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Archives Ottobre 2015

Il capitano marziano Fabrizio Cosi e la rivoluzione a Milano del Podista da Marte

Ritratto di Tiziano Ballabio, 2015

Ritratto di Tiziano Ballabio, 2015

Rosario PipoloMi feci contagiare dall’entusiamo di Fabrizio Cosi a fine marzo del 2013. Riuscì a tirarmi giù dal letto all’aba. Ci incontrammo in piazza Duomo a Milano poco prima delle 7 per una video intervista.
Lui arzillo come sempre in tenuta da runner ed io nascondevo l’aria sonnecchiosa dietro gli occhiali scuri. Me lo aveva anticipato: “Non te ne pentirai. Milano a quell’ora è meravigliosa. La guarderai con occhi diversi”. Scoccò la scintilla, lui leccese, io napoletano.

Da quella mattina imparai a conoscere il capitano di Podisti da Marte, l’associazione no profit che realizza progetti sociali per generare attivismo civico e solidale. Con il passare del tempo sono giunto ad una conclusione: Fabrizio non era un runner, ma un alieno travestito da podista.

Puntuale e ricco di significato è l’intervento di Chiara Bisconti, Assessora allo Sport del Comune di Milano, appena avuta la notizia della partenza improvvisa di Fabrizio: “In questi anni ha collaborato con noi su tanti progetti diversi, ci ha contagiato con la sua passione, la sua allegria, la sua generosità, la sua ironia. Le sue missioni, sempre dedicate a giuste cause contro ogni discriminazione, contro il razzismo, per aiutare i bambini in difficoltà, hanno colorato decine di strade e di piazze”.

Chi lo ha conosciuto ha provato lo stesso stupore dei protagonisti del fim Incontri ravvicinati del terzo tipo, nella scena poetica del mega abbaglio della navicella degli alieni. Chi lo ha visto partire all’inprovviso ha patito lo stesso smarrimento di Micheal e la piccola Gertie nell’ora del distacco da E.T., l’extra-terrestre dell’altra pellicola di Spielberg.
Fabrizio Cosi è stato un alieno talentuoso, un equilibrio tra il manager visonario di una grande azienda; il coach motivazionale che tira fuori il meglio di te; lo sportivo che fa di ogni traguardo un nuovo punto di partenza; l’educatore che con la sua generosità guida e restituisce la città ai disabili, agli anziani, ai bambini, ai deboli.

Fabrizio ha attuato una piccola grande rivoluzione a Milano, quella che potrebbe avere come slogan la verità laica di Giorgio Gaber: “La libertà è partecipazione”.
La radice meridionale del capitano di Podisti da Marte è stata un valore aggiunto per la crescita del territorio, schiacciando gli amari pregiudizi tipici del Sud nei confronti del capoluogo lombardo e senza ammalarsi mai della sindrome dell’emigrante, raccontata da Massimo Troisi.

Fabrizio non è stato mai personaggio, mai maschera, mantenendo l’autenticità di chi proviene da un altro pianeta. Questo non è un necrologio. I marziani non ne hanno bisogno quando ritornano nella propria zolla di universo.
Oggi che il podista è tornato su Marte, abbiamo compreso il motivo per cui un alieno non ha ali come un angelo: Fabrizio ha messo le ali sotto i piedi a tutte le migliaia di persone che hanno “corso” insieme a lui, nel volo che svela il cuore e i sentimenti di Milano senza per forza essere un runner campione.

Nati per leggere, profumo di ginestra sulla Terra dei Fuochi

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Rosario PipoloE’ stato emozionante sabato pomeriggio entrare nella scuola primaria Gianni Rodari di Castello di Cisterna, alla periferia di Napoli, e trovare un mucchio di bimbi alle prese con i libri  perchè dopo tutto “si può amare la lettura attraverso un gesto d’amore”.

Questo è uno dei Punti Lettura di Nati per leggere, meraviglioso programma che illumina tutto lo stivale italiano attraverso 400 progetti locali su quasi 1200 comuni.
Grazie all’alleanza tra l’Associazione Culturale Pediatri, l’Associazione Italiana Biblioteche e il Centro per Salute del Bambino Onlus., dal 1999 Nati per leggere promuove la lettura in famiglia fin dalla nascita.

