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Archives Agosto 2014

Diario di viaggio: L’altra faccia della Slovenia tra le montagne di Kobarid

Rosario PipoloLontano dal varco della frontiera che porta dal Venezia-Giulia verso le spiagge della Slovenia. Lontano dai villeggianti italiani che si crogiolano al sole dall’altra parte dell’Adriatico, nel primo tratto dell’ex Jugoslavia, custode di troppa memoria per essere l’alternativa ai bagordi di Rimini e Riccione degli anni ’80.
Lontano da tutto questo, a ridosso del varco del Friuli, per raggiungere l’altra Slovenia: quella dei boschi, delle montagne, del fiume Isonzo che continua a scrivere pagine di storia.

Ha un senso spingersi verso Kobarid, la nostra Caporetto, quella che fin dai giorni delle scuole elementari fu per noi il cimelio geografico per eccellenza della grande disfatta bellica. E’ inutile far finta di niente. Affacciandosi sulla splendida valle dell’Isonzo, lungo l’abbraccio tra Kobarid e Tolmin, il paesaggio meraviglioso e l’aria vacanziera non possono distoglierci dal peso della memoria.
In questa valle sono assiepate le trincee della Grande Guerra come cicatrici sulla pelle. Non bastano un buon piatto di zlikrofi e una fetta di torta gibanica per togliere l’amaro di bocca.

Il toccante Kobariski Muzej, il museo della Grande Guerra di Caporetto, ti fa scattare la voglia di mandare all’aria “la vacanza fancazzista”. Torni a sentirti viaggiatore appena ti inerpichi sopra il sacrario militare di Sant’Antonio, che raccoglie le spoglie di oltre settemila soldati italiani.
Allora ti chiedi: questa non doveva essere la vacanza “paletta e secchiello on the beach” da spiaccicare su Facebook per sedimentare l’ingordigia del noioso reality estivo dei social network?

Lo ribadisco. Chi fa vacanza torna alla routine con nostalgia e rassegnazione; chi fa un viaggio torna per ripartire subito. Perché? Perché ha avuto l’umiltà di guardare con i propri occhi anche le cicatrici lasciate dalla storia.

Diario di viaggio: sul sacrario militare di Redipuglia come ad Auschwitz

Rosario Pipolo“Spara soldato, non aver paura!”, ti urlavano dalle trincee. Eri partito per il fronte convinto che saresti tornato, con l’illusione nel cuore che avresti fatto una passeggiata con la tua fidanzata sotto gli alberi del Friuli-VeneziaGiulia.

“Mangia soldato, ingoia questi bocconi amari”, perché il rancio che ti passavano non aveva niente a che vedere con i cibi cotti a legna da tua madre.

“Scrivi soldato ma non raccontare a casa l’inferno che stai vivendo”, ti ordinavano dal fronte. Tanto tuo padre non sapeva leggere e ogni santo giorno, al calar del sole, dopo aver zappato la terra che ti aveva partorito, guardava all’orizzonte con la speranza di vedere la tua sagoma.

Il mio viaggio della memoria, dopo la mia visita ad Auschwitz di tanti anni fa, riparte da qui, dal sacrario militare di Redipuglia. Qui, dove la terra del Friuli-VeneziaGiulia custosice da cent’anni la memoria della Grande Guerra, mi fermo in silenzio per guardare in viso gli eroi, figli caduti sul Carso, mandati a perire nella “grande disfatta” che ha recintato la mietitura dell’imperdonabile flagello d’Europa.

Soldato Augusto. Presente. Soldato Pietro. Presente. Soldato Giovanni. Presente. Soldato Paolo. Presente. Soldato Vittorio. Presente. Soldato “ignoto”. Presente. Quanti siete, non si finisce mai di contare. Su ogni gradino trovo ritagli di vite mancate; il rumore di ogni mio passo viene spezzato da questo interminabile silenzio. E solo le ultime gocce d’acqua mi fanno capire che qui piovono le lacrime del Padreterno, perché ai tempi della globalizzazione non abbiamo ammesso ancora che ogni guerra, come recitava il titolo di un film di Renoir, resta una “grande illusione”.

Ogni italiano dovrebbe venire qui riempire un viaggio con le dovute riflessioni. Ed io, che oggi ho rinunciato ad un banale giorno vacanziero al mare, ho restituito al mio viaggio il volto della verità. Se oggi esisto, è grazie al sacrificio di tutti voi.

Diario di viaggio: il retrogusto di Trieste e il buon cibo di Foraperfora

Rosario PipoloTrieste è un posto incantevole, crocevia che la storia ha messo nelle condizioni di far incontrare persone di culture diverse. Il buon cibo è voce riflessa di tutto questo e chi si sente ingannato non ha compreso fino in fondo lo spirito della culla del Venezia-Giulia.
Foraperfora, il nome buffo dell’osteria che sbuca sia su via Diaz che su via Cadorna, rende bene l’idea: entri da una parte e te ne esci dall’altra, perché i triestini sanno bene che la “doppia entrata” è il modo migliore per rubare i passi alla vita senza voltare le spalle al passato.

Mauro Rizzato ha trascorso una vita dietro i fornelli, osservando la nonna che preparava, con gli avanzi del giorno prima, i succulenti gnocchi di pane. Dopo l’avventura di oste all’osmizetta de Cavana, Mauro ha traslocato in questa vecchio covo triestino.
A Foraperfora c’è chi si affaccia per sorseggiare della buona birra non filtrata, per mangiucchiare affettati accompagnati da un vinello locale o per portarsi a casa la migliore cartolina culinaria di Trieste. Quest’ultimo sono io. Altro che estate, mi rifocillo con piatti autunnali: dalle tagliatelle fatte in casa con i porcini alla caldaia con crauti; dal cragno e crauti alla crema Foraperfora con l’intrusione del mascarpone.

