Fotografo da Instagram, quando chiedi all’app ciò che non puoi essere!

Rosario PipoloSi sa che gli italiani vivono sotto la gonnella delle mode. Accade anche per le app che ci fanno sguazzare sui social con l’illusione digitalizzata di essere ciò che non possiamo essere. Nell’occhio del ciclone c’è Instagram, l’app per scattare e condividere foto con lo smartphone, nata tre anni fa e subito avvinghiata da Facebook. Anzi, se la vogliamo dire tutta, l’app in questione ha perso pure la freschezza iniziale, piegandosi in questi giorni alla dittatura facebookiana del “tag”.

In Italia Instagram ha fatto il botto già nel 2012, soprattutto con gli over 20, ma in questi primi mesi del 2013 contagia pure chi si affaccia al balcone social sporadicamente. Anzi i nostri status stanno dicendo bye bye alle parole per infilarci ad ogni occasione una foto. Instagrammiamo tutto, dal paio di pantofole della nonna in soffitta allo sbadiglio del micione, con la preseunzione che la nostra immagine diventerà una piccola opera d’arte con il raggiro del “filtro”. Io abuso di quello sopranominato Nashville per le sfumature cinematografiche, ma in giro vedo tante foto filtrate con XProII, Valencia e Rise. Così dopo il filtro giusto e la valanga di “mi piace”, segue il compiacimento: “Sono davvero un fotografo mancato”.

I più onesti questo lusso non se lo sono mai concessi. Avremo azzeccato pure qualche scatto, ma ad Instagram in pochi di noi non abbiamo mai chiesto di farci sentire fotografi dalla sera alla mattina. E non perché quelli come me provengono dalla generazione che ha viaggiato su chilometri di rullini fotografici. Instagram arricchisce il racconto social e la nostra smania di trasformare la quotidianità in un grande reality. L’arte della fotografia è altro e un’app non può nascondere “il dilettantismo” che straripa nella rete. Non sarebbe “disonesto” pensare che, con una qualsiasi piccola diavoleria in veste di app, si possa diventare fotografi, montatori, dj, musicisti, pittori o scrittori?

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