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Accanto a zia Giulia: l’amore piega il Parkinson

Rosario PipoloSono seduto in una stanza soleggiata. E’ il primo pomeriggio. Lei è lì, distesa immobile nel suo letto, mi fissa. Le prendo la mano e le dico: “Zia Giulia*, sono tornato”. I suoi occhi diventano lucidi. Scippo all’amaro destino l’ultima speranza per convincermi che forse mi abbia riconosciuto. Le mani sono immobili. Eppure sono le stesse che un tempo impastavano una soffice torta, che puntualmente mi ficcava nello zaino prima di ripartire.

Dove abita il Parkinson? Lì, sul suo volto, sugli zigomi e fa di tutto per portarsi via le ultime briciole della mimica facciale. Mi torna in mente Isabelle Allende, accanto alla figlia malata, che scrive un profondo diario: Paula. Allora tiro fuori l’iPad, lo accendo e faccio finta di scarabocchiare. Non sono parole, sono segni come i disegnini che dedicavo a zia Giulia una trentina d’anni fa. Mettevo assieme, nel riquadro dello stesso foglio, i personaggi dei suoi telefilm e telenovelas preferite: J.R. di Dallas mi veniva benone, ma Veronica Castro di Anche i ricchi piangono era complicata per la capigliatura. Lei sorrideva, li conservava, mi accarezzava e mi premiava con qualche goloseria.

Scrivo, appunto. Lei farfuglia qualcosa come “treno”. Si è svegliata dal torpore all’improvviso e forse mi sta chiedendo con quale fossi arrivato. Zia Giulia conosce i miei vagabondaggi, perchè si era abituata alle mie improvvisate, quando sbucavo dalla stazione di Firenze Santa Maria Novella o da Campo di Marte nel bel mezzo della notte.

Il mutismo della morte vegetale ha ceduto la parola alla lotta per la vita. Mi sono convinto che il Parkinson si piega dinanzi all’amore. Non dovremmo mai precluderci una grande opportunità: visitare una persona ammalata che amiamo. Riempie lo spettro dell’inutilità che il più delle volte vagheggia nelle nostre esistenze e ci trasforma in piccoli angeli custodi. Solo così saremo capaci di restituire l’amore impagabile a chi ha contribuito a dare un significato ai nostri giorni felici.

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 100 risposte sul Parkinson

 Julia di John Lennon & Paul Mc Cartney 

*Mia zia Giulia si è liberata degli anni di prigionia del Parkinson nel pomeriggio del 1 maggio 2014.

Firenze, che canzone triste!

firenze150Mentre il Sindaco di Firenze Leonardo Domenici si incatenava per protesta dinanzi alla redazione di Repubblica, io passeggiavo per le strade del centro del capoluogo Toscano. Lascio perdere il teatrino di Domenici e i casi di corruzione che demoralizzano il Belpaese, e mi soffermo sulla città. Premetto che mi sento fiorentino d’adozione. I miei zii abitano nella zona di Novoli e negli anni novanta ho trascorso lì lunghi periodi. Più passa il tempo e più mi convinco che i fiorentini fanno bene ad essere incazzati con le amministrazioni. Firenze continua a pavoneggiarsi sotto la campana di vetro dell’arte, preoccupandosi del turista e tirando calci in culo a chi ci vive. E’ un atteggiamento ormai cronico che priva i fiorentini di un sacrosanto diritto: la “vivibilità”. Per non parlare dei cantieri aperti (quando metteremo fine alla barzelletta del completamento della linea tranviaria per Scandicci?) e della sporcizia in troppi angoli della città. In più si mette pure Trenitalia che, per l’apertura della linea veloce, ha dirottato gli Intercity su Campo di Marte e Rifredi, ques’ultima poco sicura dopo una certa ora. Interviene la saggezza spicciola di conducente di autobus: “Li abbiamo votati e ce li teniamo”. Io colgo l’occasione al volo e replico: “Perchè l’Ataf mi fa pagare 1 euro e 20 centesimi per una corsa? Troppo caro?”. Lui fa orecchio da mercante. Mentre i turisti stranieri si fanno spellare dagli albergatori e dai ristoranti del centro, fanno bene gli italiani intelligenti ad andare all’astero in stile low cost e per un trattamento migliore. Caro Dante, chissà in quale girone dell’Inferno li metteresti questi padroni della Firenze di oggi. Ed io, viandante di passaggio, non posso che canticchiare il ritornello di una canzone del saggio Ivan Graziani: “Per questo canto una canzone triste, triste, triste, triste come lei”. Firenze, che canzone triste!