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Archives 2012

La penna di un blogger attraverso il 2012

Rosario PipoloI Maya non ci hanno azzeccato e, aspettando un altro pronostico per la #finedelmondo, eccomi a ripensare a questo 2012. Un anno fatto di tanti piccoli viaggi, per la maggior parte condivisi, a caccia di storie nascoste, che sono poi quelle che restituiscono il significato ad ogni minimo spostamento: dallo sguardo di Carolina a Sabbioneta al viaggio in autobus sotto un sole cocente per abbattere i pregiudizi; da Shalom Gianna in riva al mare alle goloserie marchigiane di Marco e Manuela; dal matrimonio lowcost a Viareggio al ritorno alla Mostra del Cinema di Venezia e al Moulin Rouge di Parigi dopo una valanga di anni.

L’apertura del 2012 assieme al “bambino senza famiglia”; il dolore per la perdita dell’ultimo disegnatore della Napoli da strada e lo smarrimento della piccola senza “papà suo”; le cinquanta candeline di una prof. del Sud Italia; il ricordo della notte “magica” prima degli esami di maturità.

E’ finita tra le mie mani la lettera commovente di un bambino dal futuro al suo papà; la polaroid di un giudice martire, l’ultima favola in una fabbrica di Pomigliano d’Arco per rispettare chi un lavoro lo ha perso e si sente “perso” nel vuoto. Qualche ritaglio di cronaca ci sta bene: la fine dei pesci lessi, quelli del Carroccio; il sangue versato dai lavoratori terremotati dell’Emlia; l’addio a Carlo Maria Martini e Lucio Dalla; l’offesa ai napoletani da parte di Roberto Bolle e del giornalista piemontese del tg3.

Una gran bella storia d’amore non finisce mai? Ho scritto così, prolungando il filo dell’amore oltre il varco dell’eternità nel racconto d’estate L’ultimo angelo in volo su Istanbul. E a proposito di svolta lavorativa, sono finito per una sera nello staff di California Bakery a Milano e se ne sono viste di tutti i colori.

E, infine, ancora una volta i social network sono stati protagonisti di questo 2012 con Facebook in testa, terreno fertile delle amicizie quaquaraquà. Prima o poi tocca scegliere da che parte stare, nella buona o cattiva sorte.

E’ già finito il 2012? Non me ne sono accorto. Sono tornato alla carta con una follia dell’ultimo minuto. Ho pubblicato il mio primo romanzo e brindo assieme ai miei lettori e ai personaggi di “L’ultima neve alla masseria”. Felicità a tutti.

Natale e la ricerca dell’angelo di “Meraviglioso”

Clarence, l'angelo del film "La vita è meravigliosa"

Rosario PipoloE’ faticoso riconoscere gli angeli nei giorni che precedono questo Natale. E’ tutto sottotono, la crisi economica divora tutti, ma soprattutto è l’assenteismo a farla da padrone. Quell’assenteismo di essenzialità e sostanza, che in queste ore i social network vorrebbero farci recuperare con lo sharing dell’ennesima citazione pacchiana. Morale della favola: vogliamoci bene tutti e diffondiamo le ultime stelle filanti di buonismo virtuale che ci rimane.

Prima di finire dalla padella alla brace, c’è un angelo che non è rimasto invisibile. E quello cantato dai Negramaro nella cover di Modugno “Meraviglioso”. Quell’angelo ha una carta di identità. Si chiama Clarence. E’ lo stesso che salva la vita a George Bailey, protagonista di un vecchio film americano che la generazione social dovrebbe vedere: La vita è meravigliosa di Frank Capra.

Qualcuno potrebbe dire la solita americanata in bianco e nero, in cui lo spettatore è destinato a subire la banalizzazione del fantastico. Punti di vista. Che gli angeli non abbiano le ali è risaputo, ci sono accanto tutti i giorni e non li vediamo. Spesso, come cantava Lucio Dalla, “sono tra gli uomini”. Tornando a Clarence che salva Bailey dal suicidio alla vigilia di Natale, è necessario richiamare la grande lezione dell’angelo citato nella canzone di Modugno. Nessuno di noi è inutile, perché la nostra esistenza, per un motivo o un altro, è legata, anche a nostra insaputa, a quella di un altro essere umano. Clarence fa vedere a George come sarebbe stata la vita se non fosse mai nato.

