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Il capitano marziano Fabrizio Cosi e la rivoluzione a Milano del Podista da Marte

Ritratto di Tiziano Ballabio, 2015

Ritratto di Tiziano Ballabio, 2015

Rosario PipoloMi feci contagiare dall’entusiamo di Fabrizio Cosi a fine marzo del 2013. Riuscì a tirarmi giù dal letto all’aba. Ci incontrammo in piazza Duomo a Milano poco prima delle 7 per una video intervista.
Lui arzillo come sempre in tenuta da runner ed io nascondevo l’aria sonnecchiosa dietro gli occhiali scuri. Me lo aveva anticipato: “Non te ne pentirai. Milano a quell’ora è meravigliosa. La guarderai con occhi diversi”. Scoccò la scintilla, lui leccese, io napoletano.

Da quella mattina imparai a conoscere il capitano di Podisti da Marte, l’associazione no profit che realizza progetti sociali per generare attivismo civico e solidale. Con il passare del tempo sono giunto ad una conclusione: Fabrizio non era un runner, ma un alieno travestito da podista.

Puntuale e ricco di significato è l’intervento di Chiara Bisconti, Assessora allo Sport del Comune di Milano, appena avuta la notizia della partenza improvvisa di Fabrizio: “In questi anni ha collaborato con noi su tanti progetti diversi, ci ha contagiato con la sua passione, la sua allegria, la sua generosità, la sua ironia. Le sue missioni, sempre dedicate a giuste cause contro ogni discriminazione, contro il razzismo, per aiutare i bambini in difficoltà, hanno colorato decine di strade e di piazze”.

Chi lo ha conosciuto ha provato lo stesso stupore dei protagonisti del fim Incontri ravvicinati del terzo tipo, nella scena poetica del mega abbaglio della navicella degli alieni. Chi lo ha visto partire all’inprovviso ha patito lo stesso smarrimento di Micheal e la piccola Gertie nell’ora del distacco da E.T., l’extra-terrestre dell’altra pellicola di Spielberg.
Fabrizio Cosi è stato un alieno talentuoso, un equilibrio tra il manager visonario di una grande azienda; il coach motivazionale che tira fuori il meglio di te; lo sportivo che fa di ogni traguardo un nuovo punto di partenza; l’educatore che con la sua generosità guida e restituisce la città ai disabili, agli anziani, ai bambini, ai deboli.

Fabrizio ha attuato una piccola grande rivoluzione a Milano, quella che potrebbe avere come slogan la verità laica di Giorgio Gaber: “La libertà è partecipazione”.
La radice meridionale del capitano di Podisti da Marte è stata un valore aggiunto per la crescita del territorio, schiacciando gli amari pregiudizi tipici del Sud nei confronti del capoluogo lombardo e senza ammalarsi mai della sindrome dell’emigrante, raccontata da Massimo Troisi.

Fabrizio non è stato mai personaggio, mai maschera, mantenendo l’autenticità di chi proviene da un altro pianeta. Questo non è un necrologio. I marziani non ne hanno bisogno quando ritornano nella propria zolla di universo.
Oggi che il podista è tornato su Marte, abbiamo compreso il motivo per cui un alieno non ha ali come un angelo: Fabrizio ha messo le ali sotto i piedi a tutte le migliaia di persone che hanno “corso” insieme a lui, nel volo che svela il cuore e i sentimenti di Milano senza per forza essere un runner campione.

Il runner sulla carrozzella riscatta Milano nella domenica della Stramilano

Ci sta che Milano vista dalla sella di una bicicletta tiri fuori la sua vera anima, che non è di certo il clichè che le hanno incollato addosso i disadattati anti-metropoli. E se una domenica ecologica – avrebbero potuto bandire dalla circolazione anche i tassisti – è stata l’occasione per far tornare la gente a parlare con le strade segrete del capoluogo lombardo, i runner della Stramilano hanno allungato il verso di una canzone di Lucio Dalla: “Un vincitore vale quanto un vinto”.

Questo può accadere in una competizione sportiva – il verso dedicato ad Ayrton ce lo rammenta – ma non nella vita, dove i vincitori sono coloro che trasformano il nichilismo della sopravvivenza nello slancio dell’esistenza. Il vero vincitore della Stramilano l’ho visto intorno alle 11.30 dalla sella della mia bici, all’angolo di corso Buenos Aires: era un giovane sulla carrozzella che correva spedito. La forza delle gambe immobili si era riversata nei battiti del suo cuore e i palmi delle mani agguantavano la carrozzella come se fosse il prolungamento del corpo.
Quando il podista si è riversato in direzione di Porta Venezia, non ho avuto neanche il tempo di guardare la sua pettorina per capire chi fosse quel piccolo eroe.

Mi ha convinto che nella vita un “vincitore non vale quanto un vinto,” perché il podista paraplegico è riuscito a riscattare Milano dalle solite tartine stantie degli happy-hour; dai clamori delle passerelle; dai ritmi frenetici del luna park stacanovista, dalla nebbia riversata nei palazzi che non fa più distinguere cosa sia una mazzetta o una tangente; dalla multi-etnicità soffocata negli angoli dei ghetti; dal terrore di chi pensa che occorre possedere tanto per tornare a vivere questa città; dall’orrore degli arruffoni convinti che la matita di un Crepax, un verso della Merini o una canzone di Gaber siano soltanto scolorita memoria. Milano è tornata a correre con “le sue gambe”.