Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Archives Ottobre 2021

Perché ci piace Imma Tataranni, il Sostituto Procuratore numero uno della tv

Nell’affollato mondo delle fiction televisive – il più delle volte sbadigliamo per le somiglianze dei protagonisti in circolazione – Imma Tataranni è una ventata di freschezza. Il Sostituto procuratore, nato dalla penna lucana di Mariolina Venezia, è entrato nel cuore di tutti noi grazie all’interpretazione brillante di Vanessa Scalera. Dopo la prima puntata dell’attesissima seconda stagione, perché continua a piacerci la Tataranni?

LA TATARANNI SDOGANATA DA MONTALBANO

Imma Tataranni è la prima fiction del genere a sdoganarsi completamente da Montalbano, tenendosi distante dalle trappole dello scimmiottamento del commissario siciliano del raffinato Camilleri.
Il Sostituto Procuratore lucano è unico, con il suo carattere, le sue nevrosi, il suo mondo lavorativo e quello privato che mischiano le carte della vita di ciascuno di noi. L’autenticità di Imma Tataranni si insinua nel passaggio con disinvoltura dal luogo del delitto di una delle sue indagini al ferro da stiro nella doppia anima di femme du ménage, dai sospiri dopo un incontro con Calogiuro al tenero caffè in compagnia della mamma inghiottita da vuoti di memoria, dallo sbattere i pugni in casa da brava “mamma e moglie con i pantaloni” alla guerriglia contro il maschilismo del Procuratore Capo Vitali.

SINCERITÀ E EMANCIPAZIONE DI UNA DONNA DEL SUD

Se i profili social hanno disincentivato la nostra sincerità a stare a passo con i tempi, il personaggio femminile di questa fiction tv è uno specchio per ritrovare noi stessi. L’emancipazione di Imma Tataranni affonda il carrierismo sfrenato e cartonato per germogliare nelle sue radici di donna del Sud che impasta passato e modernità, che guarda avanti sapendo quale sia il momento giusto per voltarsi indietro.
Imma sa prendersi poco sul serio e abbattere con ironia tagliente i luoghi comuni, il provincialismo, il bigottismo, il vivere per apparire, con la consapevolezza che “cambiare vita” non si riduce alla fuga estemporanea dalla routine.

VANESSA SCALERA E LA MASCHERA TRAGICOMICA

Il bagaglio teatrale di Vanessa Scalera, l’attrice pugliese protagonista, ha contribuito alla costruzione e al successo del personaggio televisivo della Tataranni. La mimica facciale impeccabile, i tic, i movimenti puntellati del corpo fanno del Sostituto Procuratore una maschera tragicomica dei nostri tempi: la Scalera è un’attrice che da un palcoscenico a un altro è inciampata in Sofocle, Čechov, Brecht, Sartre, Shaffer e sa come scardinare il suo personaggio attraverso siparietti che virano verso l’esistenzialismo.
Sappiamo bene quanto un personaggio nato dalle pagine di un libro fatichi a spiccare il volo sul piccolo o grande schermo. L’immaginazione sconfinata da lettore cozza con un personaggio confezionato e servito allo spettatore. Qui non c’è solo il colpo della sceneggiatura, della regia a volte persino troppo calligrafica, ma l’arguzia e la bravura attoriale di Vanessa Scalera, misto di tecnica e talento, creatrice di uno dei personaggi che resterà nel cuore degli spettatori per tanto tempo ancora.

MARKETING TURISTICO

La fiction di Imma Tataranni ha rafforzato il marketing turistico sviluppatosi istintivamente con l’exploit del Commissario Montalbano da vent’anni a questa parte. Pensiamo a quanti angoli della Sicilia sono stati presi d’assalto dal turismo di massa per visitare dal vivo il set naturale del loro beniamino.
Dopo il Lago di Braies di Un passo dal cielo, la Spoleto di don Matteo, l’Assisi di Che Dio ci aiuti, la Roma dei R.I.S., la Napoli dei Bastardi di Pizzo Falcone, di Mina Settembre e del Commissario Ricciardi, la Bari vecchia di Le indagini di Lolita Lobosco, la Trapani di Maltese – il romanzo del commissario, adesso tocca a Matera e alla Basilicata di Imma Tataranni.
Un pezzo meraviglioso dell’Italia dimenticata, dopo Matera sul podio di Capitale della Cultura 2019, potrebbe diventare la destinazione del prossimo viaggio. Che cosa ne dite di trovarvi sotto casa della Tataranni a bere un buon caffè? Potrebbe essere l’occasione di una mini vacanza a curiosare tra quelli che sono i set della fiction che ha come protagonista uno dei personaggi più amati della televisione.

Gli 80 anni di don Peppino Gambardella, prete ribelle e filosofo delle periferie

Un compleanno speciale racconta in 80 candeline la luce diffusa da un prete di frontiera per la sua comunità. Giuseppe Gambardella, noto a tutti nella sua Pomigliano D’Arco come don Peppino, nel giorno del suo ottantesimo compleanno viene riconosciuto patrimonio della comunità.
Originario di Visciano, nel fazzoletto di terra del nolano di Giordano Bruno, don Peppino ha messo il suo sacerdozio al servizio della periferia di Napoli, diventando il simbolo delle lotte a fianco di operai, emerginati, senzatetto e dei tanti bambini e ragazzi abbandonati a sé stessi a cui aprì le porte della sua Casa Famiglia a loro dedicata.

