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Archives Ottobre 2011

Ognissanti: I morti non mi fanno paura, le streghe non le digerisco, i vivi mi lasciano indifferente

Da piccolo la vigilia di Ognissanti significava prepararmi ai due giorni che in famiglia avremmo dedicato alla visita dei nonni al cimitero. Non ricordo maschere, dolcetti o scherzetti, ma un’insolita compostezza che noi piccoli percepivamo: la morte è una cosa seria. Lo ribadiva pure Antonio De Curtis – in arte Totò – nella splendida poesia ‘A livella.

Mano a mano che crescevo, vivevo il doloroso distacco da alcune persone che avevano attraversato o sfiorato la mia vita. Il 1 e il 2 novembre me ne andavo da solo a visitare le loro tombe e condividevo i miei pensieri con ciascuno, sperando che non si riducesse tutto ad una lapide, ma che altrove ci fosse uno spazio che accogliesse lo spirito dei miei cari.

Mi importava poco di ciò che dicevano ai miei genitori: “Un ragazzetto non dovrebbe andarsene a zonzo in un cimitero”. Qualcuno sospettò che mi mettessi a caccia di fantasmi. Una volta, il 2 novembre  ritardai l’uscita, perché capitai in un lato del camposanto a me ignoto. Non c’era più luce del sole, neanche le lapidi si distinguevano. Per un attimo ebbi paura. Lo sguardo si posò sull’immagine di un mio coetano, scomparso prematuramente.
La paura scemò appena notai che non vedevo più gli ornamenti sfarzosi dei sepolcri o le cappelle bunker, che evocavano stupidamente l’atteggiamento classista dinanzi alla morte.

Ad illuminare la strada verso l’uscita furono tutti quei lumini, che mi restituirono la sobrietà della morte, calpestando la volgarità e il folclore umano. Da allora i morti non mi fanno più paura e mi lasciano indifferente i vivi che strascicano l’arte dell’apparire oltre la soglia del camposanto.

 Totò recita ‘A livella

Festa di compleanno: pago io o il festeggiato? Paghiamo noi, punto.

Una quindicina di anni fa il mio caro amico Armando, persona pacata e a modo, fu travolto da una crisi di nervi: prese a calci la ruota di un’auto parcheggiata nel centro di Napoli. Motivo? Lo avevano invitato ad una cena di compleanno e davanti al conto gli chiesero di pagare la sua parte. Il povero Armando non sapeva di questa nuova usanza e rimase come un pesce lesso. Anzi, si beccò pure il rimprovero: “Guarda che in Padania si usa così. Prendiamo il buon esempio”.

Oggi è nella norma. Sbuca l’invito per il compleanno e sei pronto a tirar fuori la doppia quota: regalo e festa, con l’augurio che il festeggiato porti almeno torta e spumante. Ci piaccia o no, anche il giorno del nostro compleanno è diventato un business. E qui la riflessione non nasce sul taglio da 10 euro per un aperitivo in compagnia, ma per quelli che oscillano tra i 25 e 50 euro. Facebook ha reso tutto più easy per gli organizzatori: ti trovi l’invito di sconosciuti che organizzano la festicciola a sorpresa dell’amico in comune. Ed io chiedo: “Come pago con carta prepagata o con PayPal? Verso direttamente sul conto del festeggiato?”.

Che “fessi” noi terroni: ci sbattevamo per organizzare un party dignitoso a nostre spese. E poi ci sono modi e modi. No Money, no Party. Restringiamo gli inviti o improvvisiamo qualcosa a casa. Dopo la bustarella al matrimonio, questa è un’altra tendenza fastidiosa. Mi sa che dopo questo appunto rischio di brutto: nessuno mi inviterà più alla festa di compleanno.

Pazienza, vuol dire che me ne rimane una sola, quella a cui parteciperò nel 2012 nel mio Sud. La mamma della festeggiata, a cui sono particolarmente legato, mi ha confessato l’estate scorsa: “Abbiamo rivisto il budget familiare. L’anno prossimo ci teniamo a farle la festa, senza seguire le regole dell’apparire, ma quelle che ci permettono di condividere questo giorno speciale con chi veramente ci appartiene”. E forse dovremmo sforzarsi di restituire al giorno della nostra nascita il valore che merita e non sprecarlo con il primo che capita.

  Matrimonio alla napoletana: o la busta o non mi sposo!

