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Cartolina da Parigi: Je suis Charlie, 7 gennaio ore 11.30

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rosario_pipolo_blog_2Una fuga a Parigi, per giunta senza preavviso, può essere anche defilarsi nel silenzio di rue Nicolas Appert. Ci sono due gradi sotto zero e alle 11.30, l’ora esatta dell’attentato terroristico a Charlie Hebdo, siamo poche anime davanti l’ex redazione del periodico satirico francese.

L’artista francese Christophe Verdon sale su uno scaletto e appiccica al muro l’insegna “Piazza della Libertà d’espressione”; ci sono alcuni fedeli lettori che lasciano commossi un fiore; poi arriva un gruppo di uomini e donne in divisa che lascia una preghiera per il collega poliziotto morto nell’attentato. È una commemorazione fatta di gesti spontanei.

Una fuga a Parigi, lontano dai “luoghi comuni” per il turismo di massa, può essere anche ribadire una riflessione messa nero su bianco due anni fa: “La libertà di una matita vale quanto quella di una penna”. Perciò oggi sono venuto qui a condividere con questo gruppo di francesi un momento toccante.

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Una fuga a Parigi può essere il pretesto per ammettere una volta e per sempre che questa città non è più la stessa e chi la conosce bene sa di cosa parlo, di cosa si prova. “Je suis Charlie” non è soltanto  lo slogan di un tragico giorno da non dimenticare, ma è soprattutto l’amara consapevolezza che c’è sempre un attentatore dietro l’angolo – mi riferisco alla nostra quotidianità – pronto a mettere in pericolo la nostra libertà di pensiero e di espressione. Questo non vale soltanto per chi fa il mio mestiere, ma per chiunque, ogni santissimo giorno, lotta affinché l’idea di libertà di pensiero non sia schiacciata dal becero qualunquismo dei giorni nostri.

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Per la prima volta, nel mio legame ventennale e privilegiato con la capitale francese, ho scalato l’anima segreta di una Parigi che mostra con dignità le proprie ferite aperte e lascia al tremolio della paura la chance per guardare avanti con gli occhi sulla schiena rivolta verso piazza della Bastiglia, da cui partì l’urlo di libertà che l’Europa mai dimenticò.

Oggi siamo qui anche perché non vogliamo permettere al terrorismo di cambiare le nostre abitudini, continuando a vivere Parigi con i valori che “la Ville Lumière” ci ha lasciato in eredità.

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Sentirsi “Charlie” non è un capriccio né una vendetta, è un mutamento interiore dell’essere parte attiva di una società civile. L’ho capito stamattina alle 11.30 al numero 10 di Rue Nicolas Appert.

Je suis Charlie Hebdo: la libertà di una matita vale quanto quella di una penna

Rosario PipoloC’è un senso di sdegno e sgomento che ci fa sentire improvvisamente tutti francesi. L’attentato alla redazione del giornale satirico d’oltralpe Charlie Hebdo è stato disegnato significativamente in questa splendida vignetta di Philippe Geluck.

Partiamo da una digressione storica. La satira è stata sempre una spina nel fianco in un regime dittatoriale così come in una democrazia. Quando negli anni passati la matita del nostro Forattini fu improvvisamente messa alla gogna dall’editoria italiana per uno sgarro al politicante di turno, il disegnatore romano sottolineò: “La sinistra non accetta la satira quando le è rivolta contro”.

Questo per dire che la satira è pungolo per chiunque, per qualsiasi organizzazione, politica e non. Figuriamoci poi per terroristi ed estremisti.
Nel centro commerciale dei social network, tra gli scaffali delle banalità, ho letto pure di chi insinuava che Charb, il direttore di Charlie Hebdo, aveva calcato la mano e se l’era cercata.

Mettiamo in chiaro che la libertà della matita di un disegnatore vale quanto quella della penna di un giornalista. Se d’altro canto volessimo andare ad intercettare tutti i fiumi di inchiostro omofobi, razzisti e guerrafondai, dovremmo aspettarci “bombaroli” in azione in ogni angolo del mondo.

La libertà di pensiero, messa nera su bianco, non si riduce banalmente ad essere solo un capisaldo di civiltà e democrazia ma è la molla che fa anche della “satira più spietata” il territorio fertile di denucia, attribuendo al perimetro di un foglio bianco lo spazio di una una rivolta senza sciabola ma a matita.

La violenza e l’integralismo si sconfiggono con intelligenza. Meglio stare alla larga dall’imprudenza estremista di Madame Le Pen che vorrebbe, attraverso la pena di morte, riportare la Francia al terrore della ghigliottina, o dalla flemma di Monsieur Hollande che dovrebbe fornire ai francesi spiegazioni su come, in termini di sicurezza, si poteva evitare questa strage.

Le due matite al posto delle torri gemelle di Geluck lasciano spigoli di riflessione a chi come me ha scelto di inserire nel proprio picprofile l’urlo solidale Je suis Charlie, doloroso hashtag su Twitter che ci porteremo appresso nel corso di questo 2015 e orribile sequenza di un film mai girato da Claude Chabrol sul massacro di un gruppo di intellettuali che, con le loro matite e le loro vite, hanno difeso dal bavaglio la storia della satira francese. La strage di Parigi è una cicatrice che la Quinta Repubblica francese non rimarginerà così come sarà per la politica di Hollande, il più flaccido inquilino all’Eliseo.