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Tag DIARIO DI VIAGGIO

Luna baltica da Riga a Vilnius

untitled1501Non te l’aspetti di sera cosi’. Cosi’ come? Saranno le illuminazioni colorate di questi giorni a rendere Riga, capitale della Lettonia, cosi’ intrigante da atteggiarsi a cugina moscovita. La notte e’ lunga non solo per chi cerca la squallida avventura con la ragazza dell’Est di turno, ma anche per chi e’ venuto una volta per tutte a chiudere i conti con un’altra capitale delle terre baltiche. Il mio pellegrinaggio in Europa continua senza sosta, con la stessa passione di sempre, con il timore che dietro questi palazzi e chiese imponenti si nasconda qualcosa altro. Basta oltrepassare un ponte e trovarsi nel quartiere russo di Riga per cogliere in flagrante la miseria e la poverta’. Mi aggiro in questo mercato per setacciare la memoria dell’Ex Unione Sovietica: quella che ha solleticato a molti l’utopia di un mondo diverso. Io non ne sono mai stato troppo convinto, ed oggi vista l’eredita’ voglio remare sulla sponda opposta. I viaggi sono belli per questo, per quello che ti lasciano al momento del ritorno. Questa volta il ritorno nella routine non e’ ancora arrivato. Salgo su autobus e in meno di quattro ore arrivo in Lituania. L’obiettivo e’ raggiungere la capitale Vilnius prima che scocchi la mezzanotte, quasi fossi nella stessa condizione spirituale di Cenerentola. A farmi compagnia nel tragitto c’e’ una splendida luna piena. Ed e’ proprio quella luna a farmi sentire vagabondo come “il pastore errante per l’Asia” leopardiano, fuggito dalla claustrofobica pagina di un libro per dare un nuovo senso al suo destino. E’ la stessa luna che qualcuno guarda distrattamente a Milano come a  Napoli? O e’ la millesima luna che mi prende per culo come a dire ” sono sempre io, ma e’ la tua soggettiva interiore ad essere cambiata”? Come ci ha ricordato Federico Fellini, “la voce della luna” resta inalterata, con qualche accenno che ci fa sentire sospesi nel vuoto. Ed e’ questa luna baltica, sbarazzina e timida, ad aver tracciato il mio percorso di questa notte, a meta’ strada tra Lettonia e Lituania.

Tallin, compagna taciturna dai piccoli particolari

tallin150Arrivando a Tallin, capitale dell’Estonia, mi ha colpito l’atteggiamento della maggior parte degli abitanti: cordiale nei confronti del turista, ma allo stesso tempo riservato e taciturno. In questa terra baltica ho avvertito in maniera prepotente la presenza sovietica. Del resto siamo ad una manciata di chilometri dal confine con la Russia. Ho dovuto calmare i miei bollenti spiriti che mi suggerivano di spingermi fino a San Pietroburgo. Chiacchierando con un passante nel centro storico, mi ha rassicurato che c’é qualche “capoccione” russo intenzionato a far abolire il visto. E sia benedetto, chiunque sia! In una mezza giornata vi girate tutto il centro storico, mettendo in conto il rischio di interrogarvi: “Che cosa ci sono venuto a fare?”. A noi italiani se non offrono su un vassoio d’argento un piatto di spaghetti e un bella opera d’arte, col cavolo che parliamo bene di quella città. L’italiano medio all’estero è critico e piagnucoloso, inclinazione che mi fa leggermente “incazzare”. Cosa c’è a Tallin per cui vale la pena ritornare? Minuscole suggestioni e piccoli particolari dello scorrere del tempo che ci sono sfuggiti di mano. Lì ho apprezzato la piacevole fatica di cogliere la legna per accendere il fuoco; il cammino lento come una tartaruga di una coppia anziana che si scambiava piccole effusioni; una zuppa ai funghi che mi ha riportato alla Masseria dei miei nonni paterni; un imbarazzante litigio tra due uccellini; un canto antico che veniva da lontano. Da Tallin mi riporto a casa un suggerimento: bisogna fermarsi piu’ spesso perchè la nostra vita nella centrifuga della metropoli ci fa perdere le radici del nostro destino. Predico bene e razzolo male. Sulla nave del ritorno, ero già a battibeccare col mio pc!

