Il 25 aprile oltre l’anniversario: partigiani della musica come gli Area

Rosario PipoloFinito il giorno dell’anniversario, socchiuso nella sindrome del revival, sembra che il 25 aprile si sia arrestato a quella liberazione di 70 anni fa. Senza dimenticare che  l’Italia passò da una dittatura ad un regime fatto di meccanismi perversi – quest’ultimo era il soppalco della Prima Repubblica – resta da chiedersi chi siano stati i partigiani del dopoguerra.

Lo sono stati un po’ tutti coloro che hanno fatto “resistenza” nel proprio territorio a quel sistema che osteggiava il sogno collettivo di rendere la vita umanamente a misura di ciascuno, senza certi feroci dislivelli che fucilano la dignità umana.

Chiacchierando con Paolo Tofani e Patrizio Fariselli, due colonne del gruppo musicale degli Area, al termine di un concerto nella cornice della rassegna JazzAltro, ho confermato il mio bizzarro convincimento. Negli anni ’70, nell’Italia che brulicava delle bombe degli anni di Piombo, gli Area furono i partigiani della musica.

Non fummo all’altezza di capirlo né qui né all’estero perché accecati dall’innocenza melodica di casa nostra. Il sound sperimentale degli Area, che fece della voce di Demetrio Stratos l’urlo rabbioso del “nuovo partigiano Johnny”, declinò la resistenza come valore per annusare la vita.
Il  concerto del 14 luglio 1979, che rese il raduno musicale all’Arena Civica di Milano l’unica Woodstock nostrana che l’Italia ricordi, fu la testimonianza che quel sound fu la nuova liberazione dallo sguardo vigile dei nuovi padroni in ascesa.

Il repertorio musicale degli Area, così come il coraggio di Mario Caccia, Laura e i membri dell’Associazione Area 101 sostenitori di rassegne come JazzAltro, dimostrano che si può essere ancora partigiani a 70 anni dal 25 aprile che cambiò il volto all’Italia.
Possiamo esserlo tutti noi, nella nostra quotidianità, per superare ciò che scrisse Sandro Pertini: “È meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le ‪‎dittature‬.” E per uscire dal tunnel di “la peggiore delle democrazie” dovremmo imparare a riconoscere i partigiani del nostro tempo, che resistono all’ombra dei riflettori.