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Diario di viaggio: Andrea, ci vediamo domani!

Rosario PipoloAdoro gli album di famiglia, non quelli digitali che affollano i nostri pc. Quelle foto di carta finite nei cassetti dei nostri comò, sparpagliate, lontane dalla luce del sole. Scatti intimi, privati, discreti. Me ne porto sempre via uno dopo i miei viaggi.

A Pasqua dell’anno scorso sono finito nel lodigiano. Ero rammaricato perché non ero riuscito a raggiungere i miei. Da qualche parte c’era scritto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”. Ho condiviso quella domenica con Andrea, stessa età del mio papà più o meno, storie e provenienze diverse però. Lo avevo già visto in diverse occasioni, ma quella fu la volta buona in cui condividemmo storie di famiglia che unirono il mio Sud al suo Nord. Improvvisamente la pelle della nostra memoria cambiò colore e diventò meticcia.

Andrea mi mise di buon umore, mi piaceva la sua saggezza spicciola, a portata di mano. Mi piaceva come a modo tutto suo filava i ricordi, proprio come mia nonna faceva con la lana. Mi piaceva come guardava la moglie Daniela, di sbieco, come per dire “da quando mi sono innamorato di te, non hai perso un’acca del tuo entusiasmo”.

Quella domenica nel lodigiano osservai Andrea con attenzione. In ogni suo gesto – da come si serviva l’insalata a come si guardava intorno – mi resi conto che era stato un uomo che aveva vissuto per la famiglia, vigile ai dettagli che sono il solvente dei legami intensi. Nel tardo pomeriggio ce la svignammo e finimmo a casa sua sul divano.
Accese la smart tv e mi mostrò un paio di righe che avevo scritto. Scoprii che Andrea era un mio lettore. Borbottò qualcosa guardando una vecchia foto e poi concluse rielaborando un pensiero di Martin Luther King: “Io ho davanti a me un sogno, che le mie figlie e nipoti invecchino in una zolla di terra in cui non saranno giudicati per l’apparire, ma per le qualità del loro carattere”.

Non dobbiamo mai smettere di contarli i sogni, proprio come faceva Andrea. Perciò alla fine di ogni viaggio non mi piace ripetere “addio”, ma “ci vediamo domani”.

Pene d’amore, cercasi “strizzacervelli” disperatamente!

Lo strizzarcervelli

Rosario PipoloAlcuni anni fa una collega di mia sorella finì dallo psicologo perché il ragazzo la aveva lasciata per un’altra, che per giunta era la sua migliore amica. Che stronzo! E lo strizzacervelli le disse: “Signorina, se la goda, sia dia alla pazza gioia”. Sono sempre alla ricerca di aneddoti curiosi da condividere con voi e il prossimo arriva dal nostro Sud. Parliamo delle solite famigliole che si illudono di tenere sotto controllo le pene d’amore dei figli. Una volta la figlia che voleva scappare col ragazzo che amava, veniva mandata in collegio, dal prete del paese o addirittura dall’esorcista: “Quella svergognata è posseduta dal demonio. Vuole andarsene senza arte né parte”.  Oggi, dopo averle tentate tutte (chiusa in casa, diseredata, colpevolizzata, telefono sotto controllo, lavoro a pochi passi dall’ufficio di mammà), è arrivata l’ora dell’ultima spiaggia: lo strizzacervelli. Basteranno una decina di sedute per ripulire mente e cuore dai ricordi e far tornare “la figlia svergognata” sulla retta via, sotto la campana di vetro dei borghesotti di provincia? Sarà sufficiente un cachet di 1000 euro per liberarla una volta per tutte dal “plagio” del suo Romeo? E se il plagio significava non rispettare le regole della “sacra e mamma santissima famiglia”, ci vorranno un paio di medici  per mettere fine a tutto, magari torturandola con Valerio Scanu che canta Beyoncè!  Più che di queste pene d’amore, mi preoccuperei di organizzare una seduta collettiva. Fabrizio De Andrè diceva che sotto il letame può nascere un fiore. Aggiungerei: a meno che la cacca non sia nascosta sotto i tappeti del salotto di casa. Tra regali, borsette di Vuitton e vestitini griffati l’allegra famiglia tornerà nella squallida quotidianità. Sotto quel letame lo strizzarvelli troverà quel mucchio di pene d’amore tra i petali di un fiore. E a questo punto dovrà consultare a sua volta un bravo giardiniere!