Helsinki e una vecchia foto del mio amico Pasquale Mautone

nonno1501Cosa hanno in comune Helsinki e Napoli? Praticamente niente, a parte il mare. Adesso queste due città così diverse si spartiranno una foto antica in bianco e nero: è quella di Pasquale Mautone, un mio vecchio e caro amico. L’ultima volta l’ho visto l’8 novembre 1992. Ci siamo salutati con un tenero abbraccio e la mattina dopo mi hanno avvisato che se ne era andato per sempre. Da allora porto con me quella foto. Nel mio 2008 ricco di viaggi, io come un pellegrino in Europa l’ho ritrovata nel taschino della giacca. A Helsinki fa freddo. In questa grigia domenica mattina finlandese mi sono fermato dinanzi al mare. E’ stato Pasquale a presentarmi il mare tantissimi anni fa, a Coroglio nel Golfo di Napoli, guardando l’isoletta di Nisida. E sono tornato davanti al mare, quello freddo del Nord, per ricordare la nostra amicizia: spontanea, sincera e ricca di complicità come quella del vecchio pescatore Santiago e il ragazzino Manolin, i due protagonisti di Il vecchio e il mare di Hemingway. Ho messo questa fotografia su una piccola barchetta, lasciandola galleggiare alla deriva, per iniziare quel viaggio mai fatto, ma che io e Pasquale Mautone abbiamo sognato per una vita intera. Caro Pasquale, oggi sono sedici anni che sei partito e per me non è cambiato assolutamente niente. Caro amico mio, in questa domenica ad Helsinki continuo a cercarti tra gli odori, le vie e il brusio della capitale finlandese perché aveva ragione Freddy Mercuri a cantare: “Gli amici saranno amici fino al fine”. Anzi, caro Nonno, adesso che mi ritrovo qualche capello bianco, mi convinco sempre di più che l’intensità del dolore giace negli abissi del cuore e dell’anima. Per fortuna c’è la memoria, la cui luce fa brillare il faro della speranza di ritrovarsi con un filo di voce e un sussulto del cuore. Mi manchi.

Copenaghen, un brivido in bicicletta

Sono un imbranato da sempre, anche in bicicletta. Fino all’età di sette anni marciavo ancora con le rotelle laterali di supporto. In un pomeriggio di luglio del 1980, a Paestum, mio padre mi disse: “Basta!”. Mi fece montare in bici e, dopo vari tentativi, mi lasciò andare lungo il viale. Provai un sottile brivido lungo la schiena quando mi accorsi che stavo pedalando da solo, senza il supporto di quelle maledette rotelle. Quel fremito di libertà l’ho ritrovato andando in bici a Copenaghen. La capitale della Danimarca e’ una sopresa con il suo clima gelido e le sue sfumature autunnali. Le bici al crepuscolo si trasformano in uno sciame di lucciole che anima la citta’. E poi non ne ho mai viste di cosi’ bizzarre e stravaganti: all’alba di questo mio sabato mattina, in centro ce ne erano un paio con una carrozzella per portare a zonzo i bambini. Che spasso sara’ per loro! Tra una pedalata e l’altra non si fa fatica ad amare Copenaghen. Sono qui da ventiquattro ore e gia’ mi sento a mio agio. Quando la luce va via e luna smette di giocare a nascondino, diventa inaspettatamente romantica. Ops, mi sono distratto e la mia bicicletta stava per finire in un canale. Riprendo a pedalare e ritorna quel fremito di liberta’, a cui non rinuncerei per niente al mondo!

Sofia, il lunedì non sono incazzato!

Chi mi conosce sa bene che il lunedì mi sveglio con la luna storta. Come Mafalda, l’eroina a fumetti di Quino, detestava la minestra, io invece provo lo stesso sentimento per il primo giorno della settimana: sono sempre incazzato il lunedì. Per una volta il risveglio è piacevole. Sono a Sofia, la capitale della Bulgaria, che riesce a mettermi di buon umore. Nonostante non sia particolarmente monumentale – fatta eccezione la spettacolare Chiesa di Aleksandr Nevskij   – si respira un’atmosfera piacevole. La maggior parte dei palazzi fatiscenti è popolata da persone ospitali e accoglienti. I bulgari sono come quelli del Sud Italia: semplici e allergici alla lingua inglese. Del codice anglosassone non ne vogliono proprio sapere e così si fa quel che si può per farsi capire. Immaginate un bulgaro e un napoletano assieme. Una coppia da barzelletta. Ognuno parla per conto suo, ma poi è il risultato che conta, riuscire a capirsi! Senza tener conto del disagio per le insegne in cirillico! Nelle strade del centro c’è un formicolio di persone. Gli adulti si assiepano nei centri commerciali, mentre i giovani se ne stanno a chiacchierare nei bistrot. Per quella stupida divisione storica ed ideologica, la mia generazione ha dovuto rinunciare alla scoperta dei paesi dell’Est. Venti anni fa ci affaticavamo per un weekend a Parigi o Londra, ma era impensabile “cazzeggiare” in formula low cost in una capitale dell’Europa orientale. Dovremmo abbattere gli ultimi pregiudizi e recuperare il tempo perduto. Non è mai troppo tardi. E Sofia potrebbe essere un buon pretesto per non essere incazzati il lunedì!

Auschwitz, i binari del treno finiscono lì

Da bambino mi incantavo al passaggio di un treno. Nonno Pasquale mi portava un paio di volte a settimana in una piccola stazione della provincia di Napoli, per ripetermi puntualmente che i binari di un treno si prolungavano all’infinito. Tutto ciò mi stupiva e mi incuriosiva: avrei voluto percorrerli a piedi, senza tornare più indietro. Quei binari li ho percorsi, rendendomi conto che mio nonno mi aveva detto una bugia.

