Doppio sogno: la favola ritrovata dei due gabbiani
C’era lei in lacrime accovacciata su un marciapiede. Mi sembrava di essere finito in una sequenza di Blade Runner. Nel sogno pioveva a dirotto: le lacrime si confondevano con la pioggia. Mi sono avvicinato e l’ho riconosciuta. L’ho cercata e l’ho ritrovata. Ho tirato fuori dalla tasca della giacca una paginetta che ho scritto tanto tempo fa, proprio in questi giorni di ottobre. Al risveglio me sono ricordato. Che buffa storia era quella, avrò avuto vent’anni quando l’ho messa giù, bivaccato sulla mia vespa rossa. Più o meno faceva così:
Due gabbiani si incontrarono in un giorno qualunque. Ham chiese ad Or se volesse proseguire assieme a lui. Lei accettò e si mossero nella stessa direzione. Poco tempo dopo Or non se la sentì più. Ham soffrì molto, ma la lasciò libera. Lui continuò per la sua strada. Arrivò l’inverno. E vennero la pioggia, il freddo e i temporali. Quel gabbiano continuò impavido finché la primavera non spazzò via le nuvole ed Ham si ritrovò Or al suo fianco. I due gabbiani, nonostante tutto, si incrociarono sulla stessa traiettoria, perché in tutto quel tempo avevano continuato a viaggiare assieme inconsapevolmente. Finirono su una spiaggia al calar del sole e decisero di amarsi. L’unico modo era trasformarsi in esseri umani.
Quella notte ci pensò la luna a fare il resto e l’indomani al posto loro c’erano un ragazzo e una ragazza. In fondo alla spiaggia c’era un grotta con una luce. Quella era la loro meta. I due notarono che avvicinandosi, la meta si allontanava. Dal mare si udì una voce che disse: “Perché vi ostinate ad andare laggiù? L’amore non è in quella grotta. L’amore siete voi”.
I due si guardarono negli occhi e sulla sabbia scrissero i loro nomi uno a fianco all’altro. La bassa marea mise la “e” al posto della “h” e le cambiò posizione. Da quel giorno, su ogni spiaggia della terra, ogni volta che si intravedono due gabbiani all’orizzonte, il mare scrive sulla sabbia l’unico incantesimo che tiene legati gli essere umani: a-m-o-r-e.
Ho provato a cercare il foglietto su cui ho scritto quella stupida favoletta, ma non c’era. Sono uscito da casa, in un giorno qualunque. L’ho trovata sorridente, accovacciata sul terzultimo gradino. Me la ricordavo occhialuta. Invece non portava più gli occhiali. I capelli si erano allungati e disegnavano i contorni del viso. Abbiamo bevuto un caffè. Prima dell’ultimo sorso, ha aperto la borsetta e ha preso un foglietto scarabocchiato: “Per caso cercavi questo? Profuma ancora della pioggia dell’altra notte, la stessa in cui me l’hai dato”.
Doppio sogno.