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Esercizi d’amore: (meglio) sposare la persona “sbagliata”

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rosario_pipolo_blog_2Tra i ritagli della mia rassegna stampa avevo messo da parte un articolo di Alain de Botton, apparso a fine maggio scorso sul New York Times e poi ripreso in Italia da Il Post. Lo scrittore senza troppi fronzoli metteva in risalto come l’idealizzazione e la nube tossica del romanticismo ci portino a sposare la persona sbagliata.

Non mente la penna svizzera quando elenca la quotidianità della vita matrimoniale tra rate del mutuo da pagare, bambini da portare a scuola o barcamenarsi in quella routine che non ci farebbe riconoscere neanche i bigliettini che scartavamo a prima mattina dai baci di cioccolato.
Privo della saggezza e acutezza di uno scrittore alla portata di de Botton, mi sono piazzato sull’altra sponda ad osservare coloro che saranno nelle condizioni di sposare la persona giusta: calcoleranno tutto per filo e per segno; si pavoneggeranno nel benestare degli altri con il meritato “come state bene insieme”; faranno della logica la planimetria di un progetto di vita insieme.

Il rischio, a mio modesto parere,  è che dietro la logica si nasconda una felicità di cartongesso. Chi si accontenta gode, sillabavano dalle mie parti. Chi non si accontenta?
Chi non si accontenta finisce per sposare la persona sbagliata perché, mettendo da parte la saggezza di Alain, tutto parte dall’unico muscolo, custode del nostro innamoramento da evoluzione della specie: il cuore.

Caro Alain, sa cosa le dico? Nell’era dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi di Facebook che vorrebbero mescolare le carte; nello sproloquio degli schermi digitali che ci fanno camminare con gli occhi bassi; nel tempo divoratore che deve mettere alla prova per forza chi dovrebbe camminare al nostro fianco, abbiamo dimenticato l’essenzialità.
Quando un dì ci libereremo delle vecchie carcasse dei nostri corpi ingombranti, non saremo zombie perché ci siamo ostinati ad essere anime che hanno vissuto.

Sì, sposeremo la persona sbagliata con il rischio che ci tiri appresso il mazzo di fiori per San Valentino o ci lanci dalla finestra il regalo di Natale, senza neanche il tempo di sbraitare “che caratterino”. In quel momento ci torneranno in mente le sagge parole di Papa Francesco: “Tiratevi pure i piatti, ma alla fine fate pace”.

Sposeremo la persona sbagliata, non per partito preso, ma con consapevolezza irresponsabile, ovunque essa sia sulla strada della felicità.

Il mio Capodanno 2015 con E.T., l’extraterrestre del futuro

Rosario PipoloNel 1982, qualche mese dopo il trionfo della Nazionale ai Mondiali di Spagna, incontrai E.T., l’extraterrestre che non mi impressionò per la navicella da cui scese, ma per l’aspetto buffo e poetico che lo rese famoso qui sulla terra, al di là della magia del film di Steven Spielberg.
Dopo oltre trent’anni è ritornato per festeggiare il Capodanno insieme a me e a tutti coloro che appartengono alla generazione in cui la fantasia può condizionare in parte le scelte della vita.

Ai tempi E.T. mi propose di aggregarmi alla slitta nostalgica di “Telefono casa” e trasferirmi sul suo pianeta. Ero troppo piccolo allora per fare una scelta così coraggiosa. Oggi sono abbastanza “grande” per rifarmi dell’occasione perduta.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì non esiste la smania di apparire, che ha fatto della cornice dei social network un grande circo con pagliacci volgari che svendono ogni valore, inclusa l’immagine innocente dei propri figli, per cercare di essere ciò che in realtà non sono.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì non c’è alcun codice, alimentato dall’ipocrita subcultura, che regolamenta i legami sulla base delle imposizioni della comunità che vorrebbe schiavizzare scelte e i tempi di tutto, dal passo nuziale a quello di un corteo funebre.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì la bellezza di Dio non è filtrata con tutti quei fronzoli che ci fanno privare dello stupore di chi dovrebbe accostarsi con gli occhi di un bambino.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì il qualunquismo non ha contagiato la politica, quella che da noi è invasa da predicatori di ogni genere, così ciechi da calpestare i presupposti per essere protagonisti in un paese civile.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì non ci sono coni d’ombra a seppellire i tanti genocidi che ogni giorno si alimentano miseramente sotto i nostri occhi; la giustizia è uguale per tutti e i clandestini non vengono imbarcati per poi bruciare come topi.

Il mio Capodanno 2015 con E.T., il buffo extraterrestre che mi fa affacciare alla finestra di questo 2015 con la chiave per aprire la memoria del futuro.

L’iPhone 6 può attendere

Rosario PipoloCi sono code e code. Quella “surreale e stratosferica” delle ultime ore davanti agli Apple Store delle grandi metropoli per l’arrivo del nuovo iPhone 6.

Quella che vedo tutte le sere tornando da lavoro davanti a una Caritas milanese, dove una ciurma di uomini e donne aspetta di ricevere un piatto caldo.  Le prima fa il giro del mondo alla velocità della luce. Quest’ultima finisce nel dimenticatoio, perché fa parte della routine: gli operai in fila per protestare contro la mobilità o i papà in coda dall’alba all’entrata dell’asilo nido per accaparrarsi un posticino per il pargolo.

Quanto costa l’iPhone 6? In Italia il prezzo oscillerà tra i 700 e i 1000 euro. Occorre rinunciare ad uno stipendio medio per andarsene in giro con il gioiellino della Apple. I due ragazzi nella foto si sono accampati su una panchina della Fifth Avenue newyorkese. Non sono lì per protestare ma spudoratemente in fila per avvinghiare  il melafonino più amato o odiato di tutti i tempi.

Questa immagine offende un’altra America e non abbiamo bisogno di un vecchio disco di Bob Dylan per riascoltare quella voce. Basterebbe farsi raccontare dai genitori e dai nonni di questi ragazzi come sciuparono i loro quattrini: per fare un viaggio e protestare fuori la Casa Bianca contro il Vietnam sanguinoso di Nixon o il rampantismo di Reagan.
Erano altri tempi, come del resto in Italia. I nostri genitori e nonni hanno fatto lunghe code per salvarsi dagli scempi del Secondo Dopoguerra o per avere il diritto di studiare in un’università pubblica.

Quanto costa “mettersi in coda” per l’iPhone 6? Le favole del marketing urlano che qualche folle abbia pagato fior di quattrini per avanzare nella lunghissima fila. Ci sono code e code. Preferisco quella che vedo tutte le sere tornando da lavoro davanti a una Caritas milanese. Fotografa l’umanità di cui avremmo bisogno tutti.