Ricomincio da 7: la testardaggine di Luigi si chiama Capuano’s

Quando sono entrato da Capuano’s a Milano, ho ritrovato la voce di nonno Pasquale e la sua perla di saggezza negli anni della mia infanzia: “Impara ad osservare i movimenti del pizzaiolo che impasta gli ingredienti alla base della vita”.

Luigi Capuano, antidivo per eccellenza, non ha importato un brand a Milano come stanno facendo le dinastie partenopee. Ha messo insieme i mattoncini di un progetto che si evolve nella trasfigurazione della napoletanità senza ostentare quella fisicità geografica che ci costringe a declamare “Lontano da Napoli, lontano dalla pizza”.

Da Capuano’s ho ritrovato le pizzerie di Little Italy,  scovate nel primo viaggio a New York del ’92, che decantavano lo stato d’animo dell’emigrante contromano, che difende a denti stretti  i sogni della nuova casa di cui si sente protagonista e non una comparsa.
I lampioncini di Capuano’s assomigliano a quelli di Coroglio che danzavano controvento sul golfo di Napoli; le mattonelle evocano le scacchiere murate di ogni antica pizzeria che si rispettava, le seggiole sono quelle che arredavano le case delle nostre nonne partenopee. Niente designer allo sbaraglio, ma solo acrobazie della memoria e e ricercatezza popolare di Alessia Furbatto, perché una sana gestione familiare è fidarsi l’uno dell’altro.

La testardaggine di Luigi, Capuano’s appunto, è dipinta su quelle mattonelle nel numero 7, la cifra fortunata che ricongiunge vita pubblica e privata, legami affettivi lasciati a Napoli e il ricominciare a Milano, senza farsi stordire da mode e tendenze.
Negli ingredienti che si mescolano sulla pizza – siano una manciata di olive di Gaeta, dei pomodorini gialli o della stracciatella – non c’è niente del gourmet che vorrebbe fare del pizzaiolo il cugino dello chef stellato. Capuano non ha bisogno di fare l’ennesima interpretazione della pizza così come sa bene di aver importato a Milano la pizza fritta prima di tanti altri.

Un bravo pizzaiolo non è scostumato se ti volta le spalle, perché tra un impasto e un altro deve avere gli occhi rivolti ai passanti sulla strada. La migliore cornice per un pizzaiolo antitidivo come Luigi Capuano non è uno schermo televisivo, ma una finestra attraverso cui guardarlo a lavoro, proprio come la foto in bianco e nero rubata dal suo album fotografico. Luigi Capuano è il pizzaiolo di un tempo che nonno Pasquale mi insegnò ad adocchiare.

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