Auschwitz, i binari del treno finiscono lì

Da bambino mi incantavo al passaggio di un treno. Nonno Pasquale mi portava un paio di volte a settimana in una piccola stazione della provincia di Napoli, per ripetermi puntualmente che i binari di un treno si prolungavano all’infinito. Tutto ciò mi stupiva e mi incuriosiva: avrei voluto percorrerli a piedi, senza tornare più indietro. Quei binari li ho percorsi, rendendomi conto che mio nonno mi aveva detto una bugia.

I binari del treno finiscono ad Auschwitz, nel cuore della Polonia, nel campo di concentramento costruito dai Nazisti per sterminare milioni di persone e decimare la razza ebraica. Le quattro ore trascorse lì mi lasciano un paio di riflessioni. Da una parte apprezzo la discrezione dei polacchi nella gestione del luogo, dall’altra penso che Auschwitz non possa essere soltanto un viaggio spirituale nelle viscere della memoria.

Una memoria senza futuro che radici ha? Fosse almeno il tentativo di evitare altri genocidi, come quelli che adesso feriscono Asia ed Africa.  Chi come me è andato lì, non può tornare normalmente a fingere di essere “l’uomo inserito” nello squallore della quotidianità.

In alcuni punti del campo ho avvertito una forte energia, una presenza in bilico tra mistero e suggestione, come se il vocio di alcune persone fosse ancora lì. Forse alcuni angeli di Oświęcim (questo è il nome del luogo in polacco) non hanno mai lasciato quel posto orribile. Non lasciamo che quelle voci sopravvivano come semplice “rimorso delle nostre coscienze”.

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