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In viaggio verso l’altro “Giorno della Memoria”

Quando sono a ridosso del 27 gennaio, mi accosto a il Giorno della Memoria tirando fuori tre ricordi dei miei viaggi in Europa: un pomeriggio al campo di concentramento di Sachsenhausen, a 35 chilometri da Berlino; un chiacchierata con un anziano ebreo nel vecchio ghetto di Varsavia; la mia discesa agli inferi ad Auschwitz. Tre momenti staccati tra loro che mi traghettano – facendomi vergognare di appartenere alla razza umana – verso il più grande genocidio del XX secolo.

Tuttavia, al di là dei riti commemorativi che affollano il 27 gennaio, mi vengono in mente altri olocausti che non risparmiano nessuno, dall’Africa all’Asia, e sono stati rimossi.  Prendo spunto dall’episiodio di Ken Loach del film 11 settembre 2001, in cui uno scrittore cileno scriveva agli americani: “Oggi, 11 settembre, noi ricorderemo i vostri morti, ma voi, per favore, ricordate anche i nostri (golpe cileno dell’11 settembre 1973, ndr.)”. In questo post faccio lo stesso, ma rivolgendomi a tutta la comunità ebraica.

Oggi preghiamo per i vostri defunti, ma voi non dimenticate di commemorare le vittime di altri genocidi atroci come quello in Ruanda. Di fronte alla morte e al dolore, non c’è religione, colore della pelle o ideologia che tenga. Essere smemorati è il rimorso più grande che mai dovremmo consegnare alla storia!

Acerra, l’hip hop di Alea denuncia i mali della periferia

Una volta la città di Acerra, in provincia di Napoli, era conosciuta per aver dato i natali a Pulcinella. L’emergenza rifiuti partenopea ha destato l’attenzione dei media e la questione dell’Inceneritore e della diossina la hanno riportata sulle prime pagine dei giornali. C’è chi se ne strafotte della flemma degli amministratori e sceglie la musica per denuciare le emergenze locali: si chiama Alea (all’anagrafe Francesca Russo), la rapper di periferia impavida che si barcamena nell’hip hop per raccontare la realtà che la circonda attraverso la musica. Chi conosce il territorio come me – vi ho vissuto ventinove anni della mia vita – sa bene il significato dei brani Munnezza o Ghetto: “Si vaje dint’ ‘o Congo me pare ‘e stà ‘o Bronx: criature ‘mpustate ca màrchene ‘a boss, na guardata storta e te danno pure ncuollo, dice n’ata parola e te ròmpene l’osse”. Alea non risparmia nessuno e colpisce duro: “P’ ‘a Montefibbre e pò ‘a fabbrica de l’osse: ce manca sulo l’inceneritore e stamm’ apposto! Stammo ‘o Sud, troppi ccose storte: ‘o problemo è ca ce mànchene ‘e solde: guagliune disperate se ne fujene ‘o nord, ma manco stanno bbuono e se ne tornene”. La grinta rabbiosa di Alea ci fa tirare un sospiro di sollievo: la musica può ancora scuotere il nostro senso civico, ripartendo dalla periferia?