Il “meraviglioso”, appunto, è quello che dovremmo riscoprire assieme al protagonista del vecchio film di Capra. Fuori dalla prigione del virtuale c’è un angelo impaziente che ci aspetta. Tocca a noi dargli un nome e ringraziarlo perché siamo venuti al mondo per godere di uno stupore. E ricordarlo a Natale sarebbe un grande passo per uscire fuori dal tunnel.

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Su Twitter i pendolari incazzati vittime di Trenord, vergogna della Lombardia e dell’Italia tutta!

Trenord Victims su Twitter

Rosario PipoloLa moglie chiese al marito macchinista: “Caro, domani a che ora metto la sveglia? Su quale linea sei?”. E lui rassegnato: “E chi lo sa. Faccio jogging per tutta la Lombardia alla ricerca del treno che guiderò”.
Il bimbo chiese alla mamma capotreno: “Mamma, te li hanno dati i turni a lavoro? Mi raccomando per la vigilia di Natale. Cerca di essere a casa prima che arrivi Babbo Natale. Gli ho chiesto un regalo speciale per te”. E la mamma rise per non piangere.
I due fratellini telefonarono ai due pendolari: “Nonni cari, come siamo felici. Venite a trascorrere l’ultimo dell’anno a casa con noi”. E i due nonni: “Per arrivare da Mantova a Milano potremmo impiegare anche un paio di giorni. Rischiamo di vederci nel 2013”. I due nipotini, dopo una rapida consultazione, replicarono: “Nonni cari, non scoraggiatevi. Portatevi dietro un panettone e una bottiglia di spumante. Almeno brindate sul treno”.

Quelle che sembrano tre storielle surreali fotografano alla perfezione l’incazzatura dei pendolari in Lombardia, la regione che ha sempre vantato di avere un trasporto regionale ferroviario simile alla Germania. Lo slogan è:“Grazie, Trenord! Che bella sorpresa natalizia ci hai preparato”.
Siamo in Italia, ahimè, e così nonostante l’intercessione di S. Ambrogio, le brutte sorprese continuano a portare all’esasperazione migliaia e migliaia di persone che ogni giorno usano il treno per spostarsi, tra ritardi assurdi e cancellazioni su tutta la rete ferroviaria regionale. Dopo un barcone di soldi per il nuovo software per la gestione dei turni di tutti i lavoratori, il sistema informatico continua a dare i numeri e manda tutto in tilt.

Ci chiediamo: Come è possibile che sia accaduto una cosa simile? Come saranno risarciti i pendolari che in questi giorni stanno impiegando il triplo del tempo per raggiungere la destinazione? Perché il sistema informatico non è stato testato ed è stato lanciato in concomitanza con il nuovo orario delle ferrovie?
In questi giorni c’è solo da salire e scendere dai treni per raccogliere storie e vicende di uomini, donne, studenti che stanno vivendo l’incubo di un viaggio in treno. Potete sempre lanciare lo sfogo su Twitter usando #trenordvictims o indirizzandolo all’account specializzato in materia @trenordvictims.

Dovremmo chiedere aiuto a Dylan Dog, perché forse solo l’indagatore dell’incubo potrebbe aiutarci a trovare una risposta. Nel giro di qualche giorno il sistema ferroviario del Nord Italia è diventato la vergogna del Belpaese, non solo agli occhi delle altre regioni, ma anche a quelli del resto dell’Europa. E questa volta le giustificazioni di manager e politici non stanno né in cielo né in terra, nonostante tiri già aria di campagna elettorale.

  Treni, pendolari tartassati anche dal software

 Trenord e l’inferno sui binari… Passeggeri in ostaggio sul treno Milano-Luino

Il Concorso degli insegnanti, fumo negli occhi per chi “ripiega”

Rosario PipoloMentre il Ministro Profumo parla di ringiovanimento della Scuola Pubblica italiana attraverso il fantomatico concorso che dovrebbe piazzare più di 11 mila nuovi insegnanti, sui social network circolano a raffica i malumori: troppe incongruenze, contraddizioni, guerriglie tra precari e non che fanno gola ai sindacati, il panico per i test preliminari, che il prossimo 17 e 18 dicembre butteranno giù dalla torre una bella fetta di partecipanti.

Nei giorni bui di tagli da tutte le parti, ieri sera nel salottino televisivo di Fabio Fazio, il ministro Profumo ha rassicurato: “Occorre mettere ordine, riavviare il processo, e fare in modo che sia trasparente, in cui le persone credono. Abbiamo bisogno di un paese che non abbia stop and go ma una certa continuità”. Ci sarebbe una considerazione da fare, con la consapevolezza che l’Italia non può dare a nessuno lezioni in termini di “trasparenza di concorsi pubblici”.
Nel Belpaese del secondo dopoguerra del secolo scorso, c’erano due vie per scappare dalla miseria e trovare un rifugio economico dignitoso: la divisa militare e l’abito del monaco. Quanti della generazione di mio padre e di mio nonno ripiegarono, finendo sotto le armi o su un altare.

