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La rivolta dei fiumi nell’Italia dalle assoluzioni per tutti

Rosario PipoloCantavamo a squarciagola “L’Italia ‘o Paese d’o sole e d’o mare” e c’eravamo dimenticati fiumi e torrenti che serpeggiano attraverso tutta la nostra Penisola. Le alluvioni e i nubifragi tremendi degli ultimi tempi  – basta guardare come si è ridotta Chiavari – accompagnano la rivolta dei fiumi.

Sì, è una rivolta, punto. E’ una vera e propria sommossa anche quella dei torrenti – il Carrione e il Parmignola esondati a Carrara, il Baganza a Parma, il Seveso a Milano – in un incubo collettivo che, per certi versi, assomiglia a quello vissuto dalla comunità di Bodega Bay nel film di Alfred Hitchcock Gli uccelli.
L’ho rivisto qualche giorno fa in versione restaurata: “Signora, assalire è una parola un po’ grossa, non crede? Gli uccelli non hanno mica l’abitudine di assalire la gente senza motivo, no?”.

Se rigiriamo la battuta del celebre film, vien da chiederci perché mai fumi e torrenti dovrebbero avere “l’abitudine di assalire la gente senza motivo”?
Qui non è solo questione di una rivolta dell’ambiente nei confronti di noi sciagurati. E’ la resa dei conti per un Paese come l’Italia, assenteista in ambito prevenzione e colpevole per aver fatto dei “condoni edilizi” una colonna portante della mala politica degli ultimi quarant’anni.

L’Italia è stata messa con le mani nel sacco dall’abusivismo edilizio, da sempre questuante insidioso per raccattare voti in campagna elettorale ed alimentazione del business delle microcriminalità organizzate, oggi complice della brutta fine di quei poveracci, che abitavano in case-baracche poco lontane dai fiumi.
Dopotutto, in quale Paese al mondo esiste un vulcano attivo – il Vesuvio, appunto – sul quale hanno lasciato costruire abitazioni fino ai pressi del cratere?

Chi paga il conto di queste o delle prossime disgrazie? Nessuno. Dal Belpaese in cui “finivano tutti dentro” ci siamo svegliati nel Belpaese dalle assoluzioni per tutti: dagli scienziati del terremoto di l’Aquila ai boss che minacciarono Saviano.
Per tornare ad Alfred Hitchcock, la crudele verità è tutta in questa battuta del film sopra menzionato: “Signorina, gli uccelli non sono aggressivi. Sono il simbolo della gentilezza”.

Alluvione, i social media tolgono fango a Genova e Parma. I bonus dei manager no!

Rosario PipoloIl Nord Italia è stato travolto dal fango tra Genova e Parma piegate in due dall’alluvione. All’inizio del 2014 scrivevo su questo blog: “L’Italia non è un paese di prevenzione, non lo è mai stato e non riesce ad esserlo al tempo in cui le casse degli enti locali si svuotano per i rimborsi truccati di qualche scellarato che collezione scontrini di carta igienica e albi a fumetti”.

Non è cambiato nulla e, per dimostrarlo,  bastarebbe fare un copia e incolla di vecchie conversazioni disperse tra Facebook e Twitter. Riscriveremo pari pari lo stesso copione. Amarezza e rabbia, basta. Le istituzioni, incapaci di prevedere e tutelarci da catastrofi ambientali di questa portata, dovrebbero prendere lezioni dai social media. In stato di emergenza sanno come far ritrovare uomini e donne di tutte le età, mettendoli di fronte al fatto compiuto.

Mentre a Genova “i manager dei disastri passati”, elencati da Corriere.it, si godono i premi ricevuti tra i 6 mila e i 17 mila euro, i genovesi tolgono il fango con la cantilena della voce da megafono in stile arrotino ambulante: “Non vi lasceremo soli”.
Piuttosto a non lasciare sola la città ligure sono i presidi social efficaci, dalla pagina Facebook Angeli col fango sulle magliette all’account twitter @farmaciaserrage, eccellenza digitale e caso unico in Italia di Farmacia social che fornisce continui aggiornamenti utili alla community in ambito salute.

In questo momento Genova e Parma sono travolte dall’insolito destino, quello di far parte di un Paese come l’Italia in cui il business del cemento prevale sulla politica della sicurezza del territorio e sulle bonifiche che non saranno mai compiute.

Diario di viaggio: In bici nel parmense con il retrogusto dell’ospitalità

Assieme a Fabio Romani

Rosario PipoloDomenica pomeriggio. Mi perdo nel parmense sotto un sole cocente. 38 gradi e per giunta in bici, alla scoperta di un’altra zolla di terra della regione emiliana. Vengo da Sabbioneta e il traguardo è Parma. Lo stomaco brontola, ma trovare un posto per mangiare sembrava impossibile. E poi mettiamola così. Avendo sforato l’orario del pranzo accademico, chi mi farà mettere qualcosa sotto i denti alle tre del pomeriggio? Mi rassegno a filar diritto verso Parma a stomaco vuoto, quando avvisto un’insegna con una “R” gigante. Sta per Romani, il ristorante di Vicomero di Torrile, e una signora me lo conferma: “Provi lì, hanno la cucina aperta fino a tardi”.

Dopo quindici chilometri sotto il sol leone, me lo merito il pranzetto succulento. Dopo una passerella di affettati e torta fritta (al di là della sponda lombarda del Po è il fratello gemello dello gnocco fritto), ecco che spunta  il gestore. Fabio Romani, mio coetano, è una persona simpatica e a modo. Mi racconta della sua Correggio e di come il papà mise in piedi l’attività. Quando azzanno i miei tortelli alle erbette, Fabio mi guarda con orgoglio, come per dire “ne è valsa la pena arrivare fin qui”. Insiste per farmi assaggiare la punta con patate al forno. Tra una forchettata e l’altra, scopro che il ristoratore di Correggio è un appassionato di dolci. E che dolci! Tira fuori dal cilindro magico il jolly: una torta di mele ricoperta di amaretto.

Dopo tutto quel ben di Dio e senza alcuna delusione dopo l’arrivo del conto (dall’antipasto al caffè, 33€), penso di non farcela a pedalare. Prima di andar via, Fabio mi infila due bottigliette d’acqua in una borsa di cuoio della mia bici. E poi dicono che gli emiliani sono scostanti! Sono i soliti pregiudizi che i viaggiatori dell’ultima ora come me amano smentire. Il gesto di Fabio mi ricorda quello del giorno prima di Ivana di Rivarolo del Re, ai confini tra il mantovano e il cremonese. La signora mi avevo guidato tra le campagne, offrendomi poi una bottiglia d’acqua fredda a casa sua.

Dobbiamo tornare a vivere “il tragitto” e non la “meta” del viaggio, perché solo così notiamo i dettagli che sfuggono al turista distratto che corre con i paraocchi alla velocità della luce. E la mia bici “Tognazzi” – battezzata così a Cremona tre anni fa – mi ha fatto assaggiare il retrogusto dell’ospitalità, lì in un angolo del parmense.