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Cartolina dal Lido di Venezia: 20 anni di CinemAvvenire tatuati sulla mia pelle

Le passioni si vivono a pieno e sono bastate due persone testarde a confermarmi ciò che sosteneva un piccolo grande artigiano al di là della Manica: “Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”. Da una parte Gillo Pontecorvo, maestro del cinema e direttore “partigiano” al Festival del Cinema di Venezia; dall’altra Massimo Calanca, un comunicatore di stile cresciuto nell’audiovisivo a fianco di intellettuali della settima arte come i fratelli Taviani e lo stesso Pontecorvo. La rivoluzione è avvenuta grazie ad entrambi proprio qui, al Lido di Venezia, venti anni fa attraverso un progetto che ha avuto forti impatti su più generazioni: CinemAvvenire.
Finalmente i giovani entravano ad un Festival di Cinema dal portone principale, diventandone i protagonisti. Sotto la direzione di Gillo Pontecorvo, la Mostra d’arte cinematografica di Venezia si trasformò in una grande festa, dentro e fuori il Palazzo del Cinema, e un punto di ritrovo per la gioventù, di qualsiasi provenienza ed estrazione sociale.

Quando l’Anica-Flash nel 1993 scelse la giuria dei giovani di CinemAvvenire per premiare il film opera-prima, quella fu una grande svolta, perché diventammo un’istituzione all’interno della Mostra del Cinema di Venezia e i nostri premi erano annunciati ufficialmente tra quelli collaterali. Ed essere stato il Presidente di quella giuria per più edizioni ha rappresentato molto per me, soprattutto quando alla fine degli anni ’90 fu costituita una giuria Internazionale, con giovani provenienti da più parti d’Europa, inclusi i paesi dell’Est. La notizia fece così rumore che se ne parlò anche oltre i confini dell’Italia.
Senza contare gli incontri, i seminari, i workshop fatti con i grandi maestri, alcuni dei quali si sono concessi soltanto a noi : da Nanni Loy a David Linch, da Ken Loach a Robert Altman. Persino Jack Nicholson cedette alle avances di Pontecorvo, che quella sera puntò il dito su di me e disse: “Sei pronto? Ecco la tua chance. Prepara due domande per Nicholson”. Me la stavo facendo addosso dalla paura.

Non prendere sul serio una ciurma di ragazzotti che, invece di cazzeggiare chissà dove, venivano al Lido a parlare di cinema, era l’amo a cui adescavano i disfattisti. Il tempo ci ha dato ragione, perché molti di noi, figli di CinemAvvenire, oggi lavorano con successo nel campo del cinema, dell’audiovisivo, della comunicazione.

Ritornare al Lido dopo 10 anni, non mi ha restituito tanti luoghi della mia vita, ma alcune persone che hanno segnato il mio privato e il mio percorso professionale. Sono tornato non per tuffarmi in una reunion nostalgica, ma per ritrovare esseri speciali con cui ho condiviso giorni memorabili. Ringrazio i giovanissimi, che mi hanno fatto un bel regalo per questo ventennale: (ri)consegnare il premio CinemAvvenire. La mia prima volta fu all’Hotel Excelsior del Lido al produttore Domenico Procacci; sabato scorso nello stesso identico posto al regista Ulrich Seidl.
Sono tornato al Lido per onorare la memoria di Gillo Pontecorvo e ringraziare pubblicamente Massimo Calanca e Giuliana Montesanto, che per me sono stati anche due riferimenti importanti dal punto di vista umano. Grazie per aver scommesso allora sul figlio di un operaio, facendogli vivere uno dei sogni più belli della sua vita: entrare da protagonista nel mondo del cinema, tenendolo lontano dagli spasimi del divismo e della volgarità. Grazie per avergli lasciato oltrepassare il grande schermo e sperimentare la “ricchezza della diversità”, perché il cerchio non è rotondo.