Con tre milioni di disoccupati che abitano in Italia, è inutile prenderci per i fondelli. Per quanti “salire in cattedra” sarà un ripiego? E non mi riferisco a chi da sempre sogna di svolgere la mansione difficile di insegnante per passione e vocazione, ma a chi magari ha sempre snobbato questa professione e adesso la sceglie perché si trova con l’acqua alla gola. E così nella mischia del prossimo concorso ci finiranno pure mancati medici, ingegneri, avvocati, contabili, informatici, creativi e compagnia bella, convinti che “insegnare” sia robetta da tutti, senza contare dell’ “altro valore aggiunto”.

Tornando all’intervento di Profumo, direi che “mettere ordine” nella nostra Scuola significa anche questo: un precario che supera i 50 anni non può piagnucolare con l’alibi di non avercela fatta perché è vittima del sistema lesionistico della “raccomandazione”; un candidato che sceglie come sede scolastica una regione diversa da quella in cui abita non può fare la “furbata” di trovare sotterfugi per tornarsene nel giro di qualche anno al paese suo a danno del sistema; gli “scalatori di graduatorie” non possono farla franca tra certificazioni innocue o invalidità soft; la scuola italiana non può definirsi civile finché non riconoscerà a pieno titolo, nel suo sistema contraddittorio, il sostegno e la figura degli educatori.

E se questo concorso è un bel vassoio “di brioche” da dare in pasto al popolo affamato fuori dal palazzo, la nuova Scuola Pubblica finirà presto alla ghigliottina. Proprio come capitò a due sovrani poco lungimiranti, Luigi XVI e Maria Antonietta di Francia per l’appunto: a recintare la fame del loro popolo non era una rivolta passeggera, ma una rivoluzione.

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Profumo e il concorso degli insegnanti

Natale low-cost: Chef stellati e concerti svenduti su Groupon e Groupalia

Rosario PipoloA dicembre dell’anno scorso erano in tanti ad urlare che finire in pasto alla ferocia dei deal – Groupon e Groupalia in pole position – significava calarsi le brache. Un anno dopo, a ridosso del Natale più sottotono dell’ultimo decennio, ci sono finiti i concerti e le cene blasonate degli chef stellati. E così in saldi ci sono Nina Zilli, i Tiromancino, Fabio Concato e tanti altri. Mettere sotto l’albero un coupon da 10€ per un concerto potrebbe essere una proposta regalo e rialzare l’intrattenimento dall’orlo del precipizio. Ormai le proposte del giorno contano sempre meno e si finisce come al supermercato: adattiamo il nostro menu del giorno al volantino del sottocosto.

E a proposito di cibo, anche gli chef stellati hanno dovuto ripiegare: Claudio Sadler è in saldo su Groupalia a 199 euro con cena per due. In un momento di crisi come questo, neanche le vecchie glorie del food possono permettersi il lusso di facilonerie snobistiche. E nonostante i maestri stellati dei fornelli  abbiano conquistato le casalinghe di Real Time, i prezzi sono ancora alti.  In Italia abbiamo 3 milioni di disoccupati, la maggior parte dei quali non riesce neanche a sostenere le spese di un’alimentazione dignitosa. E se un invito a cena da uno chef resta cosa d’elite, non è stralunato pensare ad un’alternativa.  Se facciamo noi la spesa al supermercato, riusciremo mai ad abbassare il cachet di Sadler e compagnia bella?

Diciamo fesserie? Mai dire mai.  L’anno scorso tutto questo si chiamava “calarsi le brache”, oggi  “sopravvivere alla crisi”!

Bersani-Renzi: L’Italia delle “Primarie” è un paese per vecchi?

Dai risultati della primarie del Centrosinistra verrebbe da dire: l’Italia è un Paese per vecchi. Pierluigi Bersani stacca di quasi dieci punti Matteo Renzi. Così la vecchia guardia, acclamata soprattutto nel Centro-Sud, si lascia dietro il guascon fiorentino, senza cantar vittoria: il ballottaggio penserà al resto, accompagnato dalle alleanze insidiose che determineranno l’identikit dell’aspirante Premier.