I binari del treno finiscono ad Auschwitz, nel cuore della Polonia, nel campo di concentramento costruito dai Nazisti per sterminare milioni di persone e decimare la razza ebraica. Le quattro ore trascorse lì mi lasciano un paio di riflessioni. Da una parte apprezzo la discrezione dei polacchi nella gestione del luogo, dall’altra penso che Auschwitz non possa essere soltanto un viaggio spirituale nelle viscere della memoria.

Una memoria senza futuro che radici ha? Fosse almeno il tentativo di evitare altri genocidi, come quelli che adesso feriscono Asia ed Africa.  Chi come me è andato lì, non può tornare normalmente a fingere di essere “l’uomo inserito” nello squallore della quotidianità.

In alcuni punti del campo ho avvertito una forte energia, una presenza in bilico tra mistero e suggestione, come se il vocio di alcune persone fosse ancora lì. Forse alcuni angeli di Oświęcim (questo è il nome del luogo in polacco) non hanno mai lasciato quel posto orribile. Non lasciamo che quelle voci sopravvivano come semplice “rimorso delle nostre coscienze”.

Vacanza da viaggiatore

Una volta le mie vacanze erano legate alla “villeggiatura”: l’auto di mio padre carica di bagagli che ci portava via per un mese, tra mare, castelli di sabbia e relax. Oggi le mie vacanze sono leggermente diverse ed hanno preso la direzione ostinata e contraria del viaggio. Soprattutto questa estate è stata molto movimentata con periodi brevi e lunghi. Dalla scoperta delle Cinque terre della Liguria, con il rammarico per aver trovato certi scorci trascurati e mal tenuti. E’ ritornato il lago, quello selvaggio e poco turistico di Iseo, con Max che mi ha portato scorazzando qui e lì con Paolo Conte che dalla radio cantava “Aguaplano”.

Che bello sentirmi planare e poi ritrovarmi a spegnere le candeline del mio compleanno a Barcellona assieme a Faby, la mia metà, che mi ha fatto spegnere le candeline a piazza della Catalunya. Una città incantevole e incantata che non dialoga con il viaggiatore nella Rambla, bensì nei vicoletti del quartiere gotico o dinanzi all’arte scrosciante di Gaudì. Ho ripescato la passione dinanzi ad un breve spettacolo di tango, ma mi è venuto il magone in gola alla Corrida, vedendo questi tori ammazzati davanti agli occhi degli spettatori. Mi hanno colpito delle studentesse americane, che sono uscite a metà show con le lacrime agli occhi. Barcellona sa sempre come farsi perdonare… Dopo lago e mare, ci voleva un po’ di montagna e trekking. E così sono finito sulle montagne della Valle d’Aosta, “senza fiato” e stupefatto dinanzi allo splendore del Monte Bianco. Accipicchia, sembra ieri che mia madre me lo indicò sul mappamondo. Volevo scalarlo, ma imbranato come sono… lasciamo stare!

Ho attraversato l’Italia in treno e ho rivisto dal finestrino una miriade di ricordi, tanti, accovacciati un po’ qui e un po lì. Dicono che la linea ferroviaria Milano- Palermo sia “la transiberiana d’Italia”… Sarà pure un incubo – perché si sa certi treni come sono – ma rotolarsi lungo la nostra penisola è davvero una sensazione piacevole, quasi distensiva. Palermo era lì che mi aspettava e quando sono andato a distendermi sotto un albero in campagna, nel giorno di ferragosto, ho visto una vallata. Ho pensato a Peppino Impastato, vittima della mafia e raccontato da Marco Tullio Giorndana nello splendido film “I cento passi”. Ehi, Peppino, te l’ho detto mai che mi piacerebbe condurla con te una trasmissione radiofonica? A Capo d’Orlando avevo una casetta con una finestra sul mare e a pochi passi da lì, a Brolo, guardando uno spettacolo di danza del ventre del gruppo delle Treis Akrai ho pensato: c’è tanta gente energica qui, che ama e vive questa isola con intensità. La voce di Liza Minnelli mi ha accarezzato nello splendido teatro antico di Taormina e poi mi sono svegliato: Vacanze finite?

C’è sempre da recuperare qualche briciola settembrina. Come ieri, a Varzi, nel cuore dell’Oltrepo Pavese, dove mi sono accorto di avere accanto Dario, “amico ritrovato”, per chiacchierare e mettere due generazioni a confronto sulla scia della musica. E’ riuscito a farmi sentire amico di Fabrizio (De André), Ivano (Fossati) ed Enzo (Jannacci), raccontandomi tanti aneddoti con la stessa sincerità che avrebbe riservato soltanto a suo figlio ventenne. E’ stato un bel privilegio… Tornado a casa, per inaugurare il mio blog, mi sono convinto ancora di più che non voglio essere “un pigro vacanziere da catalogo da viaggi”, ma io stesso un viaggiatore. E questa vacanza mi ha fatto capire ancora qualcosa di più di me e adesso mi sento un po’ più libero…