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Davide Astori, “Dice che era un bell’uomo, parlava un’altra lingua…”

“Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare, parlava un’altra lingua però sapeva amare.” Le parole della famosa canzone di Dalla sembrano ritagliate per Davide Astori, il capitano della Fiorentina che ci ha lasciati per un malore in questo 4 marzo.
Davide però “non veniva dal mare”, era nato in una zolla della bergamasca, ma parlava un’altra lingua, quella degli uomini d’altri tempi che non sono vittime e carnefici dell’odioso voyeurismo social.

Davide non era il calciatore sulla giostra dello star system, era “il capitano della porta accanto”, il grande professionista in campo che diventava l’amico conosciuto al bar o il vicino che avresti citofonato se non trovavi il cavatappi per stappare una bottiglia per una ricorrenza speciale.
La perdita prematura di Astori ci sconvolge così come quella di tutti gli sportivi che se ne sono andati  in maniera fulminea, ripenso al pilota sportivo Marco Simoncelli.

Davide Astori ci ha dimostrato che si può essere un fuoriclasse guadagnandosi il rispetto degli avversari e oggi questo lutto, che unisce tutte le tifoserie d’Italia, sostiene la convinzione stropicciata che dietro un pallone possa nascondersi ancora unione e solidarietà in un’Italia sempre più divisa e sconnessa.

In campo, capitano amato e fedele della sua Fiorentina, Davide ha saputo rassicurarci con il controllo dell’intelligenza emotiva, con cui un bravo atleta deve misurarsi sempre.
I social network sono stati travolti da migliaia di messaggi a lui dedicati. Mi ha colpito il messaggio di una over 30, una sua coetanea, postato sul suo profilo Facebook:

Progettare… affannarsi per costruire… per affermarsi… per guadagnare… farsi cogliere da invidie, gelosia e farsi l’animo amaro a litigare e sforzarsi a portare rancori per giorni e giorni… e poi un giorno vai al letto e al mattino seguente non ti svegli più… a cosa serve tutto ciò? Anche io ho 31 anni e questa cosa mi scuote e non poco.

La rabbia di Scampia per Ciro Esposito, il tifoso ucciso dalla coppa della vergogna

Rosario PipoloLa lettera di Blatter, il numero uno della Fifa che si è scomodato per scrivere alla famiglia di Ciro Esposito, mi lascia indifferente. Provocano in me tanta rabbia i sermoni degli uomini delle istituzioni: si lavano la coscienza salutando come eroe dei nostri tempi il povero tifoso napoletano, ferito a morte prima dell’incontro della finale di Coppa Italia Fiorentina-Napoli.

Fa bene il Presidente del Napoli De Laurentiis a presentarsi ai funerali a “mani vuote”, senza quella “coppa della verogna”, che la società non ha avuto il coraggio di restituire alla fine della partita. Lacrime, rabbia, dolore, Nino D’Angelo che canta “Il ragazzo della Curva B”, striscioni, icone, fotografie giganti. E adesso cosa succederà? Quanto tempo passerà prima che dimenticheremo tutto?

Questa è l’Italia, il Paese in cui vivo. Tutti eravamo preoccupati a lanciare pietre ai Balotelli, ai Prandelli e agli Azzurri schiaffeggiati ai Mondiali in Brasile, dimenticando che questa “Seconda Repubblica” sul viale del tramonto non ha una legge che regolamenta gli stadi. Dopo lo scempio a Roma, in un Paese civile e democratico, sarebbero saltate teste ovunque. Facciamo a scarica barile perché nel DNA del Belpaese vige “l’immunità taciuta” per i vertici di qualsiasi piramide.

Ciro Esposito era andato a Roma per godersi una partita di calcio e non è tornato più. Noi ci siamo ancora per farci sentire dentro e fuori gli stadi con il megafono. Di tutta questa porcheria non ne possiamo più, perché il tifo è tutt’altro. Ciro ci ha rimesso la pelle, noi ci abbiamo rimesso la dignità, il calcio ha avuto la sua meritata sconfitta. Su uno striscione dovremmo appendere un pensiero saggio di Trapattoni: “Il pallone è una bella cosa, ma non va dimenticata una cosa: che è gonfio d’aria”.