Diario da Parigi, in tilt per una spruzzata di neve

Parigi è Parigi, anche sotto la neve. E così una toccata mordi e fuggi per lavoro è stata un’opportunità per godermi dal taxi la Ville lumière in piena atmosfera natalizia. Ho visto meno addobbi e illuminazioni del solito. Sarà mai una campagna di risparmio energico per evitare che i nostri cugini d’oltralpe si facciano le festività a lume di candela? I quotidiani francesi annunciano un possibile black out. Se giovedì scorso pochi centimetri di neve hanno mandato in tilt l’aeroporto Charles De Gaulle, figuriamoci la mancanza totale di elettricità! Chi viaggia mette in agenda i ritardi a causa del maltempo, ma non 6 ore di attesa per l’indecente gestione areoportuale. Poco prima di partire per Milano, non c’erano i bus per portarci all’aereo. Insomma, ho scoperto che, dopo una certa ora, non ci sono più autisti a sufficienza. E le emergenze? Ad un tratto la situazione è diventata surreale con gruppi di passeggeri, sballottati da un gate e all’altro. Mentre mi divertivo a guardare i più furiosi, raccoglievo qualche testimonianza. “Lo so che il mio nome in italiano è davvero buffo”, mi ha sussurrato Salma. Figlia di algerini emigrati trenta anni fa a Rouen (la città di Flaubert e Corneille!), io e questa simpatica studentessa universitaria abbiamo condiviso alcune sequenze della Battaglia di Algeri, il film del compianto Gillo Pontecorvo che osò per primo raccontare questa sanguinosa indipendenza. Abbiamo parlato di immigrazione nei giorni in cui il governo di Sarkozy si interroga sull’identità nazionale! Poi Salma si è dissolta in aereo col suo minuscolo bagaglio, dietro il desiderio di raggiungere al più presto l’Italia per un fine settimana con le amiche bolognesi. Su quell’aereo , in piena notte, eravamo tutti stravolti. Alla mia destra c’era il mio capo che dormiva, con quella stessa serenità che aveva trasmesso a telefono al figlio qualche ora prima. Il desiderio di riabbracciare il suo cucciolo mi ha dato la sensazione di trovarmi in una pallina di neve, il tipico souvenir con cui puoi sempre agitare un ricordo: mi sono rivisto tredici anni fa in un treno notturno che mi portava da Parigi nel Sud della Francia e mia zia Santina sull’uscio della porta lì a rimproverarmi: “Sembri uno zingaro, buttati subito nella vasca da bagno e restaci fino a domani”. I ritardi servono per smuovere i ricordi e farli scivolare su uno spruzzo d’inchiostro: “Cara zia Santina, mi manchi. Parigi è cambiata, ma io sono sempre lo stesso, un vagabondo in giacca e cravatta”.

Montreux Jazz Festival ci serva da lezione!

Prince al Montreux Jazz Festival 2009

Rosario PipoloLa Svizzera può insegnarci qualcosa su come si fa un festival. Aggirandomi al Montreux Jazz Festival, ho ritrovato la concezione di “festa”, quella stessa che Gillo Pontecorvo cercò di portare negli anni ‘90 al Festival del Cinema di Venezia. Pontecorvo non tradì la sua indole di “innovatore” perché aveva capito che un festival doveva essere “condivisione” per tutti, e non passerella elitaria di pochi. Ritornando alla musica di Montreux, mi ha fatto immensamente piacere vedere migliaia di giovani assiepati sul lungo lago, nel parco o fuori all’Auditorium ad ascoltare musica, condividere divertimento e un buon bicchiere di birra, senza avere necessariamente il biglietto della grande serata. Chi se ne frega di tirar fuori dalla tasca 120 euro per Prince, quando poi al Jazz Cafè ci danno la possibilità di vederlo in diretta video gratis? Questa sì che è vera democrazia! Ispirarsi ad una manifestazione, non significa copiarne in parte soltanto il programma. E’ lo dimostra la scarsa presenza di pubblico al Milano Jazzin’ Festival che scimmiotta Montreux. Per non parlare delle date annullate, come l’interessante duetto tra Occidente e Oriente con Hancock e Lang lang. Non sono un arcipelago di live a casaccio all’Arena Civica a farci sentire ad un festival. Eppure l’anno scorso il Milano Jazzin’ Festival era tutta un’altra musica. Montreux ci serva da lezione per fare qualche riflessione intelligente, senza piangerci addosso.