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Luca Ronconi, quelli che il teatro…

Rosario PipoloQuelli che il teatro lo scelsero perchè il restante fuori il recinto del palcoscenico fosse risucchiato e vissuto con lo sguardo di chi mette insieme drammaturgia, personaggi, esistenza viscerale nella lotta scomposta tra anima e corpo. Il gigante Luca Ronconi.

Quelli che il teatro lo trascinarono nella visione riflessa, dopo Giorgio Strehler e Luigi Squarzina, del terzo occhio per costruire l’impalcatura che fece della regia presa di coscienza, irreversibile rivolta al sistema, contropartita nell’Orlando Furioso, scacco matto dell’avanguardia teatrale in Italia. Il regista Luca Ronconi. 

Quelli che il teatro lo donarono con generosità agli attori e alle attrici che palparono sotto forma di argilla l’unico modo di esistere senza compromessi: dai Branciaroli alle Melato che gli riconobbero il merito di averli illuminati. Il maestro Luca Ronconi. 

Quelli che il teatro lo abitarono e fecero del sipario le tende della propria casa; del palcoscenico la quercia centenaria del proprio giardino; delle quinte gli armadi di tutte le stanze; delle luci della ribalta l’illuminazione di ogni ambiente domestico; dei camerini le tane dove fermarsi a riflettere, dall’Argentina di Roma al Piccolo di Milano. L’uomo di teatro Luca Ronconi. 

Quelli che il teatro lo vissero senza la persecuzione delle scadenze del tempo, convincendoci della reincarnazione dell’uomo di teatro come se, l’invecchiamento a cui siamo condannati noi comuni mortali, non li riguardasse.
A questi ultimi gli dei dissero no alla sepoltura, lasciando il legno del palcoscenico come involucro delle spoglie mortali.  Essere Luca Ronconi.

Quelli che il teatro lo fecero senza sapere che il teatro furono loro stessi. 

Il Teatro Segreto di Ruggero Cappuccio: La lezione che segnò la mia vita

Tutto sommato il finale di partita di una fetta della mia vita non si giocò agli esami di maturità, ma l’anno dopo su un palcoscenico. Ad aprirmi la strada fu proprio il Teatro Segreto di Ruggero Cappuccio. Nel ’93 a Napoli molti si erano fermati sulla sponda drammaturgica di Moscato, Ruccello e Silvestri. Pochi di noi avemmo fortuna e attraversammo senza accorgercene il nuovo rinascimento drammaturgico, quello che diede le prime scintille con Delirio Marginale, premio IDI 1993. Attraverso la penna di Cappuccio ritrovammo storie e personaggi sepolti dalla volgarità del nostro tempo.
Dicevo la mia partita si giocò tutta lì, durante una prova generale, da allievo su quel palcoscenico. Ruggero Cappuccio si alzò dalla seggiola e fermò le prove. Salì sul palco, mi guardò diritto negli occhi e disse con tono severo: “Persino un controscena, senza una battuta, ha il suo valore. Basta un dito fuori posto e sarai condannato ad essere guitto per il resto della vita”. Attraversò il teatro con il sigaro fumante e scomparve nel buio.
Quella per me fu come una sberla, ma ne compresi il valore tempo dopo. C’era una sacrosanta verità, che trasformò me e i miei compagni di scena in uomini di teatro, destinati a dare un senso alle nostre esistenze fuori o oltre il sipario. Quel regista e drammaturgo, attraverso il suo Teatro Segreto, ci aveva difesi e protetti dal divismo amatoriale che dilaga ovunque oggi come allora, professato dalla maggior parte dei poveri illusi, destinati ad essere messaggeri di volgarità.
Quando ho visto in Shakespea Re di Napoli il corpo di Claudio Di Palma imprigionato in una cornice, mi sono convinto che la visione di un universo drammaturgico può essere localizzato ovunque – anche all’ombra del Vesuvio Shakespeare alita il suo spirito – così come l’impasto della scrittura si denuda in eternità sotto più sembianze. E la lava che travolge i protagonisti di Fuoco su Napoli, l’ultimo  e acclamato romanzo di Ruggero Cappuccio, mi riporta proprio nella landa della mia infanzia, i Campi Flegrei, dove ho vissuto la paura che il bradisismo capriccioso di Pozzuoli potesse spazzarci via prima di quanto credessimo e farci diventare personaggi dell’ultima tragedia sul Golfo di Napoli. Non è uno stonato gioco di parole: su quel palcoscenico molti scomparvero da personaggi, in pochi invece cominciammo ad esistere, perché Cappuccio ci svelò attraverso il teatro il primo segreto della vita. E quella lezione segnò la mia per sempre.