La paura di tornare su un treno Trenord dopo il disastro ferroviario
La nebbia che avvolge questo lunedì mattina nel milanese sembra un frammento di celluloide di Deserto Rosso di Antonioni. Torno a viaggiare su questi binari ed è la prima volta dopo il disastro ferroviario di Pioltello.
Salgo su un treno Trenord in direzione Milano e vedo meno gente del solito all’ora di punta. Guardo gli altri passeggeri uno per uno, alcuni assorti, altri storditi dallo smartphone, qualcuno con lo sguardo perso nel riflesso del finestrino.
Pendolare è chi viaggia nella stessa direttrice, viaggiatore è chi attraversa il territorio toccando tutti i punti cardinali. Faccio due conti: dal 2009, anno della nascita della società Trenord, ho percorso con il trasporto locale almeno 250.000 chilometri su e giù per la Lombardia.
I treni locali erano il mezzo delle mie esplorazioni adolescenziali – a 12 anni la fuga solitaria dalla periferia per andare in autonomia dai miei nonni a Napoli – e lo sono ancora tutt’ora. Ho imparato a conoscere la Lombardia percorrendo i chilometri di tutte le linee ferroviarie, principali e secondarie, dalla Valcamonica alla Valtellina, dal pavese alla bergamasca, dal mantovano al bresciano, raccogliendo storie della gente del posto.
Ho visto macchinisti portarci a casa sotto le nevicate, ho chiacchierato con capotreni, incluse le donne lontane da figli e famiglia nelle ore maledette dei turni serali. Persino su quelle tratte da vecchio West come Cremona-Treviglio o Brescia-Piadena ho avuto modo di fare scorribande indietro nel tempo e ritrovarmi nella Lombardia in bianco e nero.
Nell’ultimo anno mi sono trovato spesso a Cremona prima dell’alba. E se ci fossi stato anche io sul maledetto treno che il 25 gennaio ha ferito un centinaio di passeggeri e ammazzato tre donne? Mi vien voglia di prendere la tessera da abbonato annuale e strapparla in mille pezzi. Non si può morire andando a lavoro.
Non è un inizio di settimana qualunque e non voglio far finta di niente. Mi guardo intorno e cerco i volti di Giuseppina, Pierangela e Ida, mai uscite vive dalla lamiera di quel treno. Mentre sto scrivendo questo diario di viaggio, ci sono quattro manager nel registro degli indagati. La rabbia non serve, produce solo altra rabbia, ma la giustizia dovrà dare un segnale efficace.
Ho paura di risalire sul treno che prendo ogni mattina, perchè la sicurezza, diritto inespugnabile di ogni cittadino, si è ridotta alla solita barzelletta all’italiana. C’è gente senza scrupoli che senza abbaiare morde più di quanto non facciano i brutti ceffi o i vandali che tentano di spaventarci nelle ore notturne.
Giuseppina, Pierangela e Ida non hanno fatto più ritorno a casa. Non possiamo fingere che non sia accaduto niente, soffocati dalla rete dei rassegnati e fatalisti.
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