Cartolina da Pushkar: il lago del misticismo per noi pellegrini
Sono arrivato a Pushkar senza sapere a cosa andassi incontro. Qui c’è profumo di sacralità per le stradine della città vecchia, dove l’odore di fogna si mischia con il fango tra la folla dei fastidiosi ambulanti pronti a truffarti.
Il trucco del fiore non può sfuggire all’occhio del viaggiatore: sfruttare le usanze religiose induiste per spillarti i soldi e obbligarti a dare somme spropositate? Sì, senza cedere ai ricatti.
Attraverso una strettoia mi affaccio su un lago. Qui scatta il mistero, lo stupore, perché questo non è un lago qualsiasi, ma una conca d’acqua sacra.
Pushkar, la Varanasi in miniatura del Rajasthan, ha il suo fulcro in questo girotondo di gath, le scalinate che scendono verso le acque e segnano i passi dei riti induisti. Mi fanno cenno di camminare scalzo. Tolgo le scarpe e percorro a piccoli passi il lungolago.
Mi siedo sui gradini di un gath. A pochi passi da me c’è un santone che sussurra parole che hanno il suono di preghiere, schiaffi alla frenesia di noi occidentali orfani del misticismo.
Due grosse vacche, seguite da un asino mendicante, si crogiolano per riflettersi nelle acque mentre il sole intraprende la sua discesa verso il lago, prima che il tramonto diventi fuoco incandescente.
Siamo tutti pellegrini a Pushkar. Mi fermo in un piccolo bar che affaccia sul lago. Sorseggio una tazza di tè indiano mentre in lontananza, come ogni sera, la voce corale e un mantra induista si alzano su tutto il lago della città santa del Rajasthan.
E se ci fosse un sonnifero nel mio tè fumante? Mi addormento steso tra i cuscini di questo bar indiano. Quando mi sveglio, il sole non c’è più, è tutto buio, non c’è luce artificiale, ma solo un quantitativo di stelle che scandscono la veglia notturna su Pushkar.
Mi tornano in mente le parole della donna conosciuta nel tempio:
Fa che sia il tuo cuore a scegliere la destinazione e la ragione a cercare la via del tuo viaggio.