago con carta prepagata o con PayPal? Verso direttamente sul conto del festeggiato?”.

Che “fessi” noi terroni: ci sbattevamo per organizzare un party dignitoso a nostre spese. E poi ci sono modi e modi. No Money, no Party. Restringiamo gli inviti o improvvisiamo qualcosa a casa. Dopo la bustarella al matrimonio, questa è un’altra tendenza fastidiosa. Mi sa che dopo questo appunto rischio di brutto: nessuno mi inviterà più alla festa di compleanno.

Pazienza, vuol dire che me ne rimane una sola, quella a cui parteciperò nel 2012 nel mio Sud. La mamma della festeggiata, a cui sono particolarmente legato, mi ha confessato l’estate scorsa: “Abbiamo rivisto il budget familiare. L’anno prossimo ci teniamo a farle la festa, senza seguire le regole dell’apparire, ma quelle che ci permettono di condividere questo giorno speciale con chi veramente ci appartiene”. E forse dovremmo sforzarsi di restituire al giorno della nostra nascita il valore che merita e non sprecarlo con il primo che capita.

  Matrimonio alla napoletana: o la busta o non mi sposo!

8 maggio, Festa della Mamma: lettera di un figlio ad una madre lontana

Mi ero ripromesso di trascorrere questa Festa della Mamma con te, ma poi ho capito che siamo messi così male in Italia da dover fare a meno dell’unica domenica speciale del mese di maggio. Sono passato a fare carburante e ho visto il prezzo della benzina alle stelle: 1,60 euro a litro. Mi sono fatto qualche conto in tasca e me le sono viste svuotate all’improvviso. Del resto, non te l’ho detto, ma la mia auto è ferma da diversi mesi: l’ultimo preventivo dell’assicurazione era così spropositato, che ho dato giustamente priorità ad altro. Eh, già…
Avrei voluto saltare sul treno, farti una sorpresa, anche se per poche ore. Poi mi sono ricordato che attraversare in treno lo stivale italiano è diventata quasi roba da ricchi: durante il giorno ti obbligano a prendere l’Alta Velocità e di notte a rinchiuderti in un vagone letto, zozzo e lurido, che ti costa due giorni di lavoro. Ah sì, il lavoro. Eh, già…
Da bambino quando festeggiavamo tutti assieme, pensavo che la domenica fosse il dì del riposo per tutti. Mamma, eravamo dei privilegiati e me ne rendo conto oggi che lavoro pure nei giorni in rosso sul calendario. Accipicchia, me la darebbero pure una manciata d’ore di ferie, ma poi me la farebbero scontare con i sensi di colpa: “Con la crisi che c’è, potrebbe scattare un’emergenza e lo sai bene che se perdiamo l’appalto, ce ne torniamo tutti a casa”. Eh, già…
Meno male che non sai usare il computer e Internet non ti appartiene, cara mamma, altrimenti avrei avuto la tentazione di inviarti un biglietto d’auguri elettronico. Che tristezza, a te piacevano tanto gli scarabocchi che ti lasciavo in cucina prima di andare a scuola!
Stavo per inviarti una lettera con la mia calligrafia, ma poi mi sono ricordato che il servizio postale ordinario in Italia è una catastrofe: se spedisco oggi, altro che domenica: devo ritenermi fortunato se lo ricevi prima di partire per le vacanze estive. E un mazzo di fiori? Certo non sarebbero imbarazzanti come quelli fregati dal campo dei vicini, ma li gradiresti: mi rifiuto di acquistarli su Internet o sceglierli su un catalogo, perché oggi persino donare un fiore si è trasformato in un atto di routine. Eh, già…
Mamma, sai cosa ti dico: vai in soggiorno, apri il secondo cassetto della credenza, c’è un pacchetto impolverato. Tiralo fuori. Dentro troverai la margherita di polistirolo che ho fatto all’asilo per te trentatre anni fa. E’ stato il primo lavoretto che la maestra ci ha fatto realizzare per la Festa della Mamma. Avevo il cuore in gola, perché lo avevo fatto con le mie mani. E mi emoziona ridartelo adesso, con la consapevolezza di un adulto che ha capito il valore infinito di una madre, nonostante te ne abbia fatte passare di cotte e di crude. Eh, già…

Senza candeline tra le luci e le ombre della Laguna

Spegnere le candeline d’estate aveva un suo perché: dimenticare il tuo compleanno perché eri preso dalla magia vacanziera fatta di secchielli, palette e castelli di sabbia. Oggi non è così. Basta aprire la tua pagina di Facebook e una sfilza di messaggi sulla tua bacheca te lo ricordano. Quel senso di nomadismo che mi porto dietro era già segnato dagli astri. Per me non c’era la solita festicciola a casa, ma ogni anno i festeggiamenti si spostavano da un luogo ad un altro, con persone diverse. E’ lo svantaggio di chi è nato nei mesi estivi. Eppure prima di soffiare ed esprimere il desiderio di rito, avevo sempre la smania di salire sulle spalle di mio padre. Lui pensava fosse il solito capriccio, ma io mi sentivo in groppa a quel gigante che poteva aiutarmi ad acciuffare la linea di confine che divideva l’orizzonte dal mare.
La laguna di Venezia mi ha riportato a quella scena, forse perché quando condividi una serata di luglio con un anziano signore è più o meno facile tornare a sentirti bambino. Non era stata questa o quella canzone di Charles Aznavour che si era dileguata su piazza Sam Marco, piuttosto il mio desiderio irrequieto di farmi raccontare da lui i particolari di quella lunga tournèe con Edith Piaf. Un desiderio che è finito tra le luci e le ombre della laguna, in piena notte, nel silenzio più totale.
Questo netto contrasto tra il buio notturno e la luce del giorno che stentava ad arrivare mi ha riportato a quella scivolata – che mi sforzo di ricordare invano – che avevo fatto dal pancione di mia madre verso la vita. In quel momento mi sono ricordato che era il mio compleanno, sebbene attorno a me non ci fosse una torta con le candeline, ma solo il ronzio di quelle canzoni che non mi hanno fatto dubitare della generosità della vita.