Marco Simoncelli, tieni stretto al di là della curva l’ultimo sogno di SuperSic

Marco, stai attento alla curva. Rallenta, perché prima di arrivare dove c’è l’ultimo puntino ci sono in pista i tuoi vent’anni: lì sulla riviera romagnola, a Coriano, con la tua moto giocattolo a rincorrere i sogni, prima che diventassero ruggine.I gabbiani all’orizzonte del mare Adriatico seguivano la tua stessa traiettoria. Tra il cielo e una pista c’è però una differenza: il cielo ci rende liberi, la pista ci obbliga a seguire un maledetto percorso, che prima o poi coinciderà con il beffardo destino costruito dagli dei a nostra insaputa.

Marco, stai attento alla curva. Accelera di poco, come la volta in cui, all’età di un ragazzino delle scuole medie, ti ritrovasti campione italiano. I tuoi compagni marinavano la scuola e facevano merenda sui gradini della chiesa, e tu eri lì che ti allenavi. C’eri solo tu e il manubrio; il vento che ti accarezzava il corpo come la sensualità della donna che abitò il tuo cuore; i capelli imprigionati nel casco. Cosa vedevi dinanzi a te? Il sorriso sornione di mamma nel retrobottega della gelateria o lo sguardo fiero di papà, di corsa sulla sfrenata scia della passione per le due ruote?

Marco, stai attento alla curva. Fermati e grida in alto che tu fai il pilota. Butta via il casco. Non ti serve più. Spalanca gli occhi perché l’udito non sentirà più il vocio miserevole di quest’umanità. La polvere di stelle seppellisce l’ultimo sogno e lo imprigiona in un circuito. In mano te n’è rimasto un pezzettino. Tienilo stretto, portalo con te, dopo l’ultima curva infame che renderà invisibile il nostro Simoncelli SuperSic.

Muore Simoncelli

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Italian rider Simoncelli killed in MotoGP

Lettera al blogger: “Aiuto, la banca mi toglie la casa!”

Ho ricevuto questa lettera all’indirizzo email di questo blog. Ho ritenuto opportuno pubblicarla, anche se questa volta mi trattengo e preferisco non esprimermi. Lascio al lettore le eventuali considerazioni in merito al caso:

“Il mio amico vietnamita è giunto in Italia da profugo della guerra ed ora è un cittadino Italiano in regola a tutti gli effetti. Una decina di anni fa chiese un mutuo alla Banca Popolare di Bergamo per poter ristrutturare un’abitazione in zona Maciachini a Milano. Per l’occasione vendette anche il suo piccolo monolocale, frutto di tutti i sacrifici fatti nel nostro Paese durante i quasi vent’anni di permanenza.
Le cose sembravano procedere per il verso giusto, ma un licenziamento ingiusto (causa vinta) e alcuni problemi di salute lo portarono ad avere qualche arretrato con la Banca. Io e qualche altro amico gli prestammo dei soldi per aiutarlo. Nel frattempo riuscì a mettere a posto la casa e decise di metterla in vendita per non avere più debiti né con noi né tantomeno con la Banca.

Le difficoltà del mercato immobiliare, assieme a quelle di riconquistare la stabilità lavorativa, hanno riacceso il conflitto con l’istituto bancario. Per ripagare il debito, è riuscito ad affittare due stanzette della casa e a portare regolarmente dei soldi che erano leggermente al di sotto della rata stabilita. Nemmeno il tentativo di rinegoziare il debito è andato a buon fine. A fronte di un valore stimato dell’immobile di circa 300.000 euro la Banca ha proceduto al pignoramento per un debito di 44.000 euro + 5000 euro per le relative spese legali.
L’avvocato del mio amico ha mediato con la banca che chiedeva 20.000 euro subito e 1000 euro di rata, con 10.000/11.000 euro (racimolati alla disperata con aiuti vari) e 700 euro di rata che vengono presi dai due affitti. La Banca  ha rifiutato e a breve ci sarà l’udienza. La parola al Giudice.

Ebbene, di fronte a questa piccola storia, penso comune a tante persone in Italia, si rimane sbalorditi ed impotenti di fronte al meschino atteggiamento volto solo a distruggere una persona onesta (da più di 20 anni cliente della medesima) che ha sempre lavorato con correttezza ed ha sempre cercato, facendo l’impossibile, di ripagare il suo debito.
Sono consapevole che la Banca persegue il suo interesse, ma nel caso specifico i 10/11 mila euro ripagano gli arretrati, mentre i 700 euro mensili mi sembrano una degna rata per ripagare i 38.000 rimanenti, comprese le spese legali”.

M.F.B.