La grande energia arriva da tutti i volontari che contribuiscono alla crescita e al successo dell’iniziativa. Ad accogliermi nel Punto Lettura di Castello di Cisterna ci sono Anna Riva e Mariagrazia Russo che mi mostrano con orgoglio lo spazio realizzato con l’impegno di tutti: dalle pareti imbiancate da un giovane papà dopo le ore di lavoro alle cassette colorate di legno, contenitori di libri, di un ingegnoso nonno; dalla pedana di legno fatta da un giovane compaesano per l’angolo dei lettori volontari ai libri donati grazie alla genoristà di tanti.

In un territorio martoriato e dilaniato, prima dell’estate scorsa finito sulla cronaca dei giornali per una rapina e un omicidio in un supermercato a pochi passi dalla stesa scuola Rodari, la coalizione del comune di Castel Cisterna, le associazioni Emeis e Proloco Castrum fa germogliare una radiante ginestra, lì in un angolo della Terra dei Fuochi.
I sorrisi dei piccoli lettori Giovanna, Luca, Salvatore, Niccolò e Zoe ci fanno sperare in un futuro diverso  perchè sarà proprio la loro curiosità e i piccoli passi sul viale della lettura a maneggiare il cambiamento: la Terra dei Fuochi non è solo rifiuti tossici, criminalità organizzata, baby gang che assalgono treni.

La Terra dei Fuochi oggi brilla nella ginestra, cantata da Giacomo Leopardi, e rispunta alle falde del Monte Somma, le spalle grosse del Vesuvio. Sì, lo ribadisco come quando feci storcere il naso ai miopi professori della mia generazione.
Lo cantò Giacomo Leopardi, perchè questa lirica anticipò il cantautorato italiano degli anni ’70: “E tu, lenta ginestra, che di selve odorate queste campagne dispogliate adorni, anche tu presto alla crudel possanza soccomberai del sotterraneo foco, che ritornando al loco già noto, stenderà l’avaro lembo su tue molli foreste. E piegherai sotto il fascio mortal non renitente il tuo capo innocente”.

Quando  Giovanna, Luca, Salvatore, Niccolò e Zoe, i Nati per Leggere di oggi, diventeranno i grandi di domani e usciranno allo scoperto, calpestando la viscida omertà di questo tempo, affronteranno a muso duro la malvagità. Mentre voleranno pallottole, i piccoli di oggi alzeranno i libri che faranno da scudo e cancelleranno dalla memoria il terrore delle faide cutoliane. Allora sì che la Terra dei Fuochi si trasformerà con il loro coraggio in Terra della Ginestra.

Cartolina dalla Barcolona 2015: nella bora io posso sognare la vela di Isabelle

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Rosario PipoloPer me la bora era confinata tra le suggestioni letterarie e cinematografiche. Perlomeno fino al mio ultimo ritorno a Trieste, che mi ha accolto con le carezze convulse di questo vento catabadico.

Nel sabato precedente al “dì di festa” della Barcolana, la storica regata che da 47 anni rende Trieste la culla internazionale delle vele, è stata la bora il direttore d’orchestra. Travolto da questo dondolio sfrecciante del vento mi sentivo come Mary Poppins, mentre i triestini mi rassicuravano sguinzagliando aneddoti sulla convivenza ventilata.

Trieste mi regala da sempre suggestioni, ispirazioni, incontri in un crocevia di culture: Emanuela e Sonia mi inondano di triestinità; Angela mi riporta ai miei reportage in Polonia alla ricerca delle tracce di Wojtyla e Walesa; Isabelle mi ricongiunge ad un pezzetto della mia famiglia che vive nel Sud della Francia.

Fuori soffia la bora, dentro si condividono piccole storie, come quella di Isabelle, velista vestita dalla semplicità, perchè i veri sportivi delle onde del mare schiacciano l’odioso divismo. La salsedine del mare triestino mischiata alla bora stropiccia la nostalgia per le passeggiate sulla spiaggia di Coroglio a Napoli. Così tento di spiegare a Isabelle uno slang partenopeo ereditato da nonno Pasquale.

Poco dopo la mezzanotte attraverso il salotto scapigliato di piazza Unità d’Italia. La bora è fortissima, all’altezza di Canal Grande, mi scaraventa contro la statua del mio amato Joyce. Mi tengo stretto, i ricordi della vita privata si mescolano a quelli lavorativi: in lontananza il mare agitato mi illumina.
La velista franco-tedesca, con cui avevo condiviso la vigilia della Barcolana, era la famosa Isabelle Joschke, “la Solitaire, une école de l’humilité” che appariva così in uno dei titoli del quotidiano Le Monde.

