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Archives Novembre 2014

Aznavour Anthologie, un bagno di musica nel legame con Lilina Bazin

Rosario PipoloE’ complicato mettere mano al repertorio musicale di Charles Aznavour, monumento della musica francese e d’oltralpe. Universal Music Francia è riuscita nell’ardua impresa, raccogliendo nel meraviglioso cofanetto Aznavour – Anthologie, prodotto in soli 10.000 esemplari numerati, i 45 album del cantautore francese arricchiti da altri 15 cd tra inediti, rarità, duetti e interpretazioni di classici in italiano, spagnolo, inglese e tedesco.

Ci sono due momenti del mio lavoro che mi riportano all’autore di successi come A ma femme, Il faut que savoir, Tous le visages de l’amour (She): la recensione del concerto del 2010 in piazza San Marco a Venezia e l’incontro a Milano di alcuni anni prima. Del concerto ho il ricordo di un’ugola che, in prossimità dei 90 anni, castigò l’orchestra che non riusciva a stargli dietro, regalando un memorabile canto a cappella.
A Milano invece Aznavour era venuto a presentare un libro. Mi feci strada tra la gente e, a pochi metri da lui, spalancai la copertina apribile di un vecchio disco Barclay. Interruppe il rito degli autografi. Fece cenno di farmi passare. Gli occhi gli brillavano. Io e Charles Aznavour restammo in silenzio faccia a faccia. Mi tolse il pennarello da mano e mi firmò il vinile senza che aprissi bocca.

In quel silenzio, così come in questo bagno di musica, la voce di Charles Aznavour si lega inesorabilmente a quasi un secolo di storia francese, dalla grande illusione della Quarta Repubblica alla dolorosa Guerra d’Algeria, dalle contraddizioni del Gaullismo al socialismo machiavellico di Mitterand, dalle ombre di Chirac sulla rivolta delle banlieue parigine ai gossip di Sarkò.

Il tempo barerà pure ma non riuscirà mai ad importi le canzoni. Quelle di Charles Aznavour hanno accompagnato la vita di tanti francesi adottati come Lilina Bazin, il cui ricordo mi restituisce legami e affetti che non hanno bisogno di inutili schemi.
La musica non inganna. Ti aiuta a superare i momenti difficili, perché una canzone non si ascolta mai da solo. La spartisci sempre con qualcuno o con il ricordo di un momento vissuto ma con la piena coscienza che l’intensità dell’attimo è fuggiasca. Aznavour era figlio dell’Armenia, Lilina era figlia del Sud Italia, concimato nella famiglia messa al mondo nel Sud della Francia.

E oggi questo bagno di canzoni francesi, da cucire e ricucire, da tradurre e ritradurre, è un buon pretesto per ricordarla non solo come zia sensibile e premurosa ma come punto di riferimento per chi come me trovò, proprio grazie a lei, una parte delle radici perdute nella Francia cantata da Charles Aznavour.

Diario di viaggio: l’autenticità degli sposi in un autobus in Valle Camonica

Rosario PipoloNel giorno del matrimonio il cerimoniale vuole che gli sposi siano imprendibili e irraggiungibili. Baci e abbracci dopo il fatidico sì, pochi momenti durante la festa e poi il saluto con relativa fuga d’amore.
Capita pure che, nel giorno del proprio matrimonio, si mandi al diavolo il noiosissimo protocollo. Così gli sposini si mescolano agli invitati, diventando quasi irriconoscibili.

Anzi, la riconoscibilità da festeggiati non sta tanto nell’abito fiabesco, nella pettinatura impeccabile o nella scarpetta rubata al principe di Cenerentola ma in quella voglia matta di condividere con gli invitati ogni instante di questo giorno speciale, senza eccessi formali, senza l’ansia che il menu rientri nei canoni della grande abbuffata o negli obblighi mediocri che, il più delle volte, ci rendono prevedibili.

Perciò, il giorno dopo le nozze, non diamo così per scontato che gli sposi siano in luna di miele. Potreste ritrovarli, come è accaduto a me, in un autobus, di ritorno a casa con un gruppo ristretto di amici ed invitati. Questa scena ha qualcosa dello psichedelico del Magica Mistery Tour  dei Beatles perché, in fin dei conti, anche un viaggio come questo può essere visionario.