Io, “indignato”: a Roma bruciano i sogni tra violenza e orrore

Ci vuole poco per bruciare un sogno. Basta un guerriglia come quella di sabato 15 ottobre a Roma per seppellire sotto terra il sacrosanto diritto di manifestare con aria pacifica. Non c’è pensiero, non ci sono ideologie, non ci sono sogni nell’anima degli “Indignati arrabbiati” che hanno devastato il cuore della capitale. Il movimento di radice ispanica, che sta remando ovunque contro le ingiustizie e gli orrori della globalizzazione, rischia di scomparire in una bolla d’aria per colpa di una minoranza criminale e violenta, che va condannata senza mezzi termini.

Sì, è vero. Occorre impugnare il megafono per farsi sentire, soprattutto in un paese come il nostro dove governo e istituzioni non tutelano più le fasce deboli ed indifese, ma senza finire nella scialba trappola dell’aggressività e della violenza. Quando si ripetono questi orribili episodi, l’Italietta provinciale si risveglia dal torpore e riesuma i fantasmi vaganti degli Anni di Piombo e delle Brigate Rosse.
Allora sotto il passamontagna della strategia della tensione c’era una progettualità ideologica che aveva coinvolto anche gli intellettuali. Oggi dietro questa ciurma di teppistelli c’è soltanto polvere, nient’altro. La maggior parte di loro conosce la storia per sentito dire, non sa neanche la differenza tra marxismo e il liberalismo, non si è mai messa alla ricerca dell’autorevolezza che ci riporta alla memoria dei De Gasperi, dei Nenni, dei Berlinguer o dei Togliatti.

Oggi c’è terreno fertile per i social network, per farci assalire dal solito sobbalzo emotivo che in molti casi ci trasforma in capre mediatiche. Ognuno dica la sua, retweetti o incolli sulla bacheca di Facebook ciò che ritiene più opportuno, ma senza appoggiare tacitamente l’imbecillità che trasforma un guerriero in un eroe. Sarebbe imperdonabile, anche nel rispetto di chi si è ritrovato l’auto o il negozio distrutto.
A subire il danno non sono stati i mostri in doppio petto blu che svolazzano nei cieli con il proprio jet privato, ma la gente comune. La stessa gente che nel corteo pacifista degli Indignati ci ricordava che i sogni sono come l’acqua santa.

 Black bloc in azione, 5 ore di guerriglia

Rome counts cost of violence

Occupy Rome turns violent

Doppio sogno: la favola ritrovata dei due gabbiani

C’era lei in lacrime accovacciata su un marciapiede. Mi sembrava di essere finito in una sequenza di Blade Runner. Nel sogno pioveva a dirotto: le lacrime si confondevano con la pioggia. Mi sono avvicinato e l’ho riconosciuta. L’ho cercata e l’ho ritrovata. Ho tirato fuori dalla tasca della giacca una paginetta che ho scritto tanto tempo fa, proprio in questi giorni di ottobre. Al risveglio me sono ricordato. Che buffa storia era quella, avrò avuto vent’anni quando l’ho messa giù, bivaccato sulla mia vespa rossa. Più o meno faceva così:

Due gabbiani si incontrarono in un giorno qualunque. Ham chiese ad Or se volesse proseguire assieme a lui. Lei accettò e si mossero nella stessa direzione. Poco tempo dopo Or non se la sentì più. Ham soffrì molto, ma la lasciò libera. Lui continuò per la sua strada. Arrivò l’inverno. E vennero la pioggia, il freddo e i temporali. Quel gabbiano continuò impavido finché la primavera non spazzò via le nuvole ed Ham si ritrovò Or al suo fianco. I due gabbiani, nonostante tutto, si incrociarono sulla stessa traiettoria, perché in tutto quel tempo avevano continuato a viaggiare assieme inconsapevolmente. Finirono su una spiaggia al calar del sole e decisero di amarsi. L’unico modo era trasformarsi in esseri umani.
Quella notte ci pensò la luna a fare il resto e l’indomani al posto loro c’erano un ragazzo e una ragazza. In fondo alla spiaggia c’era un grotta con una luce. Quella era la loro meta. I due notarono che avvicinandosi, la meta si allontanava. Dal mare si udì una voce che disse: “Perché vi ostinate ad andare laggiù? L’amore non è in quella grotta. L’amore siete voi”.

I due si guardarono negli occhi e sulla sabbia scrissero i loro nomi uno a fianco all’altro. La bassa marea mise la “e” al posto della “h” e le cambiò posizione. Da quel giorno, su ogni spiaggia della terra, ogni volta che si intravedono due gabbiani all’orizzonte, il mare scrive sulla sabbia l’unico incantesimo che tiene legati gli essere umani: a-m-o-r-e.

