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Diario d’estate: Alex Schwazer e il doping azzurro alle Olimpiadi

Pensavamo di ricordare le Olimpiadi di Londra 2012 per la faccia afflitta di Federica Pellegrini che, dopo la batosta olimpionica, è finita tra i ritagli dei giornali riservati alle reginette del gossip. Mentre ci chiediamo quanto durerà la riflessione per la nuotatrice veneta, dobbiamo ingoiare un brutto rospo, quello del doping di Alex Schwazer. L’amarezza è doppia. Uno perché di mezzo c’è l’atletica. Due perché “accadde” ai giochi olimpici, che rappresentano l’utero dello sport, cantato e raccontato da lirici, poeti, scrittori.

A questo punto meglio tornarsene a casa dignitosamente con la coda tra le gambe alla maniera delle Pellegrini, che sfilacciare agli occhi del mondo il sorriso del campione dopato. Alla fanghiglia del calcio italiano ci stiamo abituando – tappate la bocca al fetente del calcio scommesse che vuole il lasciapassare dello stinco di santo – ma al colpo basso di Schwazer no. Al di là dello steccato del linciaggio pubblico sul web, si finisce sempre a fare il giochino dello strizzacervelli tra la fragilità dell’atleta e il desiderio spasmodico di vincere, di essere a qualsiasi costo primo tra i primi.

Il perdono o l’assoluzione stanno al di fuori del perimetro di queste riflessioni. E se questo non è il caso di giudicare, risulterebbe (dis)umano non concedersi il lusso di un’opinione. Chi tradisce la lealtà dello sport pensa di cavarsela con la squalifica dalla gara. Invece no. Non sa che la discesa agli inferi comincia dopo, quando con il passare tempo si prende coscienza che perdere la “sportività” significa rinunciare per sempre all’umanità, l’unica medaglia che dovrebbe restare per sempre sul petto di un vero campione.
Degli esseri bionici non sappiamo che farne, perché come cantò Lucio Dalla al suo amico Ayrton “un vincitore vale quanto un vinto”. Alex Schwazer non ha perso il titolo di campione inghiottendo “le false vitamine”, ma rinnegando l’unica ragionevolezza che fa di un atleta olimpionico il poeta dello sport.

La vittoria dello sport in quel tuffo di Federica Pellegrini

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Rosario PipoloLo so di non avere voce in capitolo. Il mio stile di “nuotatore imbranato” è clownesco e mi vede fare splash sempre a pochi passi dalla riva. Giuro, non uso braccioli e salvagente, ma li tengo sempre a portata di mano! Quel tuffo e quella nuotata di Federica Pellegrini sta facendo impazzire la rete e mandando in tilt Youtube. E’ un bel riscatto per il nuoto in quest’Italia che vive solo e maledettamente di calcio. Ai tempi del regno della tv generalista e del monopolio dei palinsesti per guardare altri sport bisognava fare i nottambuli. Adesso per fortuna tra web e canali satellitari possiamo dirottare la nostra emotività sportiva a lungo raggio tra una pedalata, un tuffo o il lancio di un giavellotto. In un pease di vecchi come l’Italia, il successo di Federica Pellegrini torna a far sussultare il nostro orgoglio nazionalista, che non deve per forza venir fuori quando la Nazionale di calcio stravince ai Mondiali. Ai Mondiali di nuoto di Roma questa talentuosa e bella veneziana ha battuto il record nei 400 metri in stile libero. Che soddisfazione! Federica ha il merito di aver fatto sentire il Belpaese “unico ed indivisibile”, tenendo a bada anche le baruffe isteriche della nostra politica. Perdonami, Federica, ma certe volte come cantava Gaber “Io non mi sento italiano”. Nella tua nuotata spedita ho ritrovato un pizzico di italianità ed è perciò che devo impegnarmi anche io: a spingermi più a largo con le mie grottesche nuotate in stile libero!