Niente vittoria netta insomma e, nonostante Nichi Vendola sia fuori dal gioco, vedremo quanto costerà numericamente la confluenza dei suoi voti: se li papperà sicuramente Bersani.
C’è chi parla di dati ballerini, c’è chi è poco convinto che tutte le votazioni siano andate lisce. Un numero è davvero importante: visto il disinteresse e la delusione degli italiani nei confronti della politica, queste Primarie sono in controtendenza. Hanno attirato e armato l’elettorato, al di là dei siparietti folk e delle insinuazioni da fantapolitica di infiltrati di altri schieramenti a danno dei big in pole-position.

Dicevamo all’inizio che l’Italia è un Paese per vecchi. E se fossi Matteo Renzi, ritratterei la dichiarazione che ad “un ballottaggio si parta da zero a zero”. I politici della vecchia guardia sanno bene come smorzare l’entusiasmo di un guascon. Gli slogan non funzionano più e “sono da rottamare”, prima che la patata diventi bollente. E gli italiani disinteressati alla politica dove sono finiti? Li ho visti stamattina in metropolitana a dibattere con accanimento sul litigio pacchiano di X-Factor tra Arisa e Simona Ventura. Hanno la stessa faccia di chi si lamenta che in Italia la politica sia un insulso spettacolo di marionette.

Bersani e Renzi vanno al ballottaggio…

Addio a J.R. di “Dallas”: Larry Hagman è tornato ad essere Larry!

Tocca a tutti gli attori prima o poi sfilarsi di dosso il soprabito dei loro personaggi. Soprattutto a coloro che hanno giocato a fare “i cattivi” attraverso l’unico filtro dell’eterna giovinezza: la finzione. E’ morto Larry Hagman, che mezzo mondo ricorda come J.R. in “Dallas”, il serial tv che meglio di tutti ha espresso il rampantismo americano fatto di allucinogeni petroliferi.

Larry Hagman è stato un talento sprecato, a volte relegato in ruoli marginali, spesso segregato dalla serialità televisiva in angoli che non gli hanno permesso di esprimere al massimo le sue doti recitative.

E’ vero che il ghigno di J.R. Ewing in “Dallas” è diventato famoso quanto quello di Joker in “Batman”, ma anche vero che anche in piccoli camei cinematografici Hagman ha dato sempre il meglio di sé. E per me, nella grande abbuffata cinematografica a tutte le ore del giorno e della notte, è stato un piacere incrociarlo dietro la macchina da presa di Joshua Logan (Una nave tutta matta, 1964), Otto Preminger (Prima vittoria, 1965), Sidney Lumet (Il gruppo e le sue passioni, 1966) e John Sturges (La notte delle aquile, 1976).

Tornando alla televisione, il destino scelto dagli dei per pochi bravi attori come Larry Hagman non è solo quello della personalizzazione della malvagità. In “Una strega per amore”, che andò avanti sulle tv americane senza interruzioni dal ’65 al ’70, Hagman finì al fianco di un genio imprigionato in una lampada (la formidabile Barbara Eden). Il suo personaggio, un maggiore dell’aviazione americana, riuscì a proteggere “l’American dream” con uno spruzzo di magia all’interno della scatola televisiva, mentre fuori c’era solo insicurezza e paura: il fantasma di Kennedy, le lotte razziali, l’instabilità politica, il sangue del Vietnam.

Nel 2005 ho trascorso una giornata al SouthFork Ranch a Dallas, dove sono stati girati tutti gli esterni del famoso serial tv. Ho raccolto diverse testimonianze su Larry Hagman, chiacchierando con chi ci aveva lavorato. Ne è uscito fuori una persona generosa, che faceva tanta beneficenza, disponibile, attenta al mondo che gli stava intorno.

Tocca a tutti gli attori prima o poi sfilarsi di dosso il soprabito dei loro personaggi. Finalmente Larry è tornato ad essere Larry.

Cartolina da Cameri: Immaginarci

In Italia straripano le mostre, grandi e piccole che siano. Il vantaggio di quelle piccole sta già nell’itinerario che fai per raggiungerle, magari allestite in un piccolo centro. Come quella di Cameri, un piccolo paese piemontese del novarese, che raccoglie scatti di aspiranti fotografi o di coloro che si dilettano con l’obiettivo.
Incrociando per caso “Immaginarci”, mi è venuto da pensare che la fotografia ha davvero il potere inespugnabile di farti sentire in più luoghi nello stesso tempo. Come questo scatto malinconico di Maria Cioffi che mi ha riportato nei miei sopralluoghi dei cimiteri da guerra. Una ventina d’anni fa ero di ritorno da Cassino e ne ho visitato uno.

