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Il Concorso degli insegnanti, fumo negli occhi per chi “ripiega”

Rosario PipoloMentre il Ministro Profumo parla di ringiovanimento della Scuola Pubblica italiana attraverso il fantomatico concorso che dovrebbe piazzare più di 11 mila nuovi insegnanti, sui social network circolano a raffica i malumori: troppe incongruenze, contraddizioni, guerriglie tra precari e non che fanno gola ai sindacati, il panico per i test preliminari, che il prossimo 17 e 18 dicembre butteranno giù dalla torre una bella fetta di partecipanti.

Nei giorni bui di tagli da tutte le parti, ieri sera nel salottino televisivo di Fabio Fazio, il ministro Profumo ha rassicurato: “Occorre mettere ordine, riavviare il processo, e fare in modo che sia trasparente, in cui le persone credono. Abbiamo bisogno di un paese che non abbia stop and go ma una certa continuità”. Ci sarebbe una considerazione da fare, con la consapevolezza che l’Italia non può dare a nessuno lezioni in termini di “trasparenza di concorsi pubblici”.
Nel Belpaese del secondo dopoguerra del secolo scorso, c’erano due vie per scappare dalla miseria e trovare un rifugio economico dignitoso: la divisa militare e l’abito del monaco. Quanti della generazione di mio padre e di mio nonno ripiegarono, finendo sotto le armi o su un altare.

Con tre milioni di disoccupati che abitano in Italia, è inutile prenderci per i fondelli. Per quanti “salire in cattedra” sarà un ripiego? E non mi riferisco a chi da sempre sogna di svolgere la mansione difficile di insegnante per passione e vocazione, ma a chi magari ha sempre snobbato questa professione e adesso la sceglie perché si trova con l’acqua alla gola. E così nella mischia del prossimo concorso ci finiranno pure mancati medici, ingegneri, avvocati, contabili, informatici, creativi e compagnia bella, convinti che “insegnare” sia robetta da tutti, senza contare dell’ “altro valore aggiunto”.

Tornando all’intervento di Profumo, direi che “mettere ordine” nella nostra Scuola significa anche questo: un precario che supera i 50 anni non può piagnucolare con l’alibi di non avercela fatta perché è vittima del sistema lesionistico della “raccomandazione”; un candidato che sceglie come sede scolastica una regione diversa da quella in cui abita non può fare la “furbata” di trovare sotterfugi per tornarsene nel giro di qualche anno al paese suo a danno del sistema; gli “scalatori di graduatorie” non possono farla franca tra certificazioni innocue o invalidità soft; la scuola italiana non può definirsi civile finché non riconoscerà a pieno titolo, nel suo sistema contraddittorio, il sostegno e la figura degli educatori.

E se questo concorso è un bel vassoio “di brioche” da dare in pasto al popolo affamato fuori dal palazzo, la nuova Scuola Pubblica finirà presto alla ghigliottina. Proprio come capitò a due sovrani poco lungimiranti, Luigi XVI e Maria Antonietta di Francia per l’appunto: a recintare la fame del loro popolo non era una rivolta passeggera, ma una rivoluzione.

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Profumo e il concorso degli insegnanti

La Gelmini e la Scuola che discrimina i disabili

Tagliare si può, anzi si deve. Non occorre avere la faccia tosta, ma quella punta di maldestro coraggio che giorno dopo giorno sta facendo sprofondare la nostra Scuola. Diciamo pure la Scuola, perché di “nostro” non è rimasto più niente, visto che le braccia aperte sono per “i pochi”, i privilegiati, quelli che sono confinati nel bunker delle private. Tra i malcapitati ci sono pure i disabili perché anche lì bisogna risparmiare. Il caso triste era accaduto a La Spezia, dove uno studente disabile di una scuola superiore si era visto tagliare le ore di insegnamento del sostegno. Insomma di mezzo c’è il Ministro Gelmini che è stata condannata per “condotta discriminatoria” ed ora ci sono da pagare le spese processuali e per giunta ripristinare le ore.
Questa sembra una barzelletta brutale, invece è un pietoso fatto di cronaca che mi solletica una riflessione. Nel mio percorso scolastico ho avuto in classe compagni disabili i quali, senza il supporto di un insegnante di sostegno, non avrebbero potuto condividere con noi diverse attività. Ricordo all’asilo, in una giornata di primavera come oggi, lui che non poteva tirare due calci ad un pallone perché era su una sedia a rotelle. Mi avvicinai per smorzare la tonalità della diversità e facemmo un patto che ci fece diventare compagni di merenda. Io tiravo il pallone, ma lui mi indicava la direzione precisa. All’epoca portavo il bendaggio all’occhio destro e certe volte mi sentivo “un pirata” rispetto agli altri bambini. La mia era una deficienza oculistica che avrei risolto col tempo, il suo un problema congenito che lo avrebbe segnato per tutta la vita.
I “disabili” non sono loro, ma lo diventiamo noi quando ci passano sotto il naso queste “orrende discriminazioni” e facciamo finta di niente. Gli studenti di quella scuola ligure hanno una grande ricchezza in classe e non devono rinunciarvi. Oggi ringrazio pubblicamente il mio primo compagno di merenda, per avermi fatto sentire  “un campione” al suo fianco, dandomi una grande lezione di vita:  non dare mai nulla per scontato.