E’ come se la bora avesse strappato a Hugo Pratt la matita con cui creò Corto Maltese per disegnare nuovi paesaggi, uno sconfinato scenario di viaggio. L’indomani la bora è destinata ad assopirsi e il mare di Trieste a raccogliere le 1.667 vele della Barcolana. Io resto qui, perchè nella bora posso sognare la vela di Isabelle.

Sanità Pubblica, la sfida di Napoli nella lotta contro il tumore al fegato

Rosario PipoloNon ha fine la lotta contro il tumore al fegato: con tre morti al giorno la Campania è l’area geografica più colpita per cirrosi ed epatocarcinoma in Europa. Lo sa fin troppo bene a Napoli il dott. Giovan Giuseppe Di Costanzo, direttore dell’Epatologia AORN Cardarelli, che in un precedente articolo avevo soprannominato  “il  cavaliere Jedi” della termoablazione laser.

Lo stesso Di Costanzo ha organizzato, con la collaborazione della prof. Filomena Morisco, specialista in gastroenterologia ed endoscopia digestiva, e della dottoressa Raffaella Tortora, la II Multidisciplinary Conference on Viral Hepatitis and Hepatocellular Carcinoma, ospitata lo scorso weekend dal Museo Diocesano di Napoli.

Patrocinata dall’Università Federico II di Napoli, dall’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato e dal Ministero della Salute, la tavola rotonda è stata un acuto momento di riflessione e aggiornamento su questo tema delicato in ambito salute.
Quanto vi contribuiscono i farmaci per l’epatite da virsu C?
Come hanno ribadito i relatori queste cure farmacologiche eliminano l’infezione in media nell’80% dei casi, con variazioni dipendenti soprattutto dalla risposta a precedenti trattamenti, dalla presenza di cirrosi e dal genotipo virale.

Quali sono invece i contributi della nuova chirurgia? Ci sono segnali positivi in merito all’aumento della sopravvivenza dei pazienti con tumore del fegato. E’ stata presentata e illustrata la famigerata ablazione laser, messa a punto all’ospedale Cardarelli di Napoli, che consente di distruggere in maniera non invasiva anche neoplasie non trattabili con altre tecniche percutanee.

Tra il Cardarelli e il Policlinico di Napoli ho visto con i miei occhi decine e decine di giovani medici, che ogni santo giorno donano il meglio della loro professionalità a favore dei pazienti. Osservare all’opera donne in camice bianco come Maria Guarino e Silvia Camera conferma che la vera bellezza femminile abita nello sguardo impavido e premuroso di queste ancelle della Sanità Pubblica.

C’è una scena che mi sono portato a casa la primavera scorsa da una corsia del Cardarelli. Una donna sulla cinquantina che, avendo appreso della miracolosa cura farmacologica contro l’epatite C, ha sussurrato al marito: “Affronteremo anche questo e venderemo pure la casa se fosse necessario”. No, questo non accadrà, perchè i principi attivi della Sanità Pubblica sono a tutela di tutti. Di Costanzo  e i tanti collaboratori sono tornati all’opera, non c’è da perdere tempo, è una lotta senza fine quella contro il tumore al fegato.

La guerra è lunga, ma tante battaglie sono già state vinte, come quella di permettere ad un paziente, proprio oggi 9 ottobre, di festeggiare 43 anni di matrimonio.

Il delirio Expo 2015 tra i visitatori delusi e incazzati neri

Rosario PipoloDa una parte si mettono gli italiani con il brutto vizio di ridursi sempre all’ultimo; dall’altra si mette il fallo di una macchina organizzativa come quella dell’Esposizione Unviersale. Avete visto già con i vostri occhi quello che sta accadendo in questi giorni ad Expo Milano 2015?

Dopo la prima visita  nelle prime settimane di maggio, eccomi di ritorno nel luna park di Rho Fiera. Persino un bimbo nel passeggino  – loro sì che sono fortunati saltando le code asfissianti – si accorgerebbe che se in settimana si rischia il bollino rosso, figuriamoci nel weekend. Io ho vissuto il primo sabato e domenica di ottobre da bollino nero.

Mettetevi l’anima in pace: code chilometriche ovunque, dall’entrata all’accesso ai padiglioni (avete vinto la lotteria se l’attesa si riduce a due ore), per mangiare un boccone o per andare alla toilette. Anzi, se vi scappa la pipì farete meglio ad usare il “vasino” del vostro bimbo. Meno male che ci sono quelli di Cascina Triulza ad omaggiare noi disperati con vassoi di insalata da condire. Per non parlare del bus navetta che porta da una parte all’altra del perimetro, dove si fa a zuffa per salirci. L’albero della vita è inavvicinabile perchè l’accesso è bloccato dalle lunghe code per Palazzo Italia.