Ho provato a cercare il foglietto su cui ho scritto quella stupida favoletta, ma non c’era. Sono uscito da casa, in un giorno qualunque. L’ho trovata sorridente, accovacciata sul terzultimo gradino. Me la ricordavo occhialuta. Invece non portava più gli occhiali. I capelli si erano allungati e disegnavano i contorni del viso. Abbiamo bevuto un caffè. Prima dell’ultimo sorso, ha aperto la borsetta e ha preso un foglietto scarabocchiato: “Per caso cercavi questo? Profuma ancora della pioggia dell’altra notte, la stessa in cui me l’hai dato”.

Doppio sogno.

Blade Runner di Ridley Scott

Doppio Sogno

 Anna e Marco

paul mccartney e nancy shevell: il terzo matrimonio non seppellisce il dolore

Nell’estate del 1991 mi presentai al Marylebone Register Office di Londra, e richiesi una copia del certificato di matrimonio di Paul McCartney e Linda Eastman. Gli addetti mi guardarono stupiti quando si accorsero che si trattava dell’ex-Beatles. La spuntai e quella bravata di un ragazzotto incuriosì qualche anno dopo Red Ronnie. Mi invitò ad una sua trasmissione e lo mostrai per la prima volta in pubblico.

Col passare del tempo mi sono reso conto di non aver vissuto il documento come un cimelio, ma come il sigillo di una gran bella storia d’amore. Persino quando ascoltavo i primi album da solista di McCartney respiravo l’affiatamento della coppia. La mia visione infantile della fiaba d’amore si era trasferita in una casa di campagna inglese, dove il marito e la moglie condividevano amore, famiglia, passione per la vita e per il proprio lavoro. Ne ebbi conferma quando li vidi assieme sul palco la prima volta il 24 ottobre del 1989.

E’ complicato capire il dolore per la vedovanza, per la perdita della compagna di una vita. Nonostante il muro di vetro mediatico, abbiamo percepito il disorientamento dell’ex Beatles dopo la scomparsa prematura di Linda. Tuttavia, si fatica a guardare lo scatto di Paul McCartney invecchiato dopo la celebrazione del  terzo matrimonio con la ricca ereditiera Nancy Shevell, nello stesso posto dove si unì alla prima e adorata moglie. La mia non è né la sindrome di possessività del passato né l’attacco di panico nostalgico che potrebbe tornare riascoltando dal vivo  My Love. McCartney dovrebbe ricantarla il prossimo 27 novembre nella tappa italiana del suo tour al Forum di Assago.

E’ piuttosto il tentativo spicciolo di capire quale sia l’ultima strada da percorrere per un comune mortale o una rock star nell’amaro tragitto della vedovanza: seppellire sotto terra il dolore o restare da soli per condividerlo con il resto dei proprio giorni?

 Macca sposa Nancy

  McCartney in Italia: due date a Novembre

 Paul e Linda, Just married!

 

E il Padreterno disse: “Rispedite Steve Jobs nel futuro. Il Paradiso può attendere!”

Bussarono alla porta del Padreterno di buon mattino, perché l’uomo del futuro era arrivato prima del previsto. Il Padreterno era occupato ad ascoltare i cori degli angeli con il suo iPod. Era diventato così tecnologico, che gli angeli a lui vicino si stupivano giorno dopo giorno: non usava più penna e inchiostro da quando batteva con le dita sul touchscreen del suo iPad. L’età c’era e il Padreterno non lo nascondeva. Quando gli dissero che doveva fare l’ennesimo intervento agli occhi, non volle rischiare di perdere la visione totale del mondo. Si fece inserire due Macbook air al posto delle pupille. Sosteneva che con le app era tutt’altra cosa!

“Padre, è arrivato. Dove lo piazziamo? Qui ci sono sempre meno posti”, chiesero gli angeli sottovoce. E il Padreterno replicò: “Per caso si tratta di quell’uomo magrolino che mi fa divertire come un matto con i cartoni della Pixar e mi tiene in contatto con gli angeli terrestri attraverso quella diavoleria dell’iPhone?”.
Gli angeli annuirono e lui aggiunge: “Rimandatelo indietro. Rispeditelo nel futuro perché il mondo ha ancora bisogno di lui. Prima o poi l’umanità finirà in braccio al futuro e se lo ritroverà davanti”.

