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Gli Alunni del Sole senza Paolo Morelli e i sogni proibiti di Liù

Rosario PipoloNel 1978, mentre sotto casa impazzavano i colpi furibondi della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, mia mamma alzava il volume della radio per non farmeli sentire. Paolo Morelli, la voce degli Alunni del Sole che da ieri ha smesso di ululare, cantava Liù e mi sentivo come un bambino finito tra i colori di una tela di Chagall.

Un decennio dopo qualche scellerato associò gli Alunni del Sole ai gruppetti musicali di serie C che fanno la questua alle feste di paese. In pochi avevano capito che dietro il piano di Paolo Morelli c’era un rimbalzo che dal Vesuvio arrivava fino alla Londra dei King Crimson. La testardaggine e la passione di Morelli avevano riprodotto un sound dalle schegge partenopee che si infilava come un contorsionista tra rock progressivo e fantastica melodia pop. Quando Paolo e i suoi cantarono Tarantè ci accorgemmo che la loro napoletanità era sanguigna proprio come quella di ‘A canzuncella, inno di una generazione, con cui Napoli avrebbe dovuto farsi fare un mantello per proteggersi dall’invasione barbarica dei neomelodici.

La canzone neomelodica si è arenata nel vicolo, tra i bassi di Forcella e quelli del rione Sanità, marcando ancora di più il divario classista che il gusto musicale non sempre sa tenere a bada. La voce e il piano di Paolo Morelli, indiscutibile anima degli Alunni del Sole, portarono a compimento un miracolo nella Napoli degli anni Settanta: attraversare Spaccanapoli nell’unico abbraccio che può tenere stretti la “miseria” e la “nobiltà”. ’A canzuncella la cantavano al Vomero come sui quartieri Spagnoli; Liù e i suoi sogni proibiti boccheggiavano nelle case coloniche di Posillipo come da un’affacciata a Capodimonte.

Un sabato mattina di una quindicina d’anni mi trovai a casa del maestro Antonio Annona. Seduto al pianoforte in soggiorno mi cantò  ‘A canzuncella, dopo avermi chiesto di tradurre alcuni versi in francese. Quella traduzione è rimasta impolverata in un cassetto, perché certi brani memorabili devono continuare a parlare la lingua che li ha partoriti. Paolo Morelli è tra i napoletani da non dimenticare.

Diario di viaggio: ‘A canzuncella

Sarà stato quel mezzo di litro di birra o la sposa scalza nello stesso locale a far parlare la bresciana: “E pensare che ero anche io ad un passo dall’altare. Poi è arrivato lui ed è andata come è andata”. Lui, il mantovano dal cuore terrone, sempre lì con la battuta a portata di mano, ammutolisce e improvvisamente diventa serio: “Sì, ma se proprio dobbiamo dirla tutta… Appena due persone si piacciono, cominciano inspiegabilmente a cercarsi  a vicenda. Guardandosi negli occhi, riscoprono il fondo dell’anima”. Lui aveva mollato la ragazza, lei il promesso sposo, lasciandosi alle spalle la paura di finire stemperati nella sceneggiatura di una delle tante commediole all’italiane del nostro cinema.
La bresciana ha un temperamento apparentemente algido; il mantovano ha quello spirito da giullare capace di mandare tutto in frantumi, comprese le ultime certezze della vita. “Una sera eravamo assieme ai nostri rispettivi partner in mezzo a tanta gente” – replica lei – “La complicità dei nostri sguardi raccontava tutt’altro. Era come se ci conoscessimo da sempre, come se in un’altra vita avessimo condiviso la storia d’amore più bella”. Temevo che tali parole fossero fantasticherie bizzarre dell’immaginazione,  invece no. L’ho capito appena Elisa e Matteo si sono presi per mano e sono scomparsi nel buio.
Io sono rimasto lì, in aperta campagna, ai confini tra la provincia di Brescia e quella di Mantova. Mi è balzato in mente un motivetto, quello che il mantovano le avrebbe dovuto cantare se questa storia avesse avuto un finale diverso. E mi sono ricordato di un sabato mattina a casa del mio caro amico, il maestro e figlio d’arte Antonio Annona, che mi chiese di tradurre in francese ‘A canzuncella degli Alunni del Sole. Antonio aveva un progetto, ma poi non se ne fece più niente. Quella traduzione è rimasta nel cassetto, ma io in piena notte, in una terra che non mi apparteneva, ho sussurrato al vento quelle parole: “Si ‘nnammurate ‘e me ma sienteme, nun ce pensa’, E torna ‘n’ata vota addu chillu llà”. Ero scalzo e, naufragando nel mio napoletano, sono tornato a sentire la terra sotto i miei piedi.

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