Il Belpaese titolato: Prefetto, dottò, ingegnere?

Una volta a prendersi a zuffa erano il parroco e il sindaco. Anche senza stare per forza dalla parte di uno dei due, il Peppone e Don Camillo di Guareschi facevano straripare la simpatia. La settimana scorsa si sono presi a zuffa un prefetto e un prete di frontiera perché “il don” si era permesso di chiamare una “prefetta” – pardon, “un prefetto donna” – con il titolo di “signora”.
I social network sono stati al gioco, hanno preso le difese del parroco bastonato e così abbiamo avuto ancora materia di discussione “a fil di rete”. E’ arrivato l’happy end: pace fatta tra il prefetto di Napoli Andrea De Martino e il parroco di Caivano don Maurizio Particiello

Forse ha ragione Roberto Saviano a scrivere “i cafoni cambiano, i potenti no”. E quando si tratta di buone maniere, mi capita di sentire le vicende strampalate: dal funzionario pubblico, incazzato nero se lo chiamano “signore” al posto di “dottore”, al militare zeppo di medaglie, pronto a farti finire sotto processo se scambi un colonnello per un capitano.

Al di là di quanto valga un titolo in momenti istituzionali, è chiaro che il Belpaese titolato si senta più a suo agio. Fino a questo momento il governo Monti non vi ha applicato nessuna tassa. E sono convinto che se li tassassero, “i titoli blasonati”, anche nel mio Sud dove su citofoni privati e campanelli delle porte abbondano i “dott.”, “ing.”, “prof.”, “cav.”, sparirebbero da un giorno all’altro. Persino quelli fuori posto incisi sulle lapidi del camposanto.

Torniamo al Peppone e Don Camillo di Guareschi. Ci hanno dato una gran bella lezione di umilità e saggezza: riconoscere dalla personalità e dal rispetto reciproco lo spessore dei propri ruoli  e non dal bigliettino da visita.

  I cafoni cambiano, i potenti no!

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