Certo non uno di quei posti dove vai a fare una scampagnata, ma il luogo che ti fa avvistare la crudeltà della guerra, attraverso l’apparente geografia dell’anonimato riservata ai caduti. I veri eroi non hanno bisogno della notorietà. La cerchiamo noi nel folclore di alcuni nostri cimiteri civili, dove sostituiamo la semplicità di una lapide all’ostinazione di rendere pacchiana persino la caducità della morte, abbassando il capo al tornaconto per far spazio alle cappelle-bunker private.

La morte è una cosa seria. E il fiore sulla tomba di questo soldato, seppellito nel cimitero di Minturno, ci ricorda che l’eroismo si nasconde tra i petali di un fiore.

  Immaginarci

Parolacce in dialetto e l’incomprensibile insulto

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Quando alcuni anni fa mi capitò in redazione il libro “Parolacce” di Vito Tartamella, avvitai l’idea che tutto sommato, senza trascendere nella volgarità, ogni sintomo di turpiloquio si porta dietro pezzetti di storia, aneddoti divertenti e i colori del belpaese.
Il piccolo vangelo di Tartamella, in alcuni punti quasi scientifico, mi raccontò che “le parolacce” le dicevano pure Big come Mozart, Leonardo Da Vinci, Dante e Shaskespeare.

Eppure, viaggiando nel regionalismo del Belpaese, capisco pure che una parolaccia, beeppata o no, sfiora l’incomprensibile quando di mezzo c’è un dialetto. Una ventina d’anni fa, lavoravo come capo animatore ad Otranto. Eravamo in una meravigliosa spiaggia della Puglia e un mocciosetto gettò palle di sabbia ad un dei ragazzini del nostro mini club. Il poveretto rispose all’attacco e al disturbatore toccò la cattiva sorte: la palla di sabbia gli finì in bocca.

Il papà del maleducato ce ne disse di tutti i colori in uno stretto dialetto pugliese, buffa cantilena del tutto incomprensibile. E quando mi è capitato di vedere questo divertente video from Puglia with Love, mi sono detto. Le parolacce in dialetto hanno un vantaggio. Quando non sono blasfeme o volgari, al posto di un insulto gratuito ci restituiscono il colore della nostra terra!

 Parolacce di Vito Tartamella

L’orgoglio dell’Italia nel fango: Il gruppo Facebook “Emergenza Alluvione Orvieto”

Un pezzo di Italia travolta dal fango oggi, da Grossetto a Orvieto. Un altro pezzo d’Italia messa in ginocchio dal terremoto ieri, da Modena a Rovigo. Blaterale è inutile, perché dobbiamo ammetterlo una volta e per sempre: non siamo un Paese di “prevenzione”.
Non ci mettiamo nelle condizioni di esserlo e passiamo agli occhi dell’Europa dal braccino corto, che ha tentato in maniera ignobile di bloccare i fondi ai terremotati dell’Emilia, come il Belpaese dell’assistenzialismo.

Ad un anno esatto dall’alluvione che ha risucchiato Genova, siamo messi peggio di prima. Mentre c’è ancora chi piange i morti della sciagura ligure,ci chiediamo cosa faccia operativamente chi ci governa per salvaguardare l’Italia da questi disastri ambientali.
C’è solo un motivo di orgoglio che viene da un grande girotondo di solidarietà, nato nella landa dei social network: gli oltre 1500 utenti che hanno aderito al gruppo temporaneo di Facebook Emergenza Alluvione Orvieto. Per una volta la solidarietà formato “social” non si è ridotta ad un’accozzaglia di status o fotine, ma in un’azione concreta e autogestita di reclutamento di volontari, anche se temporanea.

Ci sono tantissimi giovani che hanno aderito al gruppo Facebook e si danno da fare per ripulire Orvieto dal fango. Se fossi il Presidente della Repubblica di questo Paese, li inviterei tutti al Quirinale per assegnare loro un’onorificenza. Quella che sa riconoscere agli italiani tanta umanità quando la solidarietà parte “dal basso”, senza secondi fini ed interessi. In questo momento affoghiamo in un letamaio, ma Fabrizio De André ci ricorda che “dal letame può nascere un fiore”. Il gruppo Facebook Emergenza Alluvione Orvieto è un piccolo prato fiorito. E non è virtuale.