L’ultima estate di Leopold, quinta puntata

Quando si chiuse quella porta Leopold sentì come se qualcuno gli avesse dato un ceffone che lascia un livido. Lui che era un catalogatore di ricordi, lui che trasformava ogni briciola del suo presente in un granello di sabbia della memoria, doveva rinunciarvi. E tutto questo perché? Per un gioco beffardo del destino a cui ogni uomo tenta invano di ribellarsi.
Beatrice capì che c’era qualcosa che non andava, ma lui fu bravo a sdrammatizzare. “Non voglio dimenticarti. Facciamo un gioco. Immagina che il mio cervello si svuoti ed io diventi muto e sordo. Cosa potrebbe aiutarmi a ricordarmi di te?”, chiese improvvisamente Leopold. Lei stette al gioco e replicò: “Vediamo un po’, fammi pensare… Che ipotesi bizzarra, amore mio! Potrei dipingere una serie di acquerelli per te che riscrivono a colori il diario di noi due”.
Leopold fu entusiasta e non se lo fece ripetere, mentre lei sbigottita pensava che fosse uno scherzo. Il giorno dopo fu lui a presentarsi al Volkspark Friedrichshain con tutto l’occorrente, dai colori al cavalletto. Era da prima del suo matrimonio che Beatrice non prendeva in mano un pennello. Dopo tutto questa richiesta insolita non era forse il miglior modo per riportare in vita una delle sue passioni? Lui raccontava, ricordava ogni particolare, dal loro primo incontro su quella panchina, e lei traeva ispirazioni per le composizioni.
Giorno dopo giorno, fino alla fine di luglio, Beatrice realizzò una mini galleria e il risultato fu così sorprendente che qualche passante osò chiedere: “Sono in vendita?”. Dopo tutte quelle pennellate Beatrice era tornata ad essere raggiante più che mai. E lui per ringraziarla di quell’opera d’arte a puntate, una mattina si presentò con due biglietti. (CONTINUA)

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