Da quel giorno le mele, bandite perché associate al peccato originale di Adamo ed Eva, tornarono sugli alberi del Paradiso e sotto ogni albero c’era scritto: “Grazie, Steve Jobs. Ognuno di noi ti deve qualcosa, persino gli angeli. Il Paradiso può attendere”.

Accanto a zia Giulia: l’amore piega il Parkinson

Rosario PipoloSono seduto in una stanza soleggiata. E’ il primo pomeriggio. Lei è lì, distesa immobile nel suo letto, mi fissa. Le prendo la mano e le dico: “Zia Giulia*, sono tornato”. I suoi occhi diventano lucidi. Scippo all’amaro destino l’ultima speranza per convincermi che forse mi abbia riconosciuto. Le mani sono immobili. Eppure sono le stesse che un tempo impastavano una soffice torta, che puntualmente mi ficcava nello zaino prima di ripartire.

Dove abita il Parkinson? Lì, sul suo volto, sugli zigomi e fa di tutto per portarsi via le ultime briciole della mimica facciale. Mi torna in mente Isabelle Allende, accanto alla figlia malata, che scrive un profondo diario: Paula. Allora tiro fuori l’iPad, lo accendo e faccio finta di scarabocchiare. Non sono parole, sono segni come i disegnini che dedicavo a zia Giulia una trentina d’anni fa. Mettevo assieme, nel riquadro dello stesso foglio, i personaggi dei suoi telefilm e telenovelas preferite: J.R. di Dallas mi veniva benone, ma Veronica Castro di Anche i ricchi piangono era complicata per la capigliatura. Lei sorrideva, li conservava, mi accarezzava e mi premiava con qualche goloseria.

Scrivo, appunto. Lei farfuglia qualcosa come “treno”. Si è svegliata dal torpore all’improvviso e forse mi sta chiedendo con quale fossi arrivato. Zia Giulia conosce i miei vagabondaggi, perchè si era abituata alle mie improvvisate, quando sbucavo dalla stazione di Firenze Santa Maria Novella o da Campo di Marte nel bel mezzo della notte.

Il mutismo della morte vegetale ha ceduto la parola alla lotta per la vita. Mi sono convinto che il Parkinson si piega dinanzi all’amore. Non dovremmo mai precluderci una grande opportunità: visitare una persona ammalata che amiamo. Riempie lo spettro dell’inutilità che il più delle volte vagheggia nelle nostre esistenze e ci trasforma in piccoli angeli custodi. Solo così saremo capaci di restituire l’amore impagabile a chi ha contribuito a dare un significato ai nostri giorni felici.

 Parkinson.it

 100 risposte sul Parkinson

 Julia di John Lennon & Paul Mc Cartney 

*Mia zia Giulia si è liberata degli anni di prigionia del Parkinson nel pomeriggio del 1 maggio 2014.

sos privacy: bambini in pericolo con il nuovo facebook

Mentre il popolo social è curioso per lo sbarco del nuovo profilo Facebook, c’è chi si interroga sul grosso pericolo che corrono i bambini frequentatori di bacheche e diavolerie varie. Nonostante Zuckeberg e compagnia bella abbiano fissato come età di accesso i 13 anni, il numero dei baby navigatori aumenta in modo spropositato.

Puntualizziamo tenendo in disparte i bla bla bla degli strizzacervelli o degli esperti: un bambino non ha bisogno di un social network. Ci sono mille altri modi per farlo socializzare ed escluderei subito il cazzeggio su una piattaforma virtuale. Ai tempi ho visto i miei coetanei svezzati dalla televisione-centrifuga, adesso ne vedo una quantità allevati dai social o da una console di videogame. Questo è il modo più spicciolo per toglierseli dai piedi?

La nuove versione di Facebook disorienta e confonde, perciò può diventare molto pericolosa per i più piccoli, senza tener conto di quanto diventi più complicato tenere sotto controllo i livelli di privacy. E se sguazzare nel social significa piegarsi alle regole del reality e al vizietto del protagonismo, ecco la tendenza assurda degli ultimi tempi: appena nasci, non sai neanche parlare e ti ritrovi già un account Facebook.

Ho visto alcuni genitori farlo e la reputo una scelta davvero disgustosa. Si tira fuori la scontata giustificazione: è un modo easy per condividere immagini e notizie con amici e parenti. Più che preoccuparci di costruire un avatar ai nostri figli, aiutamoli a crescere come persone vere, senza sprecare un attimo di una irrinunciabile opportunità: vivere la realtà tenendo in pugno l’immaginazione

Decalogo pediatri per web sicuro

Gli adolescenti su facebook cercano se stessi

Facebook non è adatto ai bambini!