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Caro Babbo Natale, ecco perchè non ti ho scritto più!

Caro Babbo Natale,
in giro sento dire che non servi più, che anche per te è arrivata l’ora della pensione: la previdenza sociale di quest’Europa traballante potrà sostenerti? Secondo me ti rinchiudono in una triste casa di cura per anziani e ti liquideranno così: “Era troppo stanco, si sentiva inutile”. Macché, questa è la solita frase fatta per tenere a bada i rimorsi delle nostre coscienze quando sbattiamo gli anziani negli ospizi.
Ho visitato la prima casa per anziani, nei primi anni ’80, durante le scuole elementari. La maestra ci disse che avremmo adottato un nonno per Natale. Io allora ne avevo già uno e credevo che tutti i vecchi avessero una bella nidiata di nipotini. Mi sbagliavo così come sugli spot che mi facevano vedere le case di cura come degli alberghi.  Il mio “nonno per un giorno” si chiamava Vincenzo e ti assomigliava tanto. Per un periodo mi convinsi che fossi davvero tu, quell’anziano signore sulla sedia a rotelle, prigioniero in quell’ospizio alla periferia di Napoli. Tentai invano di persuadere i compagni di classe a liberarlo e a portarlo a casa con noi. Nessuno mi diede ascolto.
La maestra mi suggerì di scriverti una letterina per chiederti di prenderti cura di Vincenzo. Ed io che pensavo tu portassi solo i doni ai bambini! Qualche mese dopo tornai dal mio nonno adottivo, ma lui non c’era più. Mi fecero credere che la mia calligrafia era così pessima che tu non avessi letto la mia richiesta. Per tanti anni ce l’ho avuta con te ed ecco perché non ti ho più scritto.
Caro Babbo Natale, torno a scriverti dopo trent’anni: puoi caricare sulla tua slitta più bambini possibili e fare in modo che trascorrano il giorno di Natale con i tanti nonni e nonne dimenticati?
Chissà che non sia il Natale giusto che io ritrovi pure Vincenzo, quel vecchietto sulla sedia a rotelle che ti assomigliava tanto.

Sotto l’albero di Natale tra Blake Edwards e Audrey Hepburn

Alle mie spalle c’è l’albero di Natale che fa luce nel buio. Alla mia sinistra campeggia la locandina di Colazione da Tiffany, con Holly (la protagonista del film) che prende forma in un regolare disegno. Escono dallo schermo televisivo a 40 pollici Audrey Hepburn e George Peppard e mi sembra di toccarli con mano. Niente effetti 3D, ma semplicemente un DVD della copia restaurata di Colazione da Tiffany. Ma ci rendiamo conto: questa è roba di mezzo secolo fa, ma l’effetto è stupefacente. Audrey canticchia Moon River e io alzo il volume del Dolby Surround. I vicini protestano ed io faccio finta di niente. Com’è possibile che sia così deliziosa? Certo regale in Vacanze Romane, elegante in Cerenentola a Parigi, canterina in My Fair Lady, di classe in Sabrina, ma in questo film è diversa dal solito. Sarà pure la mano del regista.
Chi, quel burlone bistrattato da Hollywood di Blake Edwards? Sì, proprio lui che il pubblico ricorda per i film della Pantera Rosa. Non c’è niente da fare, la vita è fatta di incontri occasionali. Edwards non l’ho mai conosciuto, ma tanti anni fa in quell’aula universitaria incrociai una professoressa sopra le righe. Silvana Valerio mi disse papale papale: “Se vuoi amare il cinema, metti via i paraocchi e sali sulla giostra”. Tra i titoli di quella giostra c’erano La Pantera Rosa, Hollywood Party, SOB e Operazione Sottoveste. Fu allora che mi convinsi che nello studio come nella vita occorre cambiare i punti di riferimento, altrimenti si finisce nella solita gabbia, perché ognuno ti vorrebbe a sua immagine e somiglianza.
Intanto il film è terminato ed io mi chiedo cosa avessere in comune Blake Edwards e Audrey Hepburn. Essere due americani nati nel posto più sbagliato, perché sono più europei di tutti noi messi assieme. Mannaggia, inciampo nel buio senza accorgermi della notizia che esce dal pc: “Il regista Blake Edwards è morto a quasi novant’anni”. La solita burla! Forse la vera burla è un’altra, essermi trovato sotto l’albero di Natale tra Audrey Hepburn e Blake Edwards.

Albero di Natale, tradizione o ossessione?

150x150-albero_natale_blogDopo l’8 dicembre a casa mia scattavano i preparativi per l’Albero di Natale. Io ero più per il presepe, mentre a mia sorella guai a chi le guastava il momento dei preparativi. Nonostante questo abete addobbato mi trasmetteva un’ansia quasi consumistica, ne ero affascianato anche io. Ogni anno aggiungevamo qualche piccolo ornamento, ma di base le palline colorate erano quelle di sempre. Mamma si preoccupava del puntale sulla cima, e papà dell’illuminazione. Quest’ultimo era un punto dolente perché non funzionavano mai con quel dannato sistema ad intermittenza. Alla fine avevamo il nostro albero natalizio e noi bambini ci incantavamo ad osservarlo. Tutti si lamentano che non ci sono soldi, eppure vedo la gente che si scanna nei centri commerciali per gli addobbi dell’albero. Nell’epoca della globalizzazione l’undicesimo comandamento recita più o meno così: “Mantieni l’albero di Natale sempre alla moda come te stesso”. Lo ha capito persino il comune di Palermo, che ha rinunciato ai nuovi uffici per le luci e l’albero di Natale nel capoluogo siculo. La spesa? 330 mila euro per l’ennesimo capriccio che costerà un occhio della testa a tutti i palermitani. Che cavolo è diventato questo abete illuminato, un raccordo con la tradizione o un’ossessione del Belpaese sprecone, che piange “apparentemente miseria” e tira calci nel sedere a chi ne ha bisogno?