Lo staff è così simpatico ed imprevedibile che ti verrebbe voglia di fare un casting per una serie televisiva. Nessun copione alla mano ma in compenso tanta spontaneità come la comunità del Venezia-Giulia. L’affettatrice sputa fuori il prosciutto friulano, piatti vanno e vengono dalla cucina e poi ecco arrivare la cliente che lamenta i tempi d’attesa o la posata mancante. Come si vede che “la lady schizzinosa” non è amante del buon cibo. Non ha capito che qui non siamo al ristorante, ma respiriamo l’atmosfera di un osmize carsico in pieno centro a Triestre.

Mentre vado via mi sembra di intravedere seduti ad un tavolo Joyce e Svevo. Pare che scriveranno un racconto “a quattro mani” e ci infileranno dentro quelli di Foraperfora. Allucinazione? No. Tutta colpa degli shottini triestini, che Mauro mi ha fatto assaggiare alla fine della cena. Il viaggiatore va via soddisfatto tutte le volte che ritagli di storia giocano a nascondino sotto il palato.

Diario di viaggio: se al castello di Bevilacqua le stelle stanno a guardare

Rosario PipoloSe le stelle stanno a guardare attraverso un castello, allora ti convinci che la magia della tappa di un viaggio può prendere la piega dell’autenticità. Nei miei vagabondaggi mi tengo alla larga dai “resort siliconati” che si sforzano di essere ciò che non sono.

Cinque anni fa sono finito la prima volta al Castello di Bevilacqua: in quella zolla di frontiera veneta tra il vicentino e il padovano, mi sono sentito come il forestiero finito nelle buone mani di una famiglia castellana. Roberto, Miresi, Anna, Marco e i piccoli Andrea e Giulia mi hanno guidato a vestirmi con la storia di questa location che custodisce memoria, irradia un territorio spesso dimenticato.

Le stelle sanno metterci il resto, se capiti al castello ad un passo dalla magica notte di San Lorenzo. Le stelle si appostano già qualche sera prima e così Roberto Sannevigo, presidente del Planetario di Padova, mi toglie piccole curiosità, svela segreti e mi racconta della sua infinita passione per le stelle.
Non capita spesso una piacevole cena sotto le stelle e così tra una portata e l’altra mi concedo “il lusso” di importunare lo chef per farmi spiegare qualche trucchetto. Lui però non sa che io sono una vera frana ai fornelli!

Se le stelle stanno a guardare al castello di Bevilacqua, io allora fisso quella che brilla di più e mi torna in mente un veneto sognatore che più di venticinque anni fa vide un castello abbandonato e se ne innamorò. Gabriele non era un visionario, era piuttosto il veneto che sapeva rimboccarsi le maniche e fare dell’ultimo pezzo della sua vita il prolungamento di un sogno da condividere con tutta la comunità del territorio.

Con i sogni si può costruire la vita. Perciò ogni volta che me ne vado dal castello di Bevilacqua, ho una voglia matta di rimettermi a scrivere. Sono le piccole storie “segrete” dell’Italia che mi piace raccontare. Nessuno aveva capito il motivo per cui sono tornato al castello di Bevilacqua: riprendermi la stella del viaggiatore. Oggi quella stella brilla tra memoria e sogni futuri e porta il nome di Gabriele Cerato. I suoi nipoti Anna e Marco, che sembrano usciti dalla famosa canzone di Lucio Dalla, hanno la sensibilità per diffondere tra i giovani questa passione.

Cartolina di agosto: quando il compleanno va in vacanza

Rosario PipoloMetti che hai un papà appassionato di foto. Metti che mancano pochi giorni al tuo compleanno e apri l’album di famiglia.  Ecco che spunta fuori questa magnifica foto dei tempi dei rullini, quando non vivevano l’affanno di accumulare immagini e scaraventarle su un Pc. Mi ricorda i compleanni vacanzieri. Anche a me è toccata la stessa sorte della festeggiata qui ritratta, oltre quella di essere “occhialuto”: i nati come noi nei mesi estivi non si sono mai ritrovati a far la festicciola con gli amichetti, perché o loro o noi eravamo in vacanza.

I miei sono stati sempre compleanni nomadi da una località balneare ad un’altra. La bimba occhialuta in questa foto assomiglia alla piccola Daniela a Scalea, la mia compagna di giochi d’estate, l’unica che avrei voluto accanto al festa improvvisata dai miei.  Puntualmente era assente, perché la famiglia terminava le vacanze nello stesso giorno in cui spegnevo le candeline!

Questa immagine, che ho scelto come cartolina per dare il benvenuto al mese di agosto, mi solletica una riflessione. Dovremmo tirar fuori più spesso dal cassetto le nostre vecchie foto, senza però farci prendere da quella odiosa nostalgia canaglia.
Sarebbe un modo per catturare in un dettaglio  il bello che ci portiamo dentro, proprio come l’autenticità di questa bimba nascosta dentro una smorfia. Ci ostiniamo a fare i grandi, a giocare a nascondino, per difenderci da questa aggressività sparsa ovunque.

Troppo spesso siamo distratti per accorgerci di chi ci passa accanto. Solo colpa della routine che ci schiaccia sotto il peso delle corse e rincorse? Il prossimo 6 agosto quella bimba forse tornerà a soffiare le candeline nello stesso posto, ricreando il magico remake di questa foto. Come in suggestivo fuorionda, tornerà il brusio delle voci che allora erano intorno a questo scatto.
Noi invece vi aggiungeremo, attraverso i trilli di un carillon, “Martha my dear” dei Beatles come colonna sonora e replicheremo: “I compleanni vanno in vacanza, noi continuiamo a restare qui per essere noi stessi”.