Seminario di Nola (Na), 1981 (Archivio Privato)

DON CAMILLO ALLA PERIFERIA DI NAPOLI

I miei studi e la sua formazione in filosofia si incrociarono di sbieco e saltuariamente negli anni del liceo ma poi lo persi di vista per ritrovarlo miracolosamente anni dopo. Dico “miracolosamente” perché la mia generazione ha visto frantumarsi i suoi punti di riferimento nel tempo della sopraffazione della contemporaneità tra individualismo, competizione, rincorsa sfrenata verso il futuro.

Terme di Castellammare di Stabia (Na), 1970 (Archivio Privato)

Giuseppe Gambardella è stato l’autentico don Camillo della periferia di Napoli, in simbiosi con il personaggio delle pagine di Guareschi e con le sequenze del piccolo gioiello cinematografico di Duvivier: testardo, impavido, sfrontato, intelligente, umano come il parroco di Brescello nella sfida con “il don Peppone di turno”, che nella sua arroganza da primo cittadino si illudeva di tenere in pugno tutta la comunità accecato dalle schede elettorali e non dalla luce di Dio.

Loppiano, Città dei Focolari (1971) (Archivio Privato)

SACERDOTI PRONTI A DARE LA VITA PER TUTTI

Gambardella ha attraversato il Novecento tenendo a mente le parole di Chiara Lubich, fondatrice del movimento dei Focolari a cui aveva aderito fin dagli anni ’60: “Una Chiesa arricchita di sacerdoti-Cristo, sacerdoti-vittime per l’umanità; autentici Cristo, pronti a dare la vita per tutti.”
Il parroco di San Felice in Pincis non si è lasciato illudere dal boom industriale che contagiò il suo territorio alla fine degli anni ’70, tenendo un occhio di riguardo per gli ultimi. Il digiuno a fianco degli operai dello stabilimento dell’ex FIAT di Pomigliano D’Arco negli anni bui della globalizzazione mi ha spalancato un portone di riflessioni, ispirando il sacerdote del mio romanzo L’ultima neve alla masseria. Durante un reading alla Malzfabrik di Berlino ho spiegato che il mio Francesco Giuseppe Gambardino omaggiava un parroco italiano della provincia di Napoli:

Il gesto di Francesco Giuseppe Gambardino fece ripartire parte della produzione, seppure a singhiozzo. Da quel giorno al mio paese si dice che molti operai, al mattino, abbiamo preso l’abitudine di farsi il segno della croce prima di mettere mano sulla catena di montaggio (…)

Potenza, 1970 (Archivio Privato)

IN QUESTA GRANDE IMMENSITA’…

Don Peppino Gambardella è stato un punto di riferimento per tante generazioni, compresi i laici come il sottoscritto. Ciascuno ha intravisto nel cuore del “parroco operaio” di San Felice in Pincis un interlocutore sempre a passo con i tempi tra spiritualità e dialogo, incluso l’uso intelligente dei social media per tenere i contatti con chi vive lontano. Mi tornano in mente le parole del miscredente, amico dei tre pastorelli di Fatima, che rilasciò ai miei colleghi cronisti del tempo, dopo il prodigio in Portogallo, questa dichiarazione: “Solo gli sciocchi continuano a sostenere che Dio non esista”.
In questo 12 ottobre passeggio per una Milano soleggiata e mi sembra di sentire le voci della mamma e della cara sorella di Giuseppe Gambardella, scomparse in giovane età in un incidente stradale, che da lassù sussurrano: “Peppino, Peppino, siamo fiere di te e ti siamo sempre accanto, anche in questo giorno speciale”.

Come biglietto d’auguri ho scelto questa strofa di una canzone a me particolarmente cara, L’immensità di Don Backy, che condensa molto dell’esistenza di ciascuno, anche del don Peppino che tutti abbiamo conosciuto almeno una volta nella vita:

Sì, io lo so

Tutta la vita sempre solo non sarò

E un giorno io saprò

D’essere un piccolo pensiero

Nella più grande immensità

Del suo cielo.

Elezioni amministrative 2021: the winner is… l’astensionismo!

In queste elezioni amministrative 2021 il vero vincitore è l’astensionismo, punto. “Se in politica bastassero i numeri, i matematici governerebbero il mondo”. Storcendo una parola in questa citazione dell’attore irlandese Aidan Gillen, pare che la nostra classe politica legga i numeri in soggettiva.

VOTARE SU COSA MANGIARE PER CENA

L’astensionismo al 50% è una sconfitta marcata per la politica italiana. Quando a livello locale, nella realtà in cui viviamo, c’è svogliatezza, mettiamo in subbuglio il nostro senso civico, il nostro sacrosanto potere di scelta.
Votare non è soltanto un dovere perché, come ci ricorda l’editorialista americano James Bovard, “la democrazia deve essere qualcosa in più di due lupi e una pecora che votano su cosa mangiare per cena.”

DALLA CONTA AL PESO DEL VOTO

E qui non è questione soltanto di appeal del candidato Sindaco: legittimo è puntare il dito su quei comuni medi o grandi dove sono stati messi in pole position candidati perdenti già a tavolino.
A far scattare oblio e disinteresse sono i programmi elettorali annegati negli slogan o il teatrino fatto di fango gettato addosso all’avversario, di volgarità straripante lungo le strettoie dei social network che non trasformamo le montagnette di like in concrete preferenze elettorali?
Se cambiassimo l’unità di misura del voto in peso, lasciandoci alle spalle la semplice contatina delle schede elettorali, forse avremmo una prospettiva diversa.

Vinti o vincitori, non saranno di certo soltanto i ballottaggi ad aprirci nuovi orizzonti. Per dirla come uno scrittore d’oltralpe, resta soltanto un’azione peggiore del toglierci il diritto di voto: sottrarci la voglia di votare e lasciarci crepare nel limbo dell’astensionismo.