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Cartolina di agosto: quando il compleanno va in vacanza

Rosario PipoloMetti che hai un papà appassionato di foto. Metti che mancano pochi giorni al tuo compleanno e apri l’album di famiglia.  Ecco che spunta fuori questa magnifica foto dei tempi dei rullini, quando non vivevano l’affanno di accumulare immagini e scaraventarle su un Pc. Mi ricorda i compleanni vacanzieri. Anche a me è toccata la stessa sorte della festeggiata qui ritratta, oltre quella di essere “occhialuto”: i nati come noi nei mesi estivi non si sono mai ritrovati a far la festicciola con gli amichetti, perché o loro o noi eravamo in vacanza.

I miei sono stati sempre compleanni nomadi da una località balneare ad un’altra. La bimba occhialuta in questa foto assomiglia alla piccola Daniela a Scalea, la mia compagna di giochi d’estate, l’unica che avrei voluto accanto al festa improvvisata dai miei.  Puntualmente era assente, perché la famiglia terminava le vacanze nello stesso giorno in cui spegnevo le candeline!

Questa immagine, che ho scelto come cartolina per dare il benvenuto al mese di agosto, mi solletica una riflessione. Dovremmo tirar fuori più spesso dal cassetto le nostre vecchie foto, senza però farci prendere da quella odiosa nostalgia canaglia.
Sarebbe un modo per catturare in un dettaglio  il bello che ci portiamo dentro, proprio come l’autenticità di questa bimba nascosta dentro una smorfia. Ci ostiniamo a fare i grandi, a giocare a nascondino, per difenderci da questa aggressività sparsa ovunque.

Troppo spesso siamo distratti per accorgerci di chi ci passa accanto. Solo colpa della routine che ci schiaccia sotto il peso delle corse e rincorse? Il prossimo 6 agosto quella bimba forse tornerà a soffiare le candeline nello stesso posto, ricreando il magico remake di questa foto. Come in suggestivo fuorionda, tornerà il brusio delle voci che allora erano intorno a questo scatto.
Noi invece vi aggiungeremo, attraverso i trilli di un carillon, “Martha my dear” dei Beatles come colonna sonora e replicheremo: “I compleanni vanno in vacanza, noi continuiamo a restare qui per essere noi stessi”.

70 volte, papà!

70 volte, papà è il numero delle volte in cui mi sono chiesto cosa ci facesse mio padre con quella tuta addosso: per me non era l’indumento di uno caposquadra dell’Enel, quella degli anni in cui precedettero la spietata e feroce privatizzazione. Era piuttosto la divisa di un supereroe, che si arrampicava sui pali della luce come l’Uomo Ragno e toglieva migliaia e migliaia di persone dal buio come Superman.

70 volte, papà è il numero delle volte in cui mio padre ha circoscritto i giri del suo tempo, della sua gioventù, in un sogno sociale per mettere in disparte l’individualismo che ci incatena e spingersi sempre nell’ottica della comunità, della terra che lo ha generato ed allevato: il suo Sud.

70 volte, papà è il numero delle volte in cui ha tentato invano di raddrizzarmi, di indicarmi una strada. Eppure io raggiravo sempre l’ostacolo e mi inventavo un nuovo percorso, perché nessuno potesse mai dire “tale padre, tale figlio”.

70 volte, papà è il numero delle volte in cui da figlio ha attraversato i sogni pudici degli anni ’50, da giovane le rivoluzioni mitologiche degli anni ’60, da marito gli spari silenziosi degli anni ’70, da papà i miti fasulli degli anni ’80, da lavoratore le scalate tecnologiche degli anni ’90, da pensionato le minacce global del nuovo millennio.

70 volte, papà è il numero delle pedalate in bicicletta che lo staccavano ogni mattina all’alba dalla madre Rosa, che restava lì sull’uscio della porta di casa finché non diventasse un puntino. Poi venne il giorno crudele dell’ultima pedalata e l’indomani la nonna sull’uscio di casa non c’era più.

70 volte, papà è il numero dei libri che non ha mai letto, dei film che non ha mai visto, delle canzoni che non ha mai ascoltato. L’ho fatto io al posto suo, ma da nessuna parte ho trovato la ricetta di come si riesca ad essere un buon figlio, senza finire nella trappola di riscattare ciò che i nostri genitori non sono stati.

70 volte, papà è il numero delle volte che non ho mai contato per paura di imbattermi in chi un padre non lo ha mai avuto o lo ha perso prima di potergli scrivere in bella copia un biglietto d’auguri.

70 volte, papà è il numero delle volte in cui questo tempo infame vuole farci assomigliare tutti, rendendoci tutti manager dell’omologazione, schiavizzati da affannose rincorse che rischierebbero di trasformare il 20 gennaio in un giorno qualunque. No, non sarà così, nonostante gli strizzacervelli ci indichino la strada per ottimizzare i tempi, sopravvivere per obiettivi, perdendo di vista ciò che siamo e saremo ogni volta che scriveremo da qualche parte “70 volte, papà”.

70 volte, papà con una bomboletta spray sulla parete della nostra stanza più segreta, per disegnare un murales dai colori tenui come le 70 candeline che spegnerà mio padre oggi, nel giorno del suo settantesimo compleanno.

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Senza candeline tra le luci e le ombre della Laguna

Spegnere le candeline d’estate aveva un suo perché: dimenticare il tuo compleanno perché eri preso dalla magia vacanziera fatta di secchielli, palette e castelli di sabbia. Oggi non è così. Basta aprire la tua pagina di Facebook e una sfilza di messaggi sulla tua bacheca te lo ricordano. Quel senso di nomadismo che mi porto dietro era già segnato dagli astri. Per me non c’era la solita festicciola a casa, ma ogni anno i festeggiamenti si spostavano da un luogo ad un altro, con persone diverse. E’ lo svantaggio di chi è nato nei mesi estivi. Eppure prima di soffiare ed esprimere il desiderio di rito, avevo sempre la smania di salire sulle spalle di mio padre. Lui pensava fosse il solito capriccio, ma io mi sentivo in groppa a quel gigante che poteva aiutarmi ad acciuffare la linea di confine che divideva l’orizzonte dal mare.
La laguna di Venezia mi ha riportato a quella scena, forse perché quando condividi una serata di luglio con un anziano signore è più o meno facile tornare a sentirti bambino. Non era stata questa o quella canzone di Charles Aznavour che si era dileguata su piazza Sam Marco, piuttosto il mio desiderio irrequieto di farmi raccontare da lui i particolari di quella lunga tournèe con Edith Piaf. Un desiderio che è finito tra le luci e le ombre della laguna, in piena notte, nel silenzio più totale.
Questo netto contrasto tra il buio notturno e la luce del giorno che stentava ad arrivare mi ha riportato a quella scivolata – che mi sforzo di ricordare invano – che avevo fatto dal pancione di mia madre verso la vita. In quel momento mi sono ricordato che era il mio compleanno, sebbene attorno a me non ci fosse una torta con le candeline, ma solo il ronzio di quelle canzoni che non mi hanno fatto dubitare della generosità della vita.