Il decumano di Expo sembra piazza San Giovanni a Roma in attesa del concertone del 1 maggio. Un gruppo arrivato da Arezzo, scambiandomi per uno dello staff, si lamenta: “Abbiamo fatto tanti sacrifici per arrivare qui. Dove siamo finiti? In quale baraonda?”. Per non parlare delle maestre inviperite, trasformate all’occorrenza in vere e proprie guerriere affinchè le classi della Primaria vedessero qualcosa.
Nel tardo pomeriggio di sabato c’è chi posta su Facebook il selfie da Expo, ironizzando: “Siamo entranti nel Guiness dei primati, da stamattina non siamo riusciti a vedere neanche un padiglione”.

Faccio una premessa: detesto i disfattisti di Expo e tutta la ciurma che, accecata dal pregiudizio, ha perso l’occasione di vivere questa esperienza. Nonostante sia stato trasformato in un luna park folcloristico per “fare cassa”, Expo Milano 2015 ospita tanti padiglioni che, durante il semestre, ci hanno aiutato ad esplorare l’emisfero della nutrizione e il valore aggiunto che essa ha per la vita.

Nonostante ciò, l’organizzazione è stata incapace di gestire criticità ed emergenze. Ribadiamolo: il successo di un evento di questa portata non si basa sul numero di biglietti venduti, bensì sulla qualità del servizio offerto al pubblico. Tutti, dal bambino all’anziano, devono essere messi in condizione di poter godere l’evento senza stress infernali. Non ci vuole Einstein per fare due conti e capire che gli accessi dei biglietti “open” dovevano essere controllati e limitati ogni giorno.

In tanti hanno deciso di mollare e svendere i biglietti di ingresso di questo rush finale. Cosa ci resterà di Expo Milano 2015? Il visitatore incazzato? No, l’amara cartolina che mi ha lasciato un anziano signore sabato scorso ai varchi: “Sono ammalato. Mi è costato un grande sforzo fisico essere qui. Questa forse è la mia ultima uscita stagionale”.

Diario di viaggio: Berlino e la memoria sfilacciata

Rosario PipoloDopo sette anni di assenza da Berlino, pare che la capitale tedesca si sia rassegnata all’affermazione di Scheffler per cui “é una città condannata per sempre a diventare mai ad essere”. 

Proprio questa ansia del divenire costantemente si lascia alle spalle il peso di chi non vuole essere ricordata più come “la città del Muro”, ma come il territorio che sfreccia verso il futuro.
Le gru che accerchiamo la vecchia Berlino Ovest sbranano le prospettive sopravvissute fino all’alba del nuovo millennio e Alexander Platz, crocevia di Berlino Est, è stata trasformata in un circo commerciale.

I vezzi delll’architettura contemporanea riescono sempre a sorprenderti, dall’armonia di Potsdamer Platz alla spavalderia della stazione centrale che si apre su Europaplatz. La crisi c’è e si sente: la sera i 3.000 metri di Rossmann, il mega store sulla Friedrichstrasse, contornano un vascello fantasma tra scaffali di libri, musica, oggettistica.

Lo scandalo delle emissioni della Volksvagen, icona di tutto il Paese, sembra così distante ai berlinesi che una coppia alla fermata dell’autobus mi dice senza esitazione: “L’onestà non è né da tutti né per tutti”.
Kreuzberg, tana dei Turchi a Berlino, da una parte è “il quartiere dei balocchi” della bella gioventù, sommersa dalla notte dei bagordi; dall’altra, lungo la Bergmanstrasse, è l’arcipelago dei localini dove ritrovarsi a bere o a mangiar un boccone.

Le briciole della Cortina di Ferro sono finite intrappolate nel sigillo del souvenir, perché in fin dei conti soltanto in minuscole oasi come il museo del Check Point Charlie riusciamo a fare i conti con la storia.

La bellezza della musica ci salverà? Sì, perché sull’altare della Philharmonie, casa della Filarmonica di Berlino, il tempo sembra sospeso. Ed è proprio questo stadio di sospensione che ricongiunge la memoria sfilacciata della capitale tedesca agli angeli custodi della memoria, ormai lontani dal cielo sopra Berlino.

E’ notte fonda. Vago nel buio. L’ultima luce è quella della Philharmonie lungo la Herbert-von-Karajan-Straße. Ich bin ein Berliner, ma restituitemi la Berlino dell’essere.