La napoletanità di Pino Daniele ritrovata grazie a “Unici” di Giorgio Verdelli

Rosario PipoloQualche volta capita che il Servizio Pubblico televisivo ci sorprenda. Lo ha fatto con lo speciale che Unici di Raidue ha dedicato a Pino Daniele a un mese della scomparsa. Fuori dal perimetro della retorica, ci sono diversi spunti che ci spingono verso un’unica riflessione, oltre il commiato popolare: Pino Daniele è stato napoletano fino alla fine, nonostante le malelingue abbiano tentato di convincerci del contrario, puntualizzando su un mucchio di banalità.

Il rimbalzo delle polemiche da rotocalco tra gli eredi sulla possibilità di salvarlo lo lasciamo svanire nel falò dei social network. Noi invece ci teniamo la sagoma dell’artista, quella del musicista sul palco, anche perché noi addetti ai lavori conosciamo tanti retroscena che sfuggono al pubblico, compreso il gran bel caratterino del musicista partnenopeo.

Parto da una battuta che mi lasciò al termine della mia intervista alla Feltrinelli di Milano alcuni anni fa, per la quale ringrazio il social team di Unici per averla rilanciata su Twitter: “Guagliò, la memoria deve guardare avanti senza rimpianti”. A quello che disse Pino Daniele aggiungerei: questo vale soprattutto per chi decide di andare via da Napoli senza rimpianti, senza portarsi in valigia lo scheletro dell’emigrante raccontata da Massimo Troisi.

Nonostante Pino Daniele abbia cantato “‘o munno” con gli occhi della Napoli metropoli del Mediterraneo, la sua napoletanità è cresciuta nella fuga geografica che ne ha segnato crescita artistica. E paradossalmente le meravigliose note di Eric Clapton al “dear friend Pino” da una parte fungono da ninna nanna e dall’altra sottolineano ciò che Gad Lerner e tanti altri non sono stati all’altezza di capire.

Quando all’alba degli anni ’70 mia mamma si trasferì da Napoli per andare a vivere in periferia dopo il matrimonio, mio nonno ne fece una tragedia. Il suo risentimento è comprensibile ad un napoletano, perché chiunque ne varchi i confini è considerato in un certo senso un traditore. Ce lo siamo sentiti ripetere tutti noi che ce ne siamo andati.

Ho imparato che la napoletanità è prima di tutto uno stadio interiore e non si misura facendoti seppellire a Napoli ma se, mangiando un frittella nel cuore di Sarajevo, ritrovi il sapore di quelle che ti cucinava nonna Lucia. La napoletanità non scema se sei andato via da Napoli per esplorare nuovi mondi, anzi aumenta quando sei a Tirana, in Albania, e trovi nella generosità della gente locale quella dei partenopei.
La napoletanità non si sbiadisce se non canti più nella lingua che ti partorì, ma riappare tutte le volte che alla tua donna ti scappa, prima e dopo aver fatto l’amore, Te voglio bene assaje invece di I love you.

La generosità di Giorgio Verdelli e del suo programma Unici ha restituito a Pino Daniele e a tutti noi quella napoletanità che nessuno mai potrà scipparci perché, come ha ribadito Lina Sastri, “la vera bellezza di Napoli è la sospensione come la poesia musicale di Pino Daniele”. 

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