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Il Festival di Sanremo canta in dialetto?

Il teatro Ariston di Sanremo

Rosario PipoloI venti leghisti tirano così forte da incidere anche su un evento nazional-popolare come il Festival di Sanremo. Svecchiare un regolamento dopo quasi 60 anni si può, ma recriminarne la natura ed inserire le canzoni in dialetto mi sembra troppo. Da buon napoletano ritengo che cultura musicale dialettale sia un patrimonio immenso, a cui neanche io da ascoltatore vorrei rinunciare. E non ne faccio questioni geografiche o antropologiche perchè ascolto con la stessa partecipazione emotiva il comasco Davide Van De Sfroos così come il parneopeo Peppe Barra. Il palco del teatro Ariston è l’agorà del Festival della Canzone italiana, una manifestazione che non dovrebbe essere né una vetrina del nazionalismo tricolore né l’oasi del federalismo canzonettaro. E’ vero che il Festival di Sanremo perde il suo seguito anno dopo anno, ma non è questa la trovata giusta per far acquistare sprint all’intrigante macchina discografica che ne fa da supporto. Le canzoni in dialetto possono essere valorizzate in altri spazi, possibilmente costruiti su misura. Per quanto riguarda l’esterofilia sanremese, dico la mia: no ai superospiti strapagati, ma sì ai duetti con gli stranieri per esportare qualche canzone all’estero. Mica tutti si chiamano Ramazzotti, Bocelli o Pausini? E poi se in passato non fosse stato così, nel 1990 non ci saremmo emozionati con  Ray Charles che cantava Good Love Gone Bad, versione in inglese di un pezzo di Toto Cutugno.

Musica, quanta voglia di beneficenza per l’Abruzzo!

renato-zero150Musica e solidarietà sono due parole che si incrociano e spesso vanno pure d’accordo, raccogliendo anche fondi da capogiro. La tragedia del terremoto in Abruzzo ha scosso l’anima di molti musicisti: da Vasco che ha donato 100 mila euro dal palco del concertone del 1° Maggio alle decine di eventi musicali che si moltiplicano lungo lo stivale italiano. Persino quando c’è di mezzo la beneficenza può scattare “la competizione” e quel timido orgoglio che smuove punte di campanilismo. Milano chiama e Roma non perde tempo a rispondere! Mentre Laura Pausini recluta le donne della musica per un mega evento il 21 giugno a San Siro, Renato Zero, Claudio Baglioni, Antonello Venditti e tanti altri si incontrano dall’altra parte della barricata per una notte di note all’Olimpico di Roma: la capitale gioca d’anticipo e la data è fissata per il 20 giugno. E’ di buon auspicio guardare tanti artisti che si danno da fare per una giusta causa. Sarebbe più stimolante se ci fosse sempre una continuità nei progetti benefici, anche da parte dei management che fanno il buono e il cattivo tempo sui costi dei concerti. E qui il traguardo non è realizzare il mega show per fare il colpo grosso nel Belpaese, scimmiottando i concertoni americani, ma spingere il cervello in un’altra direzione: la musica può farci ritrovare il piacere della “diversità”, da qualsiasi parte provenga e non importa se quel palco sia a Roma o Milano.