Visionario nel senso che indica il percorso per recuperare la massima del mio amico Piccolo Principe: “L’essenziale è invisibile agli occhi”. E su questa traiettoria si inserisce la perla di saggezza della nonna del mio amico Filippo: “L’autenticità delle persone si vede nei dettagli, nella loro spontaneità e non nei discorsi costruiti a tavolino”.

Anna e Luigi, nel viaggio che ha segnato il mio ritorno in Valcamonica, ci hanno dato una bella lezione: si può continuare ad essere sé stessi persino nel giorno del matrimonio.
Al termine di questo viaggio on the road con gli sposi – avrei voluto non finisse mai – ho sentito il riverbero della voce di Lucio Dalla che canticchiava Anna e Marco per l’occasione: “Anna avrebbe voluto morire, Luigi voleva andarsene lontano. Qualcuno li ha visti tornare, tenendosi per mano”.

Just Married al Castello di Bevilacqua e l’artigianato locale per gli sposi

Rosario PipoloNon mi piacciono le fiere dedicate ai matrimoni. Le trovo noiose, a volte volgari, con quel prurito che contraddistingue il mercante, disposto a venderti qualsiasi cosa. Perciò credo che sia riduttivo definire Just Married, la domenica di novembre che il Castello di Bevilacqua dedica ai futuri sposi, come evento o fiera matrimoniale.

Mi sembra piuttosto il raduno di artigiani appassionati che, sulla frontiera veneta tra il veronese, il vicentino e il padovano si incontrano in una cornice incantata – quella di un vero castello appunto – per provare a dare al matrimonio un tocco di autenticità. Per me è artigiano chiunque contamini il proprio lavoro con le radici che lo legano al territorio.

Da questo punto di vista lo sono anche Roberto Iseppi e Miresi Cerato, padroni di casa al Castello di Bevilacqua, portatori sani dell’artigianato nello stile che fa essere questa location del Veneto un punto di ritrovo e riferimento di memoria per tutta la comunità locale.
Mi infiltro a Just Married, mescolandomi tra quelli dello staff, per capire se l’organizzazione di un matrimonio affoghi soltanto nel becero business.

Cambio idea quando vedo la matita magica di Giulia Gazzani disegnare la coppia – scelta come immagine di questo post – che, con lo stesso garbo dei fidanzatini di Peynet, incornicia lo spirito di Just Married: i sogni di Ester e Ime guariti nel loro inconfondibile cake design; il make up di Chiara dallo slogan “il trucco c’è ma non si vede”; la serigrafia di Valentina e Alice tra idee eleganti; l’occhio fotografico di Vinicio, il flauto traverso di Chiara o l’esuberanza di Giorgia che farebbe ballare anche la coppia di sposi più ingessata.

Valorizzare la creatività e l’unicità dell’artigiano locale è il piccolo grande valore aggiunto di Just Married. Ed è giunta l’ora che lo riconoscano anche le istituzioni provinciali e regionali, perché non basta canticchiare all’occorrenza “Oh che bel castello, Marcondiro ndiro ndello”. E scusate, se insisto.

La rivolta dei fiumi nell’Italia dalle assoluzioni per tutti

Rosario PipoloCantavamo a squarciagola “L’Italia ‘o Paese d’o sole e d’o mare” e c’eravamo dimenticati fiumi e torrenti che serpeggiano attraverso tutta la nostra Penisola. Le alluvioni e i nubifragi tremendi degli ultimi tempi  – basta guardare come si è ridotta Chiavari – accompagnano la rivolta dei fiumi.

Sì, è una rivolta, punto. E’ una vera e propria sommossa anche quella dei torrenti – il Carrione e il Parmignola esondati a Carrara, il Baganza a Parma, il Seveso a Milano – in un incubo collettivo che, per certi versi, assomiglia a quello vissuto dalla comunità di Bodega Bay nel film di Alfred Hitchcock Gli uccelli.
L’ho rivisto qualche giorno fa in versione restaurata: “Signora, assalire è una parola un po’ grossa, non crede? Gli uccelli non hanno mica l’abitudine di assalire la gente senza motivo, no?”.

