Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Divorzio all’italiana 40 anni dopo: lampo o non lampo?

Rosario PipoloIl cinema aiuta la memoria a non rifarsi la tinta ma a mantenere la propria capigliatura brizzolata. Non fa mai male riguardare un vecchio gioiello in bianco e nero come Divorzio all’italiana di Pietro Germi. E’ nitido il riflesso del Belpaese provinciale, dove il bello e il cattivo tempo lo facevano i feudatari della vecchia Democrazia Cristiana, rattoppata nello scudo crociato che in tanti oggi vedono cucito sulla vestaglia di Matteo Renzi.

Quando quaranta anni fa il referendum fece varcare al divorzio la soglia di legge, l’Italia annebiata dai fumogeni degli anni di Piombo visse l’illusione dell’emencipazione nel passaggio dal bigottismo alla laicità. Prima che il divorzio diventasse fenomeno del costume del BelPaese, facendo gola a tutta la ciurma di avvocati che ti spillava quattrini per mettere fine allo sfortunato matrimonio, fu il tempo della dolorosa discriminazione. Se eri un divorziato ti tiravano le pietre e se per giunta eri cattolico dovevi dire addio alla comunione con il benestare delle malelingue.

Oggi viviamo il rovescio della medaglia, tra divorziati e famiglie allargate, nell’Italia modernizzata che si avvia alla legge del divorzio lampo. Manca solo il semaforo verde del Senato e così impiegheremo più tempo a sposarci che per mandare tutto all’aria. Ops, dipende sempre dai punti di vista, perché in tanti casi mandare all’aria un matrimonio significa liberarsi degli orchi cattivi. La generazione dei miei nonni ne sa qualcosa.

Riguardare il film con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli, prodotto dal lungimirante Franco Cristaldi, aiuterebbe anche i più scettici a fare un passo avanti: qui non si tratta di legge o non legge da “divorzio breve”. E’ semplicemente una questione di buon senso.

 

Riforme e Sanità, svolta storica negli USA

“Ama il medico come te stesso e metti mano al portafoglio” poteva essere uno dei comandamenti dell’America graffiata dalle lobby e dalle compagnie assicurative. Giù le mani della Sanità privata perchè dopotutto “la salute non è un diritto di tutti” e nella lotta alla sopravvivenza si salvi chi può. E dei 50 milioni di americani senza copertura sanitaria? Per decenni l’America ha sentito fiumi di parole al Congresso;  ha sperato nell’indignazione di alcuni Presidenti che promettevano, ma poi cedevano al ricatto delle lobby;  ha messo a tutto volume le canzoni di Dylan e Baez, illudendosi che la musica potesse essere ancora l’unica arma di protesta; ha cacciato dalla Casa Bianca il guerriero George W. Bush dopo gli sprechi enormi di velleità belligeranti e colonizzatrici. E venne un uomo, lui il primo Presidente afro-americano, che di fegato ne ha avuto. La riforma voluta da Barack Obama non è più l’ombra di un manifesto da campagna elettorale sotto il tormentone “Yes, we can”, ma è il primo passo di una svolta. Non illudiamoci che gli USA si convertano ad una Sanità Pubblica sul modello europeo. Scordiamocelo, è utopia, pura demagogia.  La Camera dice sì ad una legge che partorisce finanziamenti pubblici e incentivi rivolti a oltre 30 milioni di cittadini che non possono permettersi di sottoscrivere una polizza. Obama e i Democratici fanno bene a festeggiare perchè questa è una data storica, ma con le dovute cautele:  il percorso è ancora tortuoso e le insidie sono dietro l’angolo perchè potrebbero venire dal basso.