Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Accanto a zia Giulia: l’amore piega il Parkinson

Rosario PipoloSono seduto in una stanza soleggiata. E’ il primo pomeriggio. Lei è lì, distesa immobile nel suo letto, mi fissa. Le prendo la mano e le dico: “Zia Giulia*, sono tornato”. I suoi occhi diventano lucidi. Scippo all’amaro destino l’ultima speranza per convincermi che forse mi abbia riconosciuto. Le mani sono immobili. Eppure sono le stesse che un tempo impastavano una soffice torta, che puntualmente mi ficcava nello zaino prima di ripartire.

Dove abita il Parkinson? Lì, sul suo volto, sugli zigomi e fa di tutto per portarsi via le ultime briciole della mimica facciale. Mi torna in mente Isabelle Allende, accanto alla figlia malata, che scrive un profondo diario: Paula. Allora tiro fuori l’iPad, lo accendo e faccio finta di scarabocchiare. Non sono parole, sono segni come i disegnini che dedicavo a zia Giulia una trentina d’anni fa. Mettevo assieme, nel riquadro dello stesso foglio, i personaggi dei suoi telefilm e telenovelas preferite: J.R. di Dallas mi veniva benone, ma Veronica Castro di Anche i ricchi piangono era complicata per la capigliatura. Lei sorrideva, li conservava, mi accarezzava e mi premiava con qualche goloseria.

Scrivo, appunto. Lei farfuglia qualcosa come “treno”. Si è svegliata dal torpore all’improvviso e forse mi sta chiedendo con quale fossi arrivato. Zia Giulia conosce i miei vagabondaggi, perchè si era abituata alle mie improvvisate, quando sbucavo dalla stazione di Firenze Santa Maria Novella o da Campo di Marte nel bel mezzo della notte.

Il mutismo della morte vegetale ha ceduto la parola alla lotta per la vita. Mi sono convinto che il Parkinson si piega dinanzi all’amore. Non dovremmo mai precluderci una grande opportunità: visitare una persona ammalata che amiamo. Riempie lo spettro dell’inutilità che il più delle volte vagheggia nelle nostre esistenze e ci trasforma in piccoli angeli custodi. Solo così saremo capaci di restituire l’amore impagabile a chi ha contribuito a dare un significato ai nostri giorni felici.

 Parkinson.it

 100 risposte sul Parkinson

 Julia di John Lennon & Paul Mc Cartney 

*Mia zia Giulia si è liberata degli anni di prigionia del Parkinson nel pomeriggio del 1 maggio 2014.

Una sconfinata giovinezza, dal film di Avati agli occhi di Olga

Io e Pupi Avati abbiamo qualcosa che ci accomuna: il ricordo come capostipite della vita. E se affilassimo la punta del glossario di Foursquare, azzardiamo pure che “la memoria avatiana” ha una sua precisa geolocalizzazione, che vive nell’Emilia-Romagna del regista di Una sconfinata giovinezza. Convivere con una malattia come l’Alzheimer? Mica è roba da poco e poi, quando si tratta di cinema, affrontare certi temi diventa pericolosissimo. Avati ci ha provato, si è fidato (e ha fatto bene!) di un fuoriclasse come Fabrizio Bentivoglio e ha sfornato un bel film, a tratti un pugno nello stomaco, a tratti emozionante come nel finale poetico che a scanso di equivoci accartoccia tutto nella memoria. Da spettatore, durante il primo tempo, ho vissuto il terrore di trovarmi nei panni del degente, con cui condivido se non altro la stessa professione. Nel secondo tempo, mi sono interrogato su quale fosse la giusta via per sostenere un malato di Alzheimer.
Cinque anni fa, dopo aver attraversato in autobus gli USA per seimila chilometri, sono finito alla ricerca di una anziana prozia. Olga era la sorella di nonno Pasquale, aveva lasciato Napoli quando mamma era nata, e da allora in famiglia viveva tra le foto d’oltreoceano e la calligrafia delle lettere che ogni Natale ci inviava da Houston. Dopo aver bussato alla porta, mi sono trovato una signora ottantenne affetta da Alzheimer. Continuamente dovevo ripeterle che non ero il figlio del fratello Pasqualino, ma il nipote. Io e Olga abbiamo trascorso assieme 36 ore, mentre lei vagabondava nella sua “sconfinata giovinezza”, facente capo alla storia della mia famiglia. Lei era felice perché era tornata a preoccuparsi di qualcuno, cioè di me; io mi chiedevo come la condivisione della memoria avesse fatto germogliare un legame così in fretta. Le ho lasciata una foto fatta assieme con la vana speranza che non si scordasse di quel giorno e mezzo. Quando il volto di zia Olga è scomparso dietro  la finestra sapevo che non l’avrei rivista più. Qualche settimana dopo mi è arrivata un’email in cui mi scrivevano che, tutti i pomeriggi all’ora del tè, Olga poggiava lo sguardo sulla nostra foto e sorrideva.
Per la prima volta nella vita mi ero scrollato di dosso quel senso di inutilità che ti assale quando sei accanto ad un malato, che per gli altri magari è un rimbambito. Zia Olga aveva bisogno soltanto di amore, come il protagonista del nuovo film di Pupi Avati.