Se rigiriamo la battuta del celebre film, vien da chiederci perché mai fumi e torrenti dovrebbero avere “l’abitudine di assalire la gente senza motivo”?
Qui non è solo questione di una rivolta dell’ambiente nei confronti di noi sciagurati. E’ la resa dei conti per un Paese come l’Italia, assenteista in ambito prevenzione e colpevole per aver fatto dei “condoni edilizi” una colonna portante della mala politica degli ultimi quarant’anni.

L’Italia è stata messa con le mani nel sacco dall’abusivismo edilizio, da sempre questuante insidioso per raccattare voti in campagna elettorale ed alimentazione del business delle microcriminalità organizzate, oggi complice della brutta fine di quei poveracci, che abitavano in case-baracche poco lontane dai fiumi.
Dopotutto, in quale Paese al mondo esiste un vulcano attivo – il Vesuvio, appunto – sul quale hanno lasciato costruire abitazioni fino ai pressi del cratere?

Chi paga il conto di queste o delle prossime disgrazie? Nessuno. Dal Belpaese in cui “finivano tutti dentro” ci siamo svegliati nel Belpaese dalle assoluzioni per tutti: dagli scienziati del terremoto di l’Aquila ai boss che minacciarono Saviano.
Per tornare ad Alfred Hitchcock, la crudele verità è tutta in questa battuta del film sopra menzionato: “Signorina, gli uccelli non sono aggressivi. Sono il simbolo della gentilezza”.

25 anni fa giù il Muro di Berlino. Quanti ne abbiamo ricostruiti da allora?

Rosario PipoloE’ risaputo che io non ami gli obblighi delle ricorrenze e degli anniversari ma mi piace commentarli. Ricordo le immagini in tv la sera del 9 novembre del 1989 che mostravano la caduta del Muro di Berlino. Mi colpirono gli abbracci e le lacrime di uomini, donne e bambini.
Non avevo l’età giusta per comprendere le sfaccettature dell’avvenimento. Non ne furono all’altezza i miei insegnanti di allora, la cui preoccupazione era quella di rincorrere il diktat dei programmi ministeriali.

Per tornare indietro di 25 anni non ripescherò dal mio archivio la prima pagina del quotidiano il Mattino con la notizia della fine della Cortina di Ferro, prezioso dono di nonno Pasquale che mi fece piccolo archvista della memoria storica. Piuttosto rovisto nel mio viaggio a Berlino del 2008, in cui per la prima volta mi trovai faccia a faccia con un pezzo del Muro. Fino ad allora, l’unica Cortina toccata con mano era quella disegnata sulla copertina dell’album The Wall dei Pink Floyd.

Le lunghe scarpinate a piedi attraverso la Berlino Est e quella Ovest mi fecero raccattare i pezzi mancanti. Alcuni tasselli importanti me li portai via dopo la visita al museo del Checkpoint Charlie, ovvero il posto di blocco sul confine del Muro di Berlino. Quel viaggio mi incoraggiò a riflettere e a staccarmi dall’odioso e qualunquista pregiudizio che vorrebbe il berlinese come un austero tedesco. I Berlinesi sanno bene cosa sia vivere una vita divisa.

Dovremmo saperlo tutti noi che, negli ultimi 25 anni, abbiamo continuato ad alzare altre Cortine di Ferro, dentro e fuori l’Europa, pensando che ci bastava un “Muro simbolo” abbattuto per avere la coscienza pulita.

Diamo un valore aggiunto a questo anniversario e interroghiamoci: quanti muri alziamo ogni giorno nella nostra vita? I muri che impediscono ai legami di ricercare gli orizzonti perduti; i muri sul posto di lavoro che trasformano la produttività in guerriglie meschine; i muri tra genitori e figli che offuscano il confronto generazionale; i muri che negano ad una storia di vita di essere protagonista dell’esistenza; i muri che fanno delle divergenze religiose, politiche e sociali l’opportunità di muovere piccoli passi sulla ricchezza della diversità.

Il “Muro simbolo” è a terra da 25 anni. Quando cominceremo a darci